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di Jean Georges Almendras
Basta  guardare con attenzione e discernimento gli ultimi avvenimenti del Paraguay per giungere alla conclusione che per avere un quadro completo della situazione conviene vedere prima il bosco e non l’albero.
Un bosco chiamato Paraguay, e che ha, ormai da diversi anni di democrazia, ogni sorta di spine velenose, incrostate nella sua società, nelle sue istituzioni. E nella vita cittadina, pugnalata, aggredita e consumata, quasi con sacra insistenza, sottomessa a tutta una serie di manipolazioni civili e politiche, dagli scranni del potere di turno, nonostante la già sufficiente distanza - cronologicamente parlando - dalla dittatura del generale Stroessner. E come se fosse una maledizione della storia (non dimentichiamo che prima della guerra della Triplice Alleanza, il Paraguay era una nazione con un’economia e cultura fiorenti) il paese fratello smise di essere la tazzina d’argento di quelli anni, in piena democrazia non ha fatto altro che accumulare, nella sua storia nazionale, eventi e situazioni che sono state (e sono ancora) pregiudiziali per la sua convivenza, la sua democrazia e le sue istituzioni.

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Oggi abbiamo il Paraguay della Corruzione, della narco politica, dei gravi problemi sociali, degli elevatissimi indici di povertà, delle forti differenze sociali, dei massacri inspiegabili (come quello di Curuguaty, ad esempio), degli omicidi dei giornalisti (sono ormai 18 le vittime della libertà di espressione), i più recenti e più mediatici quello di Pablo Medina e della sua assistente Antonia Almada), delle sopraffazioni delle comunità contadine, degli accordi alle spalle del popolo, delle ruberie pubbliche e dell’incremento sfacciato del narcotraffico nella zona di frontiera con il Brasile. Questi sono solo alcuni dei mali più mediatici che colpiscono o che “strangolano” la Repubblica nell’era di Cartes. Una Repubblica che non riesce mai a maturare e progredire. E in questo contesto, particolarmente penoso, ha sempre predominato (e predomina ancora) attraverso le meschinità che oggi hanno trasformato questo paese, in una nazione colpita da una delle più forti crisi istituzionali e politiche, caratterizzata dall’incertezza e dal malcontento generali. Per tutte le ragioni qui esposte, non ci resta altro che guardare il bosco e non soffermarci solo all’albero.
Un albero chiamato Democrazia, i cui rami favoriscono i venti della discordia e della corruzione, erodendo ogni cosa al loro passo con la forza distruttiva di uno tsunami, dannoso per i settori sociali più disagiati e più popolari e per le classi lavoratrici dei quattro punti cardinali di un paese ricco in natura e terre. Terre paraguaiane sempre più assorbite dai latifondisti predatori dei popoli originari, saccheggiate ai contadini alla mercé di un sistema finanziario divoratore, perverso e implacabile.

