Questo sito utilizza cookie tecnici e di terze parti per migliorare la navigazione degli utenti e per raccogliere informazioni sull’uso del sito stesso. Per i dettagli o per disattivare i cookie consulta la nostra cookie policy. Chiudendo questo banner, scorrendo questa pagina o cliccando qualunque link del sito acconsenti all’uso dei cookie.

di Maurizio Chierici - 22 maggio 2012
Mentre scrivo la terra trema nella pianura del terremoto. Ascolto le voci dei profughi sotto tende bagnate attorno a macerie di torri, castelli, campanili che avevano accompagnato la loro storia. E poi quegli operai schiacciati. Disperazione sulla quale arriva una notizia fuori dal mondo, poche righe nei bollettini della conferenza Nato di Chicago. L’Italia si impegna a versare 400 milioni l’anno per ricostruire l’Afghanistan: 4 miliardi di euro in 10 anni.

Washington può tirarne fuori solo 30, al resto pensiamo noi arruolati a sparare dal presidente Bush. Il ministro Terzi fa sapere che “Kabul avrà priorità altissima, nonostante i tagli della manovra anticrisi”: non possiamo sottrarci per l’illusione del restare fra i Grandi. Con le tasche vuote diventiamo gli zii d’America di una specie di piano Marshall che vorrebbe risanare non solo i disastri morali e sociali di una campagna strategicamente insensata nella quale abbiamo sepolto migliaia di civili disarmati e i nostri ragazzi costretti al mestiere della guerra per non aver trovato un mestiere di pace; paghiamo per rimettere in piedi le città e i villaggi che abbiamo bruciato, paghiamo per addestrare polizie corrotte nell’illusione di contenere una violenza lunga 150 anni e destinata a non finire mai. Paghiamo per lavarci la coscienza, ma i soldi chi li tira fuori? Da 10 anni la fedeltà atlantica costa all’Italia 50 mila euro al minuto, 72 milioni al giorno. L’Australia se ne è andata da mesi, l’anno prossimo la Francia prende cappello, noi restiamo per addestrare le divise del presidente Karzai, famiglia di narcos, fratello ucciso nell’imboscata tra capimafia rivali: ha truccato le elezioni che l’Obama appena arrivato voleva rifare, ma i suoi generali hanno consigliato di lasciar perdere. I concorrenti erano peggio. Adesso ricostruiamo l’Afghanistan mentre L’Aquila è ancora lì. Dopo il terremoto, con la furbizia di chi sa improvvisare sorprese per ospiti che lo consideravano così così, Berlusconi ha trascinato il G8 nella città ferita strappando all’emozione dei padroni del mondo l’impegno ad aprire il portafoglio. Ma poi la crisi o i rapporti delle ambasciate che raccontavano la stranezza dei nostri appalti e i familismi del sottosegretario Gianni Letta sceso a Roma dalle montagne d’Abruzzo, insomma, solito minestrone Seconda Repubblica al quale nessuno ha avuto il coraggio di mescolare la dignità del paese che rappresenta. E L’Aquila resta puntellata, isolata, congelata. Anche l’eclissi di Bertolaso non ha spostato un mattone nel centro storico, monumento senza vita. Ecco il terremoto di ieri: con quali risorse rimettere in piedi fabbriche che erano costrette ai turni di notte dal mercato interessato a manufatti d’avanguardia, adesso inginocchiate dalla terra che trema? Forni schiacciati, consegne sbriciolate. Osservo i senza casa e senza lavoro: sfogliano i giornali per controllare cosa è successo nei paesi vicini o nelle città degli amici. Aggrappati ai cellulari fanno il giro per invidiare la fortuna di chi dorme nel proprio letto. Non sembrano angosciati, ma in silenzio fanno i conti. Come ricominciare? La regione, lo Stato, solidarietà di chi raccoglie un po’ di soldi, anche se un po’ non bastano. Sfogliano i giornali per capire quale futuro li aspetta. Forse il governo oggi risponderà. Guardano solo le notizie terremoto. Le altre curiosità non contano, ormai. Per fortuna. Quando scopriranno che l’Italia ricostruisce l’Afghanistan mentre L’Aquila ancora aspetta, il sospetto di finire nella terza fila della waiting list potrebbe incrinare la concretezza delle abitudini civili. E appena i ministri e il povero Monti viaggiatore arriveranno alle loro rovine non è sicuro se le voci resteranno basse. Magari non si fidano come finora si stanno fidando.

Tratto da: Il Fatto Quotidiano

ANTIMAFIADuemila
Associazione Culturale Falcone e Borsellino
Via Molino I°, 1824 - 63811 Sant'Elpidio a Mare (FM) - P. iva 01734340449
Testata giornalistica iscritta presso il Tribunale di Fermo n.032000 del 15/03/2000
Privacy e Cookie policy

Stock Photos provided by our partner Depositphotos