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di Enrico Piovesana - 24 febbraio 2012
La Corte europea dei diritti dell’Uomo ha condannato questa mattina l’Italia per la pratica dei respingimenti degli immigrati in alto mare, ripetutamente attuata dal governo Berlusconi dopo l’accordo bilaterale firmato con la Libia di Gheddafi il 4 febbraio 2009.

I diciassette giudici della Grande Camera della corte di Strasbrugo dovevano giudicare, nello specifico, il caso “Hirsi Jamaa e altri contro Italia”, ovvero il ricorso contro il governo italiano presentato tre anni fa da undici somali e tredici eritrei.

La Corte ha riconosciuto l’Italia colpevole di aver violato l’articolo 4 della Convenzione europea dei diritti dell’Uomo che vieta le espulsioni collettive e l’articolo 3 sui trattamenti degradanti e la tortura, oltre al diritto effettivo per le vittime di fare ricorso presso i tribunali italiani, sancito dall’articolo 13 della stessa Convenzione.
La Corte ha quindi, per la prima volta, equiparato il respingimento collettivo alla frontiera e in alto mare alle espulsioni collettive nei confronti di chi è già nel territorio.

L’Italia è stata condannata a versare un risarcimento di 15mila euro, più le spese, a ventidue delle ventiquattro vittime, in quanto due ricorsi non sono stati giudicati ammissibili.

Il 6 maggio 2009 i ventiquattro migranti erano a bordo di un barcone carico di duecento disperati, tra cui bambini e donne in stato di gravidanza, salpati dalla Libia alla volta dell’Italia, intercettato dalla Guardia costiera 35 miglia al largo di Lampedusa. I rifugiati furono trasbordati su tre unità navali militari italiane e, senza procedere a identificazione, condotti al porto di Tripoli e consegnati alle autorità libiche.

“Dopo ventidue ore di navigazione in condizioni drammatiche, i duecento migranti trasferiti a bordo delle imbarcazione italiane pensavano che sarebbero stati portati in Italia”, spiega a E online uno dei loro difensori, l’avvocato Anton Giulio Lana. “I nostri militari non dissero loro nulla sulla destinazione, li ingannarono. Solo riconoscendo il porto di Tripoli si resero contro di essere stati riportati indietro”.

“Erano disperati – racconta l’avvocato – e imploravano i nostri militari di non lasciarli lì, spogliandosi e inginocchiandosi ai loro piedi. Vennero rinchiusi nei campi di concentramento libici, dove tramite gli operatori umanitari del Consiglio italiano per i rifugiati ventiquattro di loro decisero di ricorrere alla corte di Strasburgo. Durante la reclusione subirono maltrattamenti e torture. Poi venne la rivoluzione libica e fuggirono, ma dovettero scappare dai ribelli che li credevano mercenari di Gheddafi”.

“La maggior parte di loro si rifugiò in Tunisia – prosegue Lana – altri ripresero la via del mare verso l’Europa. Di molti abbiamo perso ogni traccia, di alcuni sappiamo che sono morti durante la traversata. In pochi ce l’hanno fatta e ora stanno a Malta, in Svizzera, uno anche in Italia con tanto di riconoscimento dello status di rifugiato politico: tristemente paradossale, no?”.

Il governo italiano aveva impostato la sua difesa di fronte alla Corte sostenendo che la Libia era da considerarsi un “luogo sicuro” e che i ricorrenti non avrebbero in alcun modo manifestato agli ufficiali di bordo la loro volontà di richiedere l’asilo o altra forma di protezione internazionale. I giudici di Strasburgo hanno rigettato integralmente le difese del Governo Italiano, ritenendo che ai migranti intercettati in acque internazionali non sia stata offerta alcuna possibilità effettiva di ottenere una valutazione individuale delle loro situazioni al fine di beneficiare della protezione accordata ai rifugiati dal diritto internazionale e comunitario.

“Una sentenza di condanna all’Italia – commentava ieri a E online l’avvocato Paolo Oddi, avvocato immigrazionista dell’Associazione giuridica studi immigrazione (Asgi) – sancirebbe un precedente vincolante per l’Italia e per tutti i Paesi europei, mettendo la parola ‘fine’ a ogni discussione sulla legittimità di accordi bilaterali che prevedano pratiche che violano i diritti umani fondamentali”.

“Questa sentenza – ha dichiarato oggi Christopher Hein, direttore del Consiglio italiano per i rifugiati – prova che nelle operazioni di respingimento sono stati sistematicamente violati i diritti dei rifugiati. L’Italia ha infatti negato la possibilità di chiedere protezione e ha così respinto in Libia più di mille persone che avevano il diritto di essere accolte in Italia. Vogliamo che questo messaggio arrivi in maniera inequivocabile al Governo Monti: nel ricontrattare gli accordi di cooperazione con il governo di transizione libico, i diritti dei rifugiati non possono essere negoziati. Su questo tema ci aspettiamo dal nuovo esecutivo posizioni chiare e più forti di quelle che abbiamo rilevato in queste settimane”.

Link al testo (in inglese) della sentenza

Tratto da: eilmensile.it

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