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E i rami? Ad esempio, l’approvazione in un ufficio privato del Sentato, perché il plenario era occupato da membri dell’opposizione (venerdì 31 marzo), di un progetto di emendamento costituzionale per abilitare la rielezione dell’attuale presidente, con una maggioranza di 25 senatori, su un totale di 45, violando in questo modo la Costituzione Nazionale della Repubblica e dello Stato di Diritto; la designazione di un presidente de facto per il Senato, dividendo così il Senato in due: uno legale e uno illegale. Quest’ultimo appoggiato da senatori del Fronte Guazú, che fanno riferimento all’ex-presidente Fernando Lugo, che sarebbe d’accordo con la rielezione, perché ne beneficerebbe anche lui nelle prossime elezioni; una forte e violenta protesta popolare, dando fuoco incluso ad alcuni settori dell’edificio del Congresso e una feroce repressione della polizia finita in un impattante spargimento di sangue, con circa 30 feriti (tre di loro parlamentari) e un morto. La vittima un giovane di vent’anni quando, contro ogni logica, la polizia ha fatto irruzione, illegalmente e sparando, in una sede di partito seminando il terrore, il tutto in una notte di tensione estrema dove furono arrestate circa 200 persone.
Sono tutti rami di un albero in crisi, che si trasformano in fatti molto gravi e non sono altro che la risposta ad una serie di situazioni precedenti, dove il presidente Horacio Cartes avrebbe molto a che vedere per le sue politiche economiche e la sua fama di imprenditore servizievole (o meglio ancora, vincolato) a mafiosi dediti al contrabbando di sigarette e del mondo del narcotraffico; per le sue politiche sociali che di fatto sono “antisociali” e “anti contadine”, per le sue politiche educative di tendenza conservatrice viziate da pratiche antipopolari e anti studentesche. Politiche che lo hanno contrassegnato nel tempo, a lui come persona e alla sua gestione di governo, come un vero ostacolo per lo sviluppo nazionale. Ostacolo che è stato (ed è) opportunamente segnalato e dato a conoscere con ogni mezzo, dai legislatori dell’opposizione, precisamente nel Congresso, nonostante la maggioranza cartista, che non sono passate né passano inosservate.
Nel seno stesso dell’Amministrazione Cartes è maturata l’idea di una rielezione del presidente per un secondo mandato, progetto già rifiutato l’anno scorso. Per poter presentare un nuovo progetto era necessario, secondo la Costituzione Nazionale, far trascorrere un anno, quindi era necessario attendere fino ad Agosto 2017, per presentare per la seconda volta un nuovo emendamento. Qualora fosse accettato, sarebbe sottoposto al voto popolare convocando un referendum entro un massimo di sei mesi.
Quando venerdì 31 marzo è stato comunicato che l’emendamento era stato approvato si è scatenata la rabbia e si sono riscaldati gli animi, alludendo ad un “Colpo parlamentare”, un “Marzo paraguaiano”, addirittura si parlava di “un auto colpo”. La protesta è iniziata dapprima all’interno stesso del Congresso, quando membri dell’opposizione hanno preso atto di quanto era stato architettato per favorire un governatore antipopolare e tanto “discusso”. Successivamente, nelle strade, sorprendentemente (e significativamente) la furia è diventata incontrollabile, provocando le prime repressioni.
Ed ecco che arrivarono le prime bastonate da parte della polizia, i primi gas per disperdere i rivoltosi ed i primi colpi di fucile con pallottole di gomma. I primi feriti, tra loro alcuni parlamentari dell’opposizione. Gli scontri sono stati filmati dalle tv e da giornalisti. In uno dei filmati si vedeva il momento in cui veniva ferito al volto il parlamentare liberale Edgar Acosta.
Il video dell’episodio, reso pubblico, mostra nitidamente quando un poliziotto alza il fucile sulle teste delle persone che avanzano contro una fila di agenti protetti da scudi, e spara verso un settore del gruppo, a bruciapelo. Una situazione che avrebbe potuto perfettamente essere neutralizzata a colpi di bastone, ma non con l’uso di armi da fuoco, vista la vicinanza di chi stava affrontando la polizia.
Questo episodio è stato il preludio di una notte infernale.
Fuori dal congresso sono iniziate a radunarsi decine di persone. La notizia dell’aggressione al deputato si era ormai diffusa in città. Gli animi si scaldavano sempre di più. E la protesta popolare si intensificava al punto di fare la loro presenza gruppi che prendevano d’assalto il Congresso irrompendo in alcune delle sue installazioni, e divampava un incendio di vaste proporzioni.
Ma la notte avrebbe portato con se altre disgrazie. La sede del Partito Liberal Radical Auténtico (PRLA), al centro della città di Asunción, è stata teatro di una morte: quella di un giovane dirigente studentesco liberale, del distretto di La Colmena, Rodrigo Quintana, di 25 anni di età.

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Due filmati del fatto di sangue (ripresi da due telecamere a circuito chiuso installate all'interno della sede del partito) mostrano con assoluta nitidezza, da due angoli definiti, il momento nel quale irrompono nel locale poliziotti in uniforme regolamentare; il momento in cui circa dieci persone che si trovavano pacificamente nel corridoio principale della sede, rendendosi conto dell’irruzione della polizia e sicuramente sentendo gli spari dei fucili, hanno iniziato a correre alla ricerca di un posto dove ripararsi; il momento in cui un giovane con un berretto e una maglietta scura, mentre correva, cade a terra raggiunto da un colpo di fucile sparato da uno degli agenti che si vede si avvicinano al giovane caduto, per colpirlo alla schiena con il loro stivale, per finalmente - e senza prestargli assistenza - dirigersi all'altro estremo del corridoio, lasciando agonizzante il giovane Quintana. Un comportamento disgustoso, trattandosi di un servitore dell'ordine pubblico, e considerando che le persone all’interno del locale erano disarmate e non avevano un atteggiamento ostile.  
Più tardi, nel rapporto ufficiale del medico forense reso pubblico si leggeva: l'autopsia corrispondente, secondo il Dr. Pablo Lemir, del Ministero Pubblico, ha permesso di constatare che il cadavere dello sfortunato giovane presentava nove impatti di proiettili metallici di fucile. Uno di loro a livello dei polmoni, che ovviamente ha provocato il suo decesso per asfissia ed emorragia interna. Ed un altro a livello del cranio.

