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contingente kfor kosovo c GETTYdi Barbara Ciolli
Il veto all'indipendenza. La minoranza serba, da persecutrice a perseguitata. I traffici di armi e uomini. La povertà, la corruzione e l'Islam radicale. Ecco da dove arrivano i jihadisti arrestati a Venezia.

Un gruppo di jihadisti kosovari è stato arrestato a Venezia. Controllati da mesi, gli immigrati con permesso di soggiorno progettavano di andare a combattere in Siria e in Iraq e, dopo l'attentato di Londra, avevano scaricato da Internet manuali di combattimento per «fare qualcosa di simile» anche sul ponte di Rialto. Dalla fondazione del sedicente Califfato, diversi altri arrestati in Italia per la loro radicalizzazione nelle fila dell'Isis e di al Qaeda sono risultati originari dei Balcani. E soprattutto del Kosovo.

IL VETO DI RUSSIA E CINA. La giovane repubblica nata dalle guerre innescate dalla dissoluzione dell'ex Jugoslavia, tuttora sotto amministrazione controllata dell'Onu, si è autoproclamata indipendente nel 2008 ma non viene riconosciuta da 82 dei 193 Stati membri delle Nazioni unite. Anche Cina e Russia che siedono nel Consiglio di sicurezza dell'Onu hanno posto il veto, trascinando per le lunghe la risoluzione 1244 sulla transizione che mantiene in Kosovo un contingente di peacekeeping della Nato (Kfor), ridotto ma ancora di quasi 5 mila unità. Un presidio per la «stabilizzazione» di uno dei non-Stati sparsi per il mondo che diversi esperti antiterrorismo, anche dell'Alleanza atlantica, dicono essere tra i rifugi più probabili delle migliaia di combattenti islamici in fuga dai territori occupati dal Califfato e da una miriade di altre enclavi jihadiste del disastro mediorientale.

Il fenomeno in realtà è già in atto dagli Anni 80, con il flusso da e verso i Balcani di mujaheddin per i campi d'addestramento e i conflitti in Afghanistan e poi anche della ex Jugoslavia. Ma con la sconfitta dell'Isis la diaspora si prevede molto maggiore. Tra le macerie delle guerre in Bosnia e in Kosovo le Ong dell'Islam radicale wahhabita hanno seminato milioni di finanziamenti delle petromonarchie del Golfo e anche della Turchia, facendo moltiplicare le moschee e gli imam di fede estremista salafita nei Balcani, storicamente patria di comunità musulmane tra le più moderate.

PIENO DI IMAM RADICALI. Solo in Albania, che nel cortile di casa del Kosovo ha oltre il 90% di popolazione di lingua madre, negli anni dell'anarchia post regime di Hoxa sono spuntate quasi 200 moschee, per le attuali autorità «non in regola e sfuggite di mano», anche in zone centrali di Tirana. Nella capitale albanese sono finiti in carcere imam in rete con immigrati in Italia e altri forti collegamenti con il Paese. Sempre dall'Albania diversi imam radicali indottrinati con le borse di studio degli sceicchi per la Mecca e Medina, in Arabia Saudita, hanno traslocato nelle moschee di Pristina e nel centinaio di altri luoghi di culto wahhabiti che si stimano essere stati aperti in Kosovo negli ultimi 10 anni. Verso lo Stato autoproclamato convergono musulmani radicali anche dalle confinanti Macedonia, Bosnia, Serbia e Montenegro. Senza contare i radicalizzati interni come l'imam della moschea centrale di Pristina Shefqet Krasniq, fermato per terrorismo.


"Nella polveriera dei Balcani le reti del terrorismo islamico si incrociano con quelle del riciclaggio e del trafficking di droga, armi ed esseri umani"


Nei video dell'Isis sono apparsi terroristi kosovari. Lo scenario che nella polveriera dei Balcani nasca una Cecenia d'Europa è concreto, anche perché nella penisola oltre l'Adriatico le reti del terrorismo islamico si incrociano con quelle del trafficking: contrabbando di droga e armi, tratta di esseri umani e riciclaggio di enormi quantità di denaro sono da decenni l'economia più forte, ramificata e anche molto redditizia della regione. Dalle inchieste anti-terrorismo è emerso come reclutatori radicali kosovari e albanesi dirigessero anche il passaggio di jihadisti di altre origini, dall'Italia verso il Medio Oriente e viceversa, sfruttando a volte la rotta dei migranti.

