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albania italia mafiadi Piero Innocenti
Già diciassette anni fa le preoccupazioni dei nostri apparati della sicurezza nei confronti della criminalità albanese presente sul territorio nazionale erano state esplicitate in un articolato rapporto della Direzione Investigativa Antimafia (DIA) intitolato “Il pericolo albanese”. A quei tempi si parlava di bande ma anche di “clan che hanno insito il carattere di mafiosità” e se si evidenziava un radicamento sul territorio in ambiti lasciati scoperti dalla criminalità italiana, si metteva pure in guardia sui “… segnali che inducono a ritenere che gli albanesi stiano iniziando ad erodere spazi anche nelle roccaforti della criminalità organizzata italiana”. Allo stesso modo, nello specifico comparto del narcotraffico, nel rapporto, in un passaggio delle “considerazioni conclusive”, si parlava di una “...evoluzione verso modelli propriamente mafiosi dei sodalizi criminali albanesi dediti al traffico di stupefacenti...” con la conseguenza di rendere ancor più difficile le attività di polizia in generale.

Insomma, l’affievolimento del legame clanico, familiare, sempre molto forte in Albania, che caratterizza(va) le prime cellule criminali albanesi insediatesi in territorio pugliese, man mano che aumentava il volume degli “affari” era il segnale che nel prosieguo del tempo vi sarebbe stata una evoluzione verso strutture organizzative criminali più sviluppate. L’analisi era decisamente valida e oggi la criminalità albanese “..risulta ormai consolidata...” in varie regioni italiane, a partire appunto dalla Puglia, territorio che “...rappresenta ancora oggi un approdo obbligato per i traffici illeciti provenienti dall’Albania e dall’area balcanica in generale”. In questo senso, il più recente rapporto della DIA del 2016 mostra come gli albanesi detenuti nelle carceri italiane per reati associativi (associazione di tipo mafioso, associazione per delinquere, associazione finalizzata al traffico di stupefacenti e associazione a delinquere finalizzata al contrabbando) erano 280, in seconda posizione dopo i rumeni.

L’esperienza maturata nel traffico degli stupefacenti, in particolare della marijuana e dell’eroina, ha permesso ai gruppi criminali albanesi di rapportarsi con la criminalità organizzata italiana come principali fornitori di tali droghe per le quali, in alcuni casi, hanno provveduto anche ai processi di raffinazione (nel coso di indagini, nel 2016, sono stati individuati dalle forze di polizia, tre laboratori, uno in provincia di Bergamo, uno a Padova e uno in provincia di Bari, destinati  alla raffinazione dello stupefacente). L’ultima operazione antidroga (Balkan) è di pochi giorni fa con la polizia di Ragusa e la guardia di finanza di Como che, al termine di indagini avviate nel 2012, hanno sequestrato a Catania una tonnellata di marijuana indagando per traffico internazionale di stupefacenti una sessantina di persone tra cui 37 albanesi ritenuti i fornitori della droga.

L’altro settore di interesse criminale degli albanesi, è sempre la DIA a rammentarlo, è lo sfruttamento della prostituzione che “…continua ad essere realizzato ricalcando schemi consolidati che passano attraverso la generale tendenza ad un’autonoma gestione dell’intera filiera, senza tuttavia precludere cooperazione con altri gruppi o soggetti criminali, specie di etnia romena”. Molteplici operazioni di polizia hanno evidenziato la tendenza ad una gestione sempre più organizzata e “industriale” del fenomeno che inizia con il reclutamento diretto in Albania da parte delle stesse persone che si occuperanno dello sfruttamento in Italia e che prosegue con la predisposizione logistica per seguire l’attività di aggregazione e di controllo delle donne sottoposte a continuo “turn over” nelle varie città, con frequenti spostamenti di città. Come è frequente il ricorso a mezzi coercitivi e violenti per dare “esempi” e reprimere eventuali comportamenti “insubordinati” delle donne schiavizzate.

Un quadro complessivo piuttosto fosco destinato a peggiorare a causa di una “…evoluzione in atto delle strategie criminali degli albanesi verso forme delinquenziali sempre più qualificate e portate avanti con la collaborazione di pregiudicati italiani...” anche nei traffici di armi ed esplosivi (rapporto DIA, 2016).

Tratto da: liberainformazione.org

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