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La morte del giovane Rodrigo Quintana segnò il carattere violento della repressione. E segnò con il sangue il desiderio ‘cartista’ della rielezione. Un desiderio condiviso dall’ex vescovo Fernando Lugo che, si commentava, dopo la notte tragica, avrebbe, allo stesso modo di Cartes, le mani tinte di sangue. E non mi sembra sbagliato.
Successivamente, dalle file dei partiti di governo sono arrivate le promesse di indagini, le critiche a chi ha adottato metodi repressivi durante la protesta, la destituzione del Ministro dell'interno e dell'alto comando della polizia, l’arresto del poliziotto incriminato di aver sparato contro le persone all’interno della sede del PLRA, provocando la morte del giovane Quintana, e l'annuncio irritante della senatrice colorata Lilian Samaniego, fermamente convinta che la rielezione sarà approvata e che a istigare alla violenza sono stati i giornalisti di Telefuturo ed Efrain Allegre, Presidente del PLRA.  
Ma, di fronte ai fatti, ci sono anche degli interrogativi.  
Al di là che la rielezione favorirebbe Horacio Cartes e Fernando Lugo, che senso avrebbe mettere in moto un auto colpo parlamentare, quando alla fine le maggioranze parlamentari erano assicurate al Parlamento? Quali altri interessi erano in gioco quel venerdì 31 marzo, affinché a porte chiuse si accendesse la miccia di un progetto di emendamento anti popolare, in un clima politico già teso da tempo in Paraguay? Chi sono stati realmente i violenti di quella notte, quando gli animi si sono infiammati al punto di dare fuoco al Parlamento? Era veramente una protesta popolare? O forse in mezzo al sentimento di rifiuto all'idea di una rielezione di Cartes, si sono infiltrati nelle proteste legittimi gruppi organizzati per appiccare fuochi e provocare la repressione, aggravando così la situazione, a sapere con quale fine?
Sebbene c’è stata e c’è una marcata e tenace resistenza contro i progetti di rielezione, per i chiari connotati anticostituzionali, è fin troppo chiaro (dai filmati dei mezzi televisivi presenti) che non tutti quelli che protestarono quella notte hanno preso parte all’incendio del Congresso. Ancora di più, spento il fuoco della sede del Parlamento, la calma è ritornata sul posto e la repressione nel locale del PRLA risulta inspiegabile, con un saldo di morte inconcepibile.

