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maldonado santiagodi Jean Georges Almendras
Molta acqua è passata sotto il ponte dal primo agosto in cui sparì il giovane artigiano e tatuatore Santiago Maldonado, mentre era assieme alla comunità Mapuche ‘Pu Lof in Resistenza di Cushamern’, sulla strada 40, in provincia di Chubut, durante l’opera di repressione messa in atto dalla Gendarmeria Nazionale. È passato molto tempo da allora, tanto che oramai non è più il giudice Guido Otranto il titolare delle indagini né sulla scomparsa del giovane né per l’habeas corpus opportunamente sollecitato. Ora è il giudice Guillermo Gustavo Lleral il titolare delle indagini per trovare la verità e sarà affiancato per ora dal magistrato Silvina Ávila. Investigazioni che cercheranno di recuperare il tempo perduto in questi due mesi e cercheranno di riparare gli errori e le irregolarità commesse da Otranto. Speriamo che queste nuove indagini mettano da parte la linea investigativa basata sul presupposto che la Gendarmeria poco o niente ha avuto a che vedere con la sparizione forzata del giovane Maldonado. Ci auguriamo invece che si riesca a sviscerare e smantellare un apparato di repressione e di occultamento che ha colpito e suscitato indignazione dentro e fuori l'Argentina.
Dopo così tante barbarità in ambito giudiziario e del Governo, a cui non è mancato l’appoggio mediatico, per demonizzare machiavellicamente la comunità mapuche, adesso sembrerebbe che con il giudice Llera  apra il passo alla coerenza e alla verità. Sarà veramente così?
Senza voler essere pessimisti, ma nemmeno porci all’altro estremo pensando che un cambio di volto sia la chiave maestra per eliminare il manto dell’impunità e lasciar che i colpevoli vengano letteralmente divorati dal Codice Penale argentino e confinati dietro le sbarre.
Anche se io credo nella giustizia divina (come molti altri sicuramente), non dobbiamo dimenticare che la verità giudiziaria non è un atto di fede. Possiamo essere molto fiduciosi che questo drammatico e ripudiabile intrico dalle sfumature e angolature diverse (attorno alla scomparsa di un giovane e l’accanita persecuzione contro una comunità Mapuche) possa essere chiarito in un batter d'occhio, ma non c’è altra scelta che pedalare, e non poco.
Non dobbiamo dimenticare neppure che, se non ci sono le condizioni favorevoli per arrivare a d un punto sicuro, quella verità che migliaia di persone desiderano, può  perdersi con il passare del tempo.
Dobbiamo avere ben presente che la verità giudiziaria o, per meglio dire, il cammino verso la stessa, comporta che in seno alla giustizia: primo, ci sia la volontà politica di realizzare un lavoro meticoloso, organizzato e senza deviazioni; secondo, che ogni passo risponda ai protocolli tecnici di rigore, come perizie, prove, dichiarazioni di testimoni, filmati grafici e di audio, all’insegna della celerità, dell’etica e dell’assoluta imparzialità. Solo così potremmo evitare che tutte le eventuali prove che abbiano riscontro (oltre a quelle già trovate) non cadano nel vuoto o vengano lasciate nelle mani dei repressori o nelle cloache dei potenti, per essere manipolate, distorte e letteralmente fatte svanire nel nulla.
Dobbiamo evitare tutti insieme che ogni cosa svanisca nella menzogna, nella falsità e nell’inganno. Dobbiamo tutti essere militanti di una mobilitazione permanente, a partire da questo primo ottobre, in cui si compiono due mesi da quando Santiago è stato strappato alla società.
Solo così, militanti dovunque ci troviamo, arriveremo alla verità. Una verità che ci dia nuovamente fiducia in una democrazia tutelata dagli interessi di parte e del terrorismo di Stato. Fare luce sulla sorte di Santiago non significherà mettere la parola fine alla storia. Sarà la continuazione di una lotta. Perché Santiago non è scomparso in un sentiero di montagna, ma nel corso di una lotta rivendicativa. Una lotta per il territorio che adesso riguarda tutti noi.
Saranno garantiti dal mondo politico le condizioni affinché la verità venga alla luce pubblica? Il mondo politico e il governo giocheranno in trasparenza? Con il dovuto rispetto penso che non ci siano le condizioni favorevoli per arrivare alla verità. Perché siamo circondati da soprusi e sparizioni di persone e impunità. Impunità che giorno per giorno lascia un messaggio amaro alla società argentina e ai popoli sudamericani.
È sufficiente rivedere alcune scene già viste per renderci conto del cupo panorama che domina la nostra militanza per la verità: la scomparsa del giovane Ivan Torres, mapuche, nel 2003; la scomparsa del muratore Julio López, nel 2006; e adesso Santiago Maldonado. Sono alcune delle situazioni dove il potere poliziesco, militare o politico è sempre stato il denominatore comune affinché l’insabbiamento e l’impunità la facciano da padroni in una società in alcuni casi militante e ribelle, e in altri indifferente e persino complice.
