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“Prelevati dagli alberghi e imbarcati forzatamente: trattati come criminali. Ci allontanano per evitare incidenti diplomatici”

La denuncia di alcuni attivisti italiani partiti da Milano per partecipare alla Global March to Gaza - la marcia internazionale pacifica e non violenta in direzione di Rafah, in segno di solidarietà con il popolo palestinese - è una denuncia che inevitabilmente lascia l'amaro in bocca. Andrea Usala e Vittoria Antonioli Arduini, due studenti di Torino, di 25 e 21 anni, come molti altri giovani cittadini provenienti da decine di Paesi, hanno denunciato di essere stati bloccati all’aeroporto del Cairo. Altri attivisti, come Antonietta Chiodo, hanno riferito di essere stati prelevati dagli alberghi in cui soggiornavano in Egitto, privati dei documenti e imbarcati a forza su mezzi diretti agli aeroporti, come se fossero criminali. Sempre secondo Chiodo, l’azione sarebbe stata compiuta dalle autorità egiziane, probabilmente su pressione del governo israeliano, intenzionato a bloccare ogni possibile mobilitazione nei pressi del confine con Gaza. Difatti, l'obiettivo finale della marcia era proprio quello di raggiungere il valico di Rafah, che collega l'Egitto alla Striscia, per chiedere, in modo simbolico ma concreto, l'apertura del passaggio umanitario, che nelle migliori circostanze è fortemente limitato, in quelle peggiori, completamente chiuso.


Partiti per fermare un genocidio

La partecipazione alla marcia è stata completamente autogestita, con tantissime persone che hanno preso ferie dal proprio lavoro e si sono pagate il viaggio volontariamente, così come volontariamente hanno deciso di assumersi tutti i rischi connessi a un'iniziativa come questa. Del resto, questa iniziativa è nata dal bisogno di provare a far cessare un vero e proprio genocidio ai danni del popolo palestinese. Dal 7 ottobre 2023 fino ad oggi - secondo le stime ufficiali - circa 50 mila persone, tra uomini, donne e bambini, hanno perso la vita a causa dell'offensiva militare israeliana contro Hamas. Una situazione che va ben oltre la tragedia. L'ultimo episodio di violenza ingiustificata perpetrata da Israele si è verificato nella giornata di ieri, quando - secondo la Protezione Civile locale - le forze israeliane hanno aperto il fuoco contro civili inermi in cerca di cibo e acqua nei pressi di un centro di distribuzione di aiuti umanitari a Netzarim. Sempre secondo la Protezione Civile, 31 persone sarebbero rimaste uccise, mentre altre 200 sarebbero rimaste ferite. Ma il bilancio delle vittime e dei feriti poteva essere di gran lunga peggiore: a radunarsi in cerca di acqua e cibo erano infatti migliaia di persone. L’esercito israeliano, però, ha negato le responsabilità dirette, affermando di aver solo sparato colpi di avvertimento. Peccato che, intanto, i morti continuino ad aumentare di giorno in giorno.


La frenata di Washington contro la soluzione dei due Stati

Altrettanto sconcertante, sul fronte diplomatico, è il fatto che gli Stati Uniti stanno provando a scoraggiare la partecipazione dei Paesi alla prossima conferenza delle Nazioni Unite sul tema della soluzione dei due Stati. Secondo Reuters, un cablogramma inviato da Washington il 10 giugno ammonisce che eventuali decisioni prese dopo il vertice - promosso da Francia e Arabia Saudita - contro Israele sarebbero viste come contrarie agli interessi statunitensi. Poco dovrebbe meravigliare, dunque, la grande resistenza - in questo caso egiziana - che si è frapposta tra la Global March e la popolazione palestinese, stremata dalla guerra e, come abbiamo detto, dalla chiusura del confine. “Vi chiediamo di aiutarci, stanno rimpatriando tutti, sono stati prelevati gli occidentali dagli alberghi, sono stati portati via i loro documenti e imbarcati su pullman e aerei come dei delinquenti”, ha detto Antonietta Chiodo, condannando apertamente l'azione delle autorità egiziane contro gli attivisti diretti a Rafah. “È una totale violazione del diritto internazionale - ha aggiunto -. Chiedo a tutti, alla collettività, di prendere una posizione in merito perché ci sarà un massacro al confine, un massacro di arabi. Stanno portando via tutti gli occidentali per non creare incidenti diplomatici con i Paesi che li sostengono. Molte persone sanno ciò che sta accadendo e hanno deciso di partire ugualmente”.


La Farnesina nel mirino delle opposizioni

In tutto, almeno 35 italiani - ha spiegato Il Fatto Quotidiano - sarebbero stati fermati per poi essere rilasciati. E Andrea Usala, lo studente torinese, è uno di loro. “Non ci fanno andare al bagno e non ci fanno prendere da mangiare”, ha detto Usala. Il padre, ex sindacalista, ha raccontato che il figlio è stato poi liberato grazie all’intervento del consolato, mentre la collega è stata rimpatriata insieme ad altri italiani, tra cui cinque residenti in Veneto, ai quali erano stati momentaneamente sequestrati passaporti e telefoni, e che sono stati costretti a passare la notte in un’area isolata dell’aeroporto del Cairo prima di essere reindirizzati verso Istanbul e poi in Italia. Intanto, proprio in Italia, la vicenda ha scatenato il dibattito politico, con diverse forze di opposizione, tra cui il Movimento 5 Stelle, il Partito Democratico e Alleanza Verdi Sinistra,  che hanno criticato pesantemente la Farnesina e il ministro Antonio Tajani, accusandoli di non voler fornire assistenza consolare ai cittadini italiani coinvolti. Nel frattempo, dalla Francia arrivano altri aggiornamenti: quattro attivisti francesi, tra cui l’eurodeputata del partito La France Insoumise, Rima Hassan, sono ancora detenuti in Israele dopo essere stati bloccati a bordo di una nave con aiuti umanitari diretta verso Gaza, e dovrebbero essere espulsi nelle prossime ore.

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