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Ed a proposito: Perché la polizia si è accanita con la sede del PLRA? Avevano un ordine di irruzione i poliziotti che presero di assalto la sede del partito?
E non sarà che è tutto sfuggito di mano a chi ha cercato di destabilizzare la democrazia paraguaiana dall’ombra, approfittando del mal contento popolare di fronte all'imminente approvazione del progetto di emendamento costituzionale che abiliterebbe la rielezione di Horacio Cartes e di Fernando Lugo?  
Continuiamo a trarre conclusioni per capire se tutto ciò che circonda la protesta popolare dello scorso venerdì 31 marzo, che ha continuato il giorno dopo e il lunedì 3 aprile, in Plaza de Armas, di fronte al Congresso, è vero e ne è sufficientemente consapevole la coscienza popolare: la futura consultazione cittadina avrebbe un successo più che assicurato e la rielezione sarebbe neutralizzata? O forse Horacio Cartes scommette che la cittadinanza lo sosterrà nei suoi sogni di essere rieletto? Onestamente, oserei dire, che se le mobilitazioni popolari vanno avanti (pacificamente, è chiaro), e non implodono su se stesse, dubito molto che nella consultazione popolare sia approvata la tanto discussa e auspicata rielezione, a meno che ci siano delle  sorprese. Sorprese di paternità anonima che finiscono sempre appannando ed infangando le lotte contro il potere.  
In definitiva, se la consulta popolare respingesse ampiamente la rielezione, Horacio Cartes e Fernando Lugo dovranno attendere seduti nelle loro case che in qualche momento della vita nazionale paraguaiana ci siano le condizioni per vederli nuovamente nelle loro cariche di Dirigente, o semmai nelle campagne elettorali, cercando in ogni modo possibile di recuperare seggi e posizioni, e di avere quindi le loro rispettive rivincite; come se le loro gestioni fossero state armoniose e trasparenti, e degni di un replay.
La questione è che Cartes ed i parlamentari che lo appoggiano, siano essi filogovernativi o no, attualmente sembrano ostinati nel non voler ammettere e riconoscere che ci sia un denominatore comune nella popolazione paraguaiana, ovviamente ad eccezione dei settori politici che appoggiano Cartes: un rifiuto generalizzato all'approvazione di ogni manovra che porti ad una rielezione.   
Horacio Cartes, attualmente, seduto sulla poltrona del potere, può scommettere su tutto ciò che vuole, - per riuscire nel suo obiettivo di diventare Presidente per la seconda volta - ma bisogna aver presente che quella scommessa non deve violare le leggi né la Costituzione Nazionale vigente e tanto meno vite umane. Ma ciò è già accaduto: un giovane, padre di una bambina di 9 anni, ha perso la vita. E tutto perché?  Perché un presidente come Cartes, sia rieletto? Questo duole ed irrita.  
Ma Cartes (e Lugo), non sembrano essere né dispiaciuti né afflitti per quanto accaduto e per la morte del giovane. Tanto è vero che il Presidente ha raddoppiato la scommessa (per essere rieletto): la domenica ha dichiarato pubblicamente - con ammirevole audacia - che avrebbe organizzato un tavolo di dialogo con la partecipazione di un rappresentante dell’Esecutivo (non lui, certamente), di un rappresentante della Chiesa Cattolica, di rappresentanti di tutti i partiti politici, e rappresentanti dei tre poteri dello Stato. Un tavolo di dialogo?  
Subito ha avuto la risposta dall'opposizione: una delle condizioni per partecipare a quel "tavolo di dialogo" sarebbe contare sulla sua presenza, e inoltre, sarebbe indispensabile escludere il progetto di emendamento che abiliterebbe la rielezione.   
A Horacio Cartes stanno mettendo i puntini sulle i? Per lui è scesa la notte, in quel 31 marzo? È probabile.  
Non appena preso atto della proposta del tavolo di dialogo, senatori, deputati, governatori ed autorità del Partito Colorado a favore della rielezione hanno dichiarato pubblicamente che l'emendamento non sarà ritirato dal Congresso. La rielezione del presidente, di fatto, è proibita dalla Costituzione Nazionale dal 1992 ed è in funzione di tale disposizione che gli oppositori alla rielezione hanno ricorso alla Giustizia per sollecitare che sia dato corso celermente all’istanza di incostituzionalità presentata la settimana scorsa contro l'istituzione del Senato parallelo, e quindi siano considerati illegittime le decisioni adottate da quei senatori. Ugualmente, i senatori che si oppongono alla rielezione hanno presentato a nome del Senato, un ricorso affinché la Camera di Deputati non possa trattare il progetto di emendamento. A questo proposito è emerso che il giudice María Rosa González ha accettato il ricorso in questione, sollecitando la Camera di Deputati di stilare dei rapporti, impedendo in questo modo - semmai momentaneamente - che l'iniziativa sia affrontata.  
Juan Sebastián Godoy, un cittadino paraguaiano, di 30 anni, presente nella Plaza de Armas, di fronte al Congresso la notte della protesta (quando fu dato alle fiamme l'edificio parlamentare), ma anche il lunedì successivo, insieme a numerose persone – tra loro alcuni redattori della nostra redazione paraguaiana – ha dichiarato pubblicamente: "L'incendio del Congresso non è iniziato qui, ma molto prima e quello che non fa piacere è che tutti abbiamo la nostra responsabilità. L'incendio è iniziato quando dicevamo che non ci importava della politica, quando qualche autorità rubava, quando non ci importava se c’era un bambino per strada e tutti ne siamo coinvolti".  
Siamo più che sicuri che dalla poltrona presidenziale, Horacio Cartes ha seguito dettagliatamente ogni avvenimento degli ultimi giorni. È stato il protagonista di turno. È stato il primo attore di un'opera dove gli intrighi di Palazzo (e del Congresso, e del sistema politico), si sono materializzati per favorire le passioni del potere, come quella di cercare forme e modi per non cedere la poltrona di primo mandatario, come se niente fosse, e nel 2018 possa essere di nuovo in corsa per diventare per la seconda volta il massimo dirigente della nazione paraguaiana.   
Horacio Cartes non ha fatto il mea culpa sull'assassinio di Quintana, ma ha deciso di prendere le dovute distanze dai fatti di violenza, dando la responsabilità all'opposizione ed al giornalismo del caos che si è scatenato, incitando e cercando affannosamente che la cittadinanza chiuda un occhio e faccia finta che non sia successo niente. Duole ed irrita tutto questo.

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Niente lascia intravedere un minimo gesto di fare un passo indietro e abbandonare quella maledetta idea (adesso tinta di sangue), di cercare di essere rieletto. Neanche per rispetto del giovane Rodrigo Quintana, della sua carica, del paese e della democrazia si metterà da parte? Per adesso, tutto sta a indicare che Horacio Cartes continuerà con l’idea di una rielezione nel 2018, non importa come ed a quale prezzo.

*Foto di copertina: www.laprensaperú.com
*Foto 2: www.diario99.com - Horacio Cartes y Fernando Lugo
*Foto 3: www.laestrelladeparaná.com - Rodrigo Quintana yace sin vida en el local del PLRA
*Foto 4: www.elpaisinternacional.com - Imagen del video, del asalto policial
*Foto 5: www.eldiariodeyucatán.com - Secuencia del sepelio del joven asesinado
*Foto 6: www.lajornada.com - Protesta por muerte de Rodrigo Quintana

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