Ma ci sono altri casi di impunità. Come il caso di Ivana Huenelaf, mapuche, sequestrata nel corso di un operazione congiunta della polizia di Chubut e la Gendarmeria, il 10 gennaio 2017, quando si trovava nel ‘Pu Lof in Resistenza di Cushamen’ in un gesto di solidarietà verso i mapuche dopo aver subito la repressione delle autorità. Le bruciarono il polso e la torturarono durante la sua detenzione nel commissariato di El Maitén (che si protrasse per diverse ore), dove i suoi aguzzini poliziotti le dicevano "vi faremo scomparire". Abbiamo il caso di Sergio Ávalos a Neuquén, scomparso anche lui nel 2003. Abbiamo il caso di Luciano González, scomparso nel 2009, anche lui in Chubut. Il caso dei fratelli Cristian e Genaro Calfullanca, nel 2013, scomparsi a Cholila, come Daniel Solano, nel 2011 a Fiume Nero. E il caso di César Monsalves, un ragazzino di 13 anni, nipote di un testimone che incriminò poliziotti per aver violentato un minorenne anche lui ucciso. Il suo caso è in mano alla CIDH, organismo che condannò l'Argentina nel 2011, per la scomparsa di Iván Torres.
I nostri appelli, la nostra indignazione e la rabbia assieme a quella dei Maldonado e dei paesi originari e delle comunità mapuche nella provincia di Chubut sembrano essere impotenti difronte ad una politica del genocidio che rientra in un contesto di sterminio.
È impensabile che ogni atto di repressione messo in atto dai Gendarmi a danno di ognuno dei membri delle comunità mapuche siano fatti isolati. Sono stati sistematiche le incursioni brutali, le persone tenute legale con le mani alla schiena per ore; picchiate e umiliate. È impensabile che la repressione del primo agosto sia stato un episodio isolato da quel contesto. Perché le forze di sicurezza si sono accanite contro quei popoli e i loro simpatizzanti? Perché il potere ha insegnato loro molto bene. E perché li ha manipolati a dovere.
Julio Saquero, uno dei referenti dell’APDH (Assemblea Permanente per i Diritti Umani) che risiede vicino alla Pu Lof in Resistenza di Cushamen, in un'intervista concessa al giornalista Daniel Satur di La Izquierda Diario, è categorico nel analizzare, prima il caso Santiago Maldonado e poi la lotta dei mapuche: "Nella mia mente prende sempre più forma l’idea  di un crimine politico, in tutta la sua tragica dimensione della storia. E non parlo necessariamente della morte. Se una persona scompare per sessanta giorni è un crimine politico. Non si tratta di un ragazzo che si è perso in montagna o che, spinto da una vena di romanticismo, si trovava nella rotta insieme ad altri rivendicando la libertà di un prigioniero politico come Facundo Jones Huala.
"La lotta mapuche, delle comunità originarie, mira a uno Stato plurinazionale che solleva una questione estremamente politica per una società come l'Argentina, guidata economicamente e politicamente dalla Società Rurale. Tale questione politica è un peccato enorme per i potenti che viola la sacra impresa, la proprietà privata ed i loro valori" afferma Saquero.
Concordiamo con Saquero e ci aggiungiamo alla lista dei peccatori che dovremo ancora ingoiare rabbia e fare l’impossibile affinché non siano infangati i sentieri che possono portarci alla verità sul destino di Santiago Maldonado.
Perchè è impensabile che una tale repressione contro la comunità sia stata messa in atto per caso. Piuttosto, è l’attuazione di un'ideologia del terrore, focalizzata su ogni mapuche come individuo. Irrompere nelle loro abitazioni, insultarli, attaccarli, legarli, sottometterli. Scene degli anni del colonialismo. Scene che dovrebbero farci vergognare che portano il marchio di un governo fascista. Peggio ancora, di un governante fascista.
Ma chi siede in quelle poltrone, ipocritamente, osa ancora dire che il Governo sta facendo ogni sforzo possibile per far luce sul caso Maldonado, senza fare riferimento, neanche per strategia politica, alla lotta della comunità mapuche. Ovvio, perché farlo significherebbe ammettere che c'è una lotta e che quindi che ci sono posizioni opposte. Ed ammetterlo significherebbe accettare che ci possono essere delle negoziazioni e accordi in ci sono punti o rivendicazioni che vengono accettate. Se tutto ciò avviene, ci saranno degli interessi meno tutelati; perdita di terre che i mapuche recupereranno. E questo non può accadere. Bisogna quindi demonizzare le comunità e le questioni da loro sollevate. Comunità sacrileghe che osano affrontare l'uomo bianco. Gli interessi dei bianchi. E, peggio ancora, quei bianchi che hanno potere economico e siedono al Governo...  
Ma i sacrileghi non sono solo i mapuche. Siamo anche noi, perché pensiamo come loro. Oltre ad essere sacrileghi, siamo anche terroristi, perché vogliamo violare la "sacra impresa, la proprietà privata ed i loro valori". Ecco perché non meritiamo altro che la sparizione forzata e la morte; il disprezzo; l'esclusione e l'umiliazione.
Ma si vedrà, perché mentre ci troviamo a scrivere queste righe, in differenti punti del paese, principalmente nella Plaza de Mayo, a Buenos Aires, centro nevralgico del Governo (vero ideologo di tanto terrore), moltitudini di militanti fanno sentire a chi governa che i sacrileghi e i blasfemi che vogliono spezzare un stile di vita egoista e strappare le terre in mano al potere, sono migliaia e migliaia.
La nostra foto di copertina ci avvicina a Sergio e a suo fratello Santiago, alcuni anni addietro, con un sorriso smagliante ed i volti luminosi. Insieme.
Ora sono anche insieme, come militanti, ma accompagnati da altri militanti.

*Foto di Copertina: www.elpatagonico.com

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