Gino Strada lancia S.O.S. Emergency. “Più impegno sul fronte interno”
di Stefano Citati - 20 dicembre 2011
Gino Strada, la campagna “S.O.S. Emergency” per la raccolta fondi si concentra molto sull’Italia. Il nostro paese è una delle nuove frontiere del disagio dove sempre più persone hanno bisogno di aiuto?
A me sembra che l’Italia sia sempre più terra straniera, un luogo in qualche modo alieno, non solo per le necessità degli stranieri, ma anche di molti cittadini italiani. Da anni mi sono reso conto che i bisogni non sono solo oltre frontiera, in altri paesi, dove noi siamo presenti da tempo, ma sempre più qui, in patria.
Per questo abbiamo aperto il poliambulatorio a Palermo per i migranti, dove curiamo, in modo del tutto gratuito, persone che vengono da oltre 70 paesi. E poi a Marghera, nato con lo stesso obiettivo e dove, con il passare del tempo, ci siamo accorti che che la presenza degli italiani è salita oltre il 20% del totale: nuovi poveri, scesi sotto la soglia della miseria. E poi gli ambulatori mobili, che seguono i braccianti nei loro massacranti lavori stagionali.
La sanità italiana è sempre più malata, e questo si riflette sulla vita di tutti. La via della guarigione passa sempre più attraverso soluzioni economiche. C’è un’altra via?
Non mi pare che ci sia bisogno di gran consulto di economisti, bastano quattro amici al bar per dare formule economiche. Ma bisognerebbe ribaltare la questione: non è quanti risparmi si possono fare sulla sanità, ma quante e quali sono le necessità e recuperare i fondi altrove. Perché non tagliare i soldi per la guerra? Nessuno lo ha mai veramente fatto, nemmeno questo governo mi pare, almeno per ora. Perché noi i costi delle guerre in questa situazione proprio non ce le possiamo permettere, ed è un esercizio che pare si faccia solo per susseguio alla potenza a stelle e strisce. E l’altro problema è smetterla con la bestemmia che bisogna trasformare gli ospedali in aziende. Faccio un esempio: scommetto che se il ministero della Sanità o chi per lui potesse darci in gestione San Raffaele decidendo quale è il budget adeguato, saremmo in grado di curare tutti gratuitamente, senza far pagare alcun ticket, tenendo i conti a posto. E questo perché la differenza la fa il profitto del privato, mentalità e sistema che si è infiltrata nelle strutture pubbliche. Facciamo il caso dell’intervento di sostituzione mitralica che è sovvenzionato dal servizio pubblico con 25mila euro ma il cui costo di base è di 2.000. O le pulizie, appaltate all’esterno, mentre l’igiene di un ospedale non può essere considerato una possibilità di lucro. Negli ultimi decenni l’idea di servizio pubblico si è sgretolata a tappe successive, anche per via della casta medica: l’arrivo della libera professione all’interno degli ospedali, l’aziendalizzazione, l’esternalizzazione dei servizi; la quantità al posto della qualità. Pubblico e privato devono poter rimanere separati, e le case di cura camminare con le proprie gambe. È un discorso che vale anche per un altro pilastro della nostra repubblica: l’istruzione.
Per questo chiederete ai vostri sostenitori uno sforzo per impegnarsi anche in Italia. Ma i fondi mancano perché si riduce il numero dei donatori o la quantità di denaro che arriva?
Il numero di donatori di Emergency è per fortuna in costante aumento, ma essendo in gran parte normali cittadini, hanno meno soldi, e il flusso generale si è ridotto. Chiediamo 5 milioni di euro, per continuare i nostri 47 progetti con i quali siamo presenti in 7 paesi, e per aprire 5 nuovi ambulatori in Italia, nelle città dove il bisogno è maggiore: penso a Bari, Napoli, Roma... Con questo impegno all’estero abbiamo guadagnato il rispetto delle popolazioni che abbiamo assistito; in Italia un buon servizio pubblico, il rispetto del bene comune, ridà fiducia nei confronti dello Stato. Per noi è un’avventura di civiltà che deve continuare, nonostante le difficoltà, anche burocratiche come, per esempio, i due anni di tempo che lo macchina statale ci mette a stabilire ed erogare il 5x1000. In fin dei conti alle difficoltà siamo abituati: penso ad Azzarà e alla sua vicenda in Sudan, che si è conclusa bene; ma penso anche ai successi dei nostri centri in Afghanistan dove abbiamo già raggiunto e superato di molte volte gli obiettivi del millennio sulla mortalità materna che l’Onu si è prefissato per il 2015. E mi ricordo anche che storicamente, è nei momenti di crisi che i cittadini si sentono più solidali.
Quale è la cosa che le farebbe più piacere poter fare, l’impegno che sente più urgente e personale.
Sono un chirurgo, vorrei poter tornare a operare; vorrei poter dedicare più tempo alla sala operatoria, a curare i miei malati.
Tratto da: Il Fatto Quotidiano