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chomsky-naom-webdi Noam Chomsky - 23 gennaio 2012
Il 15 giugno, tre mesi dopo l’inizio dei bombardamenti della Nato contro la Libia, l’Unione africana (Ua) ha espresso al Consiglio di sicurezza dell’Onu la posizione dei cittadini del continente sull’attacco. Un attacco sferrato di fatto dagli ex aggressori imperiali dell’Africa – Gran Bretagna e Francia – affiancati dagli Stati Uniti, con un ruolo marginale di alcuni altri paesi.


In realtà gli interventi erano stati due. Il primo, in base alla risoluzione 1973 del Consiglio di sicurezza dell’Onu del 17 marzo, chiedeva una no fly zone, il cessate il fuoco e misure per proteggere i civili. Poco dopo, però, il trio imperiale si è unito agli insorti, diventando di fatto l’aviazione della ribellione.

All’inizio dei bombardamenti l’Unione africana aveva sollecitato dei tentativi diplomatici per cercare di sventare una catastrofe umanitaria. Agli appelli dell’organizzazione si erano uniti quelli dei Brics (Brasile, Russia, India, Cina e Sudafrica) e di altri paesi. In effetti il trio era piuttosto isolato nei suoi attacchi, intrapresi per eliminare il volubile tiranno che l’occidente aveva appoggiato fino a quando gli era sembrato conveniente. Ora serviva un regime più arrendevole verso le pretese occidentali sulle risorse della Libia e che magari potesse anche concedere una base al comando statunitense per l’Africa, Africom, fino a quel momento confinato a Stoccarda.

Non possiamo sapere se con i tentativi relativamente pacifici sollecitati dalla risoluzione 1973 dell’Onu, e appoggiati da quasi tutto il mondo, sarebbe stato possibile evitare la perdita di tante vite umane e la devastazione della Libia. Il 15 giugno l’Unione africana informava il Consiglio di sicurezza che “ignorarla per tre mesi e continuare a bombardare il sacro suolo africano era stato un atto di prevaricazione, arroganza e provocazione”.

Nell’appello al Consiglio di sicurezza l’Ua osservava: “La sovranità è stata uno strumento di emancipazione per i popoli del continente che stanno cominciando a gettare le basi di un importante cambiamento per la maggior parte dei loro paesi, depredati per secoli dal commercio degli schiavi, dal colonialismo e dal neocolonialismo. Un assalto sconsiderato alla sovranità delle nazioni africane equivale quindi a infliggere nuove ferite al destino dei loro popoli”. In occidente non si è parlato di quest’appello, apparso sulla rivista indiana Frontline.

La cosa non sorprende, perché gli africani sono “non persone”, per usare il termine coniato da George Orwell per indicare chi era inadatto a entrare nella storia. Il 12 marzo la Lega araba si è guadagnata lo status di “persona” appoggiando la risoluzione Onu 1973. Ma l’apertura di credito è subito finita quando ha negato il sostegno al bombardamento occidentale contro la Libia. E il 10 aprile la Lega araba è tornata a essere una “non persona”, chiedendo all’Onu di imporre una no fly zone anche su Gaza e di far cessare l’assedio israeliano. Un appello che è stato praticamente ignorato. Anche questo è comprensibile: come constatiamo regolarmente, i palestinesi sono il prototipo delle “non persone”.

Pensate, per esempio, al numero di novembre/dicembre della rivista statunitense Foreign Affairs, che si apriva con due articoli sul conflitto israelo-palestinese. Il primo, scritto dai funzionari israeliani Yosef Kuperwasser e Shalom Lipner, attribuisce ai palestinesi la colpa del conflitto, perché si rifiutano di riconoscere Israele come stato ebraico. Il secondo, dello studioso statunitense Ronald R. Krebs, attribuisce il problema all’occupazione israeliana. Il suo occhiello è: “L’occupazione sta distruggendo il paese”.Ma quale paese? Israele, naturalmente, costretto a opprimere quelle “non persone”.

Un altro esempio: a ottobre, molti giornali hanno annunciato trionfanti la liberazione di Gilad Shalit, il soldato israeliano catturato da Hamas. L’articolo del New York Times Magazine era dedicato alle sofferenze della sua famiglia. Shalit era stato rilasciato in cambio di centinaia di “non persone”, delle quali abbiamo sentito parlare appena, se si esclude il dibattito sull’eventualità che la loro liberazione potesse danneggiare Israele. Non abbiamo mai saputo nulla neanche delle altre centinaia di detenuti rinchiusi per lunghi periodi senza accuse specifiche nelle prigioni israeliane. Tra questi ci sono i fratelli Osama e Mustafa Abu Muamar, due civili rapiti dall’esercito israeliano quando entrò a Gaza il 24 giugno 2006, il giorno prima che fosse catturato Shalit, e poi “scomparsi” nel sistema carcerario dell0 stato ebraico.

Qualsiasi cosa si possa pensare della cattura di un soldato di un esercito durante un conflitto, rapire civili è chiaramente un crimine molto più grave, a meno che, ovviamente, si tratti di “non persone”. Questa strana razza di “non persone” si può trovare ovunque, anche negli Stati Uniti, nelle carceri del paese, che sono uno scandalo per tutto il mondo, nelle mense dei poveri, nei quartieri ghetto in sfacelo. Ma citare solo questi esempi è fuorviante. L’intera popolazione mondiale barcolla sull’orlo di un buco nero.

Povera umanità infelice!

Traduzione di Bruna Tortorella

Fonte: internazionale.it

Tratto da: megachip.info

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