di Salvo Vitale - 13 febbraio 2013
Non succedeva da secoli. Ci sono state discussioni, se chiamare le sue “dimissioni” o “abdicazione”: considerato che abdicano i re e che il papato non è ereditario, ma è una carica attribuita dal Concistoro, si tratta indiscutibilmente di dimissioni, poiché il papa-re non esiste più dal 1870. L’ultimo a dimettersi è stato Pietro da Morrone, un eremita in odore di santità, diventato papa il 29 agosto 1224, dopo 27 mesi in cui il seggio papale era rimasto vuoto, a causa dell’incapacità dei cardinali di mettersi d’accordo. E allora i cardinali erano 12, uno dei quali morì nel corso del conclave. Prima di lui si erano dimessi, nel tempo, altri 4 papi, San Clemente primo, Papa Ponziano, Papa Silverio e Benedetto IX. Quindi è il sesto papa che si dimette: niente di così “storico”, di così sbalorditivo, di così rivoluzionario, come i giornali e i cantori vaticanisti si sono subito messi a sbandierare.
Pietro da Morrone divenne papa col nome di Celestino V e resistette sul soglio appena quattro mesi, dopo di che, frastornato da un compito cui non era capace di far fronte, abbandonò tutto e tornò a fare l’eremita, fino a quando il suo successore, Bonifacio VIII non lo fece catturare e arrestare. Finì la sua vita in carcere, qualche storico sostiene che sia stato fatto assassinare dallo stesso Bonifacio VIII, il quale, stando a quanto scrive Montanelli nella sua “Storia d’Italia”, nel periodo in cui Celestino era papa, aveva realizzato una specie di buco amplificato che comunicava con la stanza del papa e ogni notte gli gridava: “Sono l’angelo del signore. Torna romito”. Dopo qualche mese di questo terrorismo psicologico, Celestino, che parlava solo in stretto dialetto abruzzese, abbandonò tutto e fuggì sui suoi monti dell’Appennino. Per la chiesa è un santo, comunque, non un martire, per Dante Alighieri invece è un dannato posto all’inferno tra gli “ignavi”, cioè tra gli uomini inutili, vigliacchi e senza coraggio, nei cui confronti bisogna adottare un solo atteggiamento: “Non ti curar di lor, ma guarda e passa”. Celestino fu bollato per l’eternità col verso: “colui che fece per viltade il gran rifiuto”.
Di questo santo, patrono di Isernia, Benedetto XVI è stato un ammiratore, al punto da recarsi all’Aquila, dopo che il terremoto ne aveva seppellito sotto le macerie la tomba. Si dimise con queste parole: “Io Papa Celestino V, spinto da legittime ragioni, per umiltà e debolezza del mio corpo e la malignità della plebe, al fine di recuperare con la consolazione della vita di prima, la tranquillità perduta, abbandono liberamente e spontaneamente il Pontificato e rinuncio espressamente al trono, alla dignità, all'onere e all'onore che esso comporta, dando sin da questo momento al sacro Collegio dei Cardinali la facoltà di scegliere e provvedere, secondo le leggi canoniche, di un pastore la Chiesa Universale. » Chissà a cosa si riferiva l’eremita quando parlava di “malignità della plebe”!! Quindi dimissioni fatte “per il bene della Chiesa”, così come quelle di Ratzinger, con la convinzione di non essere in grado di andare avanti, soprattutto per condizioni fisiche. Il gesto eclatante delle dimissioni è da considerare, come ha fatto Dante con Celestino, un atto di viltà? Tutti in coro si sono messi a dire che quello di Ratzinger è stato un atto di coraggio. E va be’, ognuno è libero di pensarla come vuole: è opinabile pensare che ci vuole più coraggio a dimettersi che a restare e viceversa.
Perché Ratzinger se n’è andato? Nel can can scatenatosi dopo questo gesto, sono state fatte alcune ipotesi:
1) Perché ricattato da qualcuno, come il suo ex segretario Paolo Gabriele, a conoscenza di qualche segreto che lo riguardava. Non dimentichiamo che Gabriele fotocopiava documenti segreti per passarli a un giornalista che ci ha fatto un libro. Condannato dalla magistratura, è stato subito perdonato e graziato dal papa.
2) Perché gravemente ammalato: Pare però che, per i suoi medici, non soffra di particolari patologie, anche se si è scoperto che tre mesi fa era stato operato, all’insaputa di tutti, al cuore.Ma si è trattato solo di un cambio delle batterie a un playmaker che portava da tempo.
3) Perché ormai incapace di reggere il peso d’una Chiesa, anch’essa incapace di rinnovarsi e di adattarsi ai nuovi tempi: ovvero, come ha detto il teologo Vito Mancuso, “incapace di leggere ciò di cui ha bisogno la Chiesa oggi”.
4) Perché nauseato dagli intrighi, dalle lotte intestine e interne alla Chiesa, dagli scandali, dagli spericolati giochi finanziari dei suoi banchieri, dalla difficoltà di arginare la pedofilia nascosta, dalla coscienza di non poter porre un argine a scelte da sempre condannate dalla chiesa, dal matrimonio tra gay alle pericolose avventure della genetica;
5) Perché si è reso conto di essere solo un teologo che pone molta attenzione ai problemi della teoria religiosa e trascura l’attività sociale, la vicinanza ai problemi drammatici legati alla sopravvivenza dell’uomo in una società dove domina lo sfruttamento selvaggio, dove le classi sociali sono sempre più distanti tra di loro, i poveri più poveri e i ricchi più ricchi, dove il posto di lavoro è giornalmente messo in discussione e, con esso, la stabilità della famiglia e la serenità dell’esistenza.
