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regeni cairo ambasciata c infophotodi Pietro Vernizzi
Per Giulietto Chiesa, Regeni è stato ucciso dai servizi segreti dietro a cui ci sono potentati economici o capitali i cui interessi sono stati disturbati dalla collaborazione Italia-Egitto.

Giulio Regeni. “L’uccisione di Regeni è un segnale mafioso proveniente dai servizi segreti e rivolto tanto a Renzi quanto a Sisi. Dietro ci sono dei potentati economici o delle capitali i cui interessi sono stati disturbati dalla collaborazione politica, economica e strategica tra Italia ed Egitto”. Lo evidenzia Giulietto Chiesa, giornalista, commentatore politico ed ex europarlamentare. Per oggi, giovedì, è previsto l’incontro a Roma tra gli investigatori egiziani e quelli italiani. Mercoledì intanto Repubblica ha pubblicato i contenuti di alcune e-mail anonime in cui si descrivono particolari molto dettagliati sul modo in cui Regeni sarebbe stato torturato, affermando che il presidente egiziano Abdel Fattah Al-Sisi e il ministero dell’Interno erano al corrente di quanto stava avvenendo.

Chiesa, lei che idea si è fatto dell’uccisione di Regeni?
In primo luogo, l’intervista che Abdel Fattah Al-Sisi ha rilasciato a Repubblica è particolarmente interessante perché ci fornisce la versione di colui che è stato messo sotto accusa dai principali media italiani. Gli effetti del caso Regeni hanno colpito la leadership egiziana, e sostanzialmente Sisi si dichiara vittima di questa operazione politica. Il presidente egiziano si è difeso e io trovo abbastanza credibile la sua versione dei fatti.

Allora secondo lei chi lo ha ucciso?
E’ evidente che dietro a questa operazione ci sono i servizi segreti. Bisogna vedere nell’interesse di chi sia stata organizzata. Quello che dobbiamo chiederci è chi avesse l’obiettivo di colpire sia la direzione politica egiziana sia in parte quella italiana, che aveva intrapreso seri rapporti economici con il Cairo. Sta di fatto che a qualcuno non è piaciuta l’operazione politica, economica e strategica condotta congiuntamente da Italia ed Egitto. Si è quindi preso il primo italiano che è capitato sotto mano e lo si è ucciso per dare un segnale mafioso rivolto sia a Renzi che a Sisi.

Lei vuole dire che i servizi segreti egiziani hanno mandato un segnale mafioso al presidente Sisi?
Il punto è che nei servizi segreti spesso ci sono dei gruppi deviati. Questi ultimi possono avere ucciso Regeni per conto di determinati settori internazionali che volevano raggiungere questo risultato. Dietro ci sono grandi interessi economici che sono stati turbati dalla collaborazione più stretta tra Italia ed Egitto, insieme a qualche capitale implicata nelle vicende della crisi mediorientale.

Che cosa ne pensa delle e-mail anonime inviate a Repubblica?
Chi ha trasmesso le indiscrezioni a Repubblica è una persona che sa molte cose e che lavora al servizio degli autori dell’omicidio di Regeni. Le e-mail parlano un linguaggio mafioso, bisognerebbe capire bene quali messaggi contengano. Io li leggo come una vera e propria indicazione sui comportamenti da tenere. Ci sono delle similitudini straordinarie con i comportamenti della mafia italiana nei suoi momenti migliori.

Come valuta il comportamento della magistratura egiziana in questa vicenda?
Ricordo che negli anni 70 in Italia durante la strategia della tensione noi abbiamo avuto episodi molto simili. Ci sono state deviazioni e depistaggi variamente ispirati, non soltanto dalla magistratura ma anche da polizia e servizi segreti. Nel caso della magistratura egiziana abbiamo anche un personale scadente che si è trovato al centro di un caso che ha assunto caratteri internazionali. C’è quindi un effetto d’insieme composto da depistatori, pm in cerca di notorietà e persone ingenue che, per dimostrare di dominare la materia, si sono inventati delle cose di sana pianta.

Le sembra normale che in uno Stato ci siano infiltrazioni di questo tipo?
Nelle strutture dello Stato c’è sempre una serie di uomini piazzati ai diversi gradini della gerarchia per depistare le indagini. Perché l’omicidio di Regeni raggiungesse i suoi obiettivi, occorreva utilizzare i pezzi dello Stato messi lì con largo anticipo per deviare, bloccare e insabbiare. La stessa cosa è avvenuta non solo nell’Italia degli anni 70, ma anche in Francia in connessione con gli atti terroristici dell’anno scorso. Figuriamoci se nello Stato egiziano non ci sono state da sempre questo tipo di strutture.

Tratto da: ilsussidiario.net

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