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Sembra non esserci fine alle brutali lotte interne che continuano a macchiare di sangue il territorio siriano. La gravità della situazione ha raggiunto un livello tale che ha costretto i rappresentanti degli Stati Uniti e della Russia ad avviare consultazioni di emergenza del Consiglio di Sicurezza dell'ONU.
Proprio oggi il governo siriano afferma di aver concluso un'operazione nelle province costiere di Latakia e Tartous dopo quattro giorni di scontri tra le forze di sicurezza e combattenti armati filo-Assad.
Secondo il Syrian Observatory for Human Rights (SOHR), con sede nel Regno Unito, dal 7 marzo almeno 973 civili sono stati uccisi nelle province di Latakia, Tartus, Hama e Homs, vittime di " esecuzioni extragiudiziali e pulizie etniche".
Il centro ha anche riferito della morte di 250 combattenti alawiti, mentre le forze di sicurezza governative hanno stimato le loro perdite in oltre 300 uomini. Si parla complessivamente di 1300 persone uccise, ma le cifre potrebbero essere molto più drammatiche.
Tutto ha avuto inizio il 6 marzo, quando, secondo il governo provvisorio di Ahmed al-Sharaa, ex militari fedeli ad Assad hanno attaccato posti di blocco, convogli e posizioni governative sulla costa mediterranea. Le forze governative hanno subito gravi perdite a Jableh, nella provincia di Latakia, con circa 50 morti. A quel punto le autorità hanno inviato rinforzi e mezzi corazzati a Latakia e Tartus, bloccato le strade e imposto il coprifuoco. Secondo il SOHR, inizialmente le vittime erano combattenti, ma nei giorni successivi il numero di civili uccisi è aumentato rapidamente. L'ONU ha ricevuto "segnalazioni estremamente preoccupanti di intere famiglie uccise, comprese donne, bambini e combattenti che si erano arresi".
Le vittime sono principalmente membri di minoranze religiose, come alawiti (a cui appartiene la famiglia di Assad) e cristiani. Gli alawiti hanno accusato i combattenti legati all'HTS di aver commesso "omicidi di rappresaglia". L'agenzia di stampa siriana SANA ha parlato di "abusi isolati" contro i civili, seguiti da "grandi folle disorganizzate" di sostenitori del nuovo governo che si sono dirette verso le aree costiere per reprimere la "ribellione".
"Abbiamo combattuto per difendere gli oppressi, e non accetteremo che alcun sangue venga versato ingiustamente, o che rimanga impunito, anche tra quelli più vicini a noi", ha dichiarato il presidente Al-Sharaa in un'intervista con l'agenzia di stampa Reuters lunedì, attribuendo l'esplosione della violenza di giovedì ai sostenitori dell'ex regime, sostenuti da potenze straniere.
In particolare, secondo il capo del governo, i lealisti di Al-Assad, appartenenti alla 4° Divisione militare del fratello di al-Assad, Maher, e legati a una potenza straniera alleata, hanno scatenato gli scontri di giovedì 'per fomentare disordini e creare discordia comunitaria'.
Il leader siriano non è entrato nei dettagli, ma ha fatto allusioni con potenze “che hanno perso con la nuova realtà in Siria", un apparente riferimento all'Iran, da lungo tempo alleato di al-Assad, la cui ambasciata a Damasco è ancora chiusa. Teheran, a sua volta, ha respinto qualsiasi suggerimento di coinvolgimento nella violenza.
L’Iran, con la caduta di Assad, ha subito una perdita significativa che compromette il suo progetto geopolitico noto come “mezzaluna sciita”. Un piano mirava a creare un corridoio di influenza che si estendesse dal Libano fino allo Yemen, passando attraverso Siria e Iraq, sfruttando le connessioni con gruppi alleati come Hezbollah e le milizie sciite. La caduta del regime alawita di Assad, spezza dunque questa catena. Ora, con la possibile ascesa di nuovi attori sunniti, legati o influenzati dalla Turchia, l’Iran rischia di vedere ridotta drasticamente la propria capacità di proiettare potere e sostenere i propri alleati regionali.
Nel frattempo, con la Russia sono in corso trattative sulla sua presenza militare in due basi strategiche del Mediterraneo, la base navale di Tartous e la base aerea di Hmeimim.
"Non vogliamo che ci sia una frattura tra la Siria e la Russia, e non vogliamo che la presenza russa in Siria rappresenti un pericolo o una minaccia per qualsiasi paese del mondo, e vogliamo preservare queste profonde relazioni strategiche", ha detto Al-Sharaa, aggiungendo che i legami con Mosca sono così cruciali che "abbiamo tollerato il bombardamento [russo] e non li abbiamo presi di mira direttamente per fare spazio a incontri e dialoghi tra noi e loro dopo la liberazione".

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