Su Raztinger ne sono state dette di tutti i colori: chi lo ha chiamato Natzinger, chi Katzinger, chi Craczinger, chi il “pastore tedesco”. Si è detto che fosse stato il suggeritore della politica e dei gesti del suo predecessore Giovanni Paolo Secondo, che fosse a conoscenza, o addirittura che fosse protagonista dei giochi sotterranei del Vaticano, delle oscure manovre dell’IOR, cioè della banca vaticana, ultimamente invischiata anche nelle vicende del Monte dei Paschi di Siena, persino che avesse stipulato precisi accordi col governo Berlusconi, al quale avrebbe garantito l’appoggio in cambio di un aumento dei contributi a tutto quello che appartiene alla sfera del Vaticano (esenzione dall’ICI, Scuole private, Enti religiosi, politiche contro la fecondazione assistita e contro l’eutanasia, assunzione in ruolo degli insegnanti di religione, con condizioni privilegiate ecc.).
Di fatto è stato un papa conservatore, ostinatamente arroccato nella sua concezione di condanna del relativismo e sostenitore del cristianesimo come unica verità possibile: il dialogo con le altre religioni si è fermato a qualche incontro formale, ma non c’è stata l’apertura a suo tempo promessa o auspicata dal Concilio Vaticano Secondo. Anzi, si può dire che, dopo Woytila, Ratzinger ha finito con il chiudere completamenti i pochi spazi di intercultura ancora presenti del grande momento che fu il Concilio.
Questa intransigenza ha suscitato anche la rabbia dei musulmani, come successo durante la visita a Ratisbona, con le affermazioni poco felici nei confronti dei seguaci di Maometto.
Arriviamo così al problema di fondo: il tempo si snoda molto velocemente, con il suo carico di idee, di bisogni, di problemi sociali, di esigenze spirituali, ma la Chiesa cattolica è rimasta ferma con i suoi dogmi e la sua dottrina, al Concilio di Trento, fatto nel XVI secolo per porre un argine al dilagante protestantesimo. I tempi, rispetto ad allora sono ben diversi: la carica d’innovazione dell’ultimo concilio si è lentamente svuotata e sono tornati a galla i vecchi mali del conformismo, del rito formale, della gerarchia, della funzione del parroco come mestiere. Il grande momento che possa inserire l’uomo nell’universo, di cui fa parte e realizzarlo interamente come momento di una divinità che appartiene sia a lui che a tutto quello che lo circonda, è stato condannato dalla Chiesa come “panteismo”, ma è il modo più intenso e più dinamico di trasformazione della religione in religiosità, del dio in divinità che tutto pervade e nel tutto si identifica: in questo tutto la diversità dei nomi degli dei e dei culti con cui ci si rapporta con loro, diventa momento di cultura popolare ed espressione di un’unica esigenza: quella di dare una risposta al bisogno umano di realizzarsi ipotizzando qualcuno che lo trascenda e al quale rivolgersi per completare le sue insufficienze. C’è poi l’annoso problema della sessualità, dalla pedofilia, male cronico di alcuni settori della chiesa, alla condanna del divorzio, della fecondazione assistita, del rapporto non consumato all’interno del matrimonio, addirittura di qualsiasi rapporto che non contempli l’unione del sesso maschile e femminile, solo con l’intenzione della fecondazione per aver figli: fuori da ciò tutto è peccato. Va interamente rivista anche la concezione del peccato da intendere non come macchia della propria coscienza, ma come abuso del naturale rapporto di rispetto tra gli uomini. Per non parlare del ruolo del prete come “intermediario” tra dio e l’uomo. A scapito del contatto diretto tra il credente e la divinità. Alcune di queste cose erano state intuite nel 1500 da Lutero e successivamente da Spinoza, ma subito condannate. Ora i tempi sono diversi: molte coppie non hanno bisogno della benedizione religiosa per stare insieme e non vanno condannate se stanno insieme senza di essa. Non si può obbligare una coppia a stare insieme, teorizzando l’indissolubilità del matrimonio, quando la vita diventa un inferno, così come non si può obbligare una donna a partorire quando essa non si sente di accettare pienamente una nuova vita e di sostenerla. Altra questione ancora oggi non risolta è quella del celibato sacerdotale e l’esclusività maschile di questo ruolo; perché negare alle donne la possibilità di diventare sacerdotesse? Si potrebbe parlare di molte e molte cose ancora: forse Ratzinger si è dimesso perchè, da persona sempre vissuta nell’ambito di una cultura religiosa strettamente occidentale e particolarmente cattolica, ha avvertito l’urgenza e la necessità di rapportarsi con questi nuovi e spinosi temi, ma non ha trovato sufficiente coraggio per fare i conti con essi. Non c’è nessuna chiesa circondata da lupi né nessuna navicella allo sbando, che ha bisogno di un nocchiero, tipo Woytila: c’è bisogno di un incontro tra “gli uomini di buona volontà” che, in un secolo che ha visto un lento ma inesorabile declino delle ideologie, sappia dare riferimenti senza inferni per i cattivi né paradisi per i buoni, ma che trovi all’interno dell’intersoggettività il senso di una divinità che invece è trasferito fuori di essa. Insomma, un nuovo concilio aperto ai laici che, per prima cosa metta da parte alcuni dogmi proclamati da Pio IX, come quello dell’infallibilità del papa o della verginità di Maria, oggi contestati persino da noti teologi, e restituisca più umanità a persone o principi che si tende a divinizzare.