900 COMBATTENTI JIHADISTI. Per l'intelligence la vera minaccia del terrorismo islamico per l'Italia arriva dai Balcani, solo marginalmente dai barconi dalla Libia. Dai dati delle forze Kfor il piccolo Kosovo scavalca il Belgio per primato di Stato europeo con più combattenti jihadisti in Medio Oriente: circa 900, ma il governo kosovaro ne calcola 360 su circa 2 milioni di abitanti. Un serbatoio in ogni caso elevato, che trova carburante anche nelle lacerazioni: in Kosovo la pace tra etnie e i loro Stati e religioni di riferimento non è stata mai fatta. Tanto meno il contingente della Nato è riuscito a sradicare il proliferare dei traffici della criminalità organizzata.

Spalleggiata da Russia e Cina, la Serbia continua a reclamare gli 11 mila kmq di «provincia autonoma» a sud-ovest. Ma i vincitori di un ventennio di contenzioso sullo status, oltre alle mafie e al terrorismo, dopo i massacri subiti dai serbi sono i separatisti albanesi. Una tendenza ormai irreversibile: per le temute rappresaglie, dalle bombe della Nato nel 1996 il Kosovo si è svuotato della popolazione serba a maggioranza cristiana, cresciuta fino al 30% nella prima metà del '900 dopo la dissoluzione dell'impero ottomano e la formazione del regno di Jugoslavia. Ma iniziata a calare già sotto il regime comunista di Tito.

SERBI CACCIATI E OSTEGGIATI. Circa 5% dei serbi del Kosovo vive asserragliato nella parte occidentale del Paese, 40 mila di loro hanno abbandonato la capitale Pristina. Diverse chiese cristiane-ortodosse sono state distrutte e anche altre minoranze soprattutto di montenegrini e rom se ne sono in parte andati. La popolazione interna, negli ultimi anni, ha ripreso a crescere, anche perché per accogliere i siriani la Germania, che aveva in pancia migliaia di rifugiati e richiedenti asilo dalle guerre nei Balcani, li sta rimpatriando in massa: anche, soprattutto nel caso dei rom, verso il Kosovo riconosciuto indipendente e considerato sicuro.

Ma ancora alla vigilia delle Presidenziali serbe del 2 aprile 2017, barricate di kosovari albanesi hanno bloccato i bus dei politici di Belgrado venuti a fare propaganda in tutto il Paese per i serbi kosovari che votano anche per la Serbia. Le tensioni sono continue nel Paese vincitore della prima bella medaglia alle Olimpiadi del 2016. Oltre il 95% dei kosovari è musulmano – ancora moderato – ma alle vecchie generazioni cresciute con le prediche degli ascetici sufi si stanno sostituendo i giovani nutriti dai fiumi di petrodollari dei wahhabiti. E i kosovari albanesi vantano il più alto tasso di crescita demografica in Europa.

SCINTILLE CONTINUE. A ogni incontro di negoziato tra Serbia e Kosovo esplodono proteste con scontri e decine tra arrestati e feriti. Anche nel 2016, per l'elezione in Parlamento del presidente, una folla lanciò pietre e bombe incendiarie contro il governo e il nuovo capo di Stato: il due volte premier Hashim Thaci, già leader dell'esercito di liberazione (Uck), sospettato di traffico di organi e di altri gravi illeciti. La corruzione è altissima, la disoccupazione al 33% nonostante l'enorme giro di business illeciti nella parte più povera della vecchia Jugoslavia, l'estremismo islamico prolifera: tutti sintomi, in prospettiva, di un ennesimo Stato fallito dopo l'intervento degli americani e della Nato.

Tratto da: lettera43.it

In foto: il contingente Kfor in Kosovo (© GETTY)

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