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L’Onu indaga sugli abusi commessi nell’est della Repubblica Democratica del Congo. 150 detenute sono violentate e bruciate vive in un carcere a Goma

Non si ferma la scia di violenze in Congo con i ribelli M23 che avanzano senza sosta. Ora è la capitale del Sud-Kivu, Bukavu, che si prepara a essere attaccata dal gruppo ribelle, sostenuto dal Ruanda.
Il presidente della Repubblica Democratica del Congo (RDC), Félix Tshisekedi, e il presidente ruandese, Paul Kagame, si incontreranno domani a Dar es Salaam per un vertice straordinario organizzato dalla Comunità degli Stati dell’Africa Orientale (EAC) e dalla Comunità di Sviluppo dell’Africa Australe (SADC).  Un incontro che avviene in un contesto di crescente tensione, con Kinshasa che chiede sanzioni contro Kigali per il suo sostegno all’M23.
Le evidenze del coinvolgimento del Paese confinante non mancano. “Centinaia di soldati ruandesi sono stati uccisi in operazioni segrete nella Repubblica Democratica del Congo orientale, contraddicendo le affermazioni del Ruanda di non coinvolgimento nei combattimenti nel paese vicino", scrive il The Guardian, citando fonti di intelligence e militari.
Nel frattempo, secondo quanto riportato dalla Reuters, è proprio Kigali ad accusare la Repubblica Democratica del Congo di pianificare un attacco su larga scala. Una situazione paradossale.
Il conflitto, che si protrae da oltre tre anni nonostante i ripetuti tentativi diplomatici, ha subito una rapida escalation nelle ultime settimane, culminata con la cattura di Goma, capoluogo del Nord-Kivu, da parte delle forze del M23.
Kinshasa, intanto, salda le fila dell’esercito con l’aiuto degli alleati. Il Burundi, schierato a sostegno dell’esercito congolese, ha annunciato l’invio di un ulteriore battaglione di truppe. Circa 10.000 soldati burundesi sono già dispiegati nell’est della RDC dall’ottobre 2023, in base a un accordo di cooperazione militare con RDC.
Il nuovo conflitto rischia di innescare una nuova catastrofe umanitaria. A denunciarlo è il capo della MONUSCO (Missione delle Nazioni Unite per la Stabilizzazione della Repubblica Democratica del Congo), Bintou Keita, secondo cui gli scontri a Goma hanno causato almeno 2.900 morti e oltre 3.000 feriti. Ha inoltre sottolineato l’aumento esponenziale delle violazioni dei diritti umani e degli abusi commessi nella regione.
Le conseguenze a medio e lungo termine mi preoccupano profondamente, in particolare la recrudescenza del colera, l’alto rischio di diffusione del MPOX (monkeypox), l’interruzione improvvisa dell’istruzione dei bambini e l’aumento della violenza sessuale legata ai conflitti e della violenza di genere. L’espansione territoriale dell’M23 nel Nord Kivu, dove occupa parzialmente 4 dei 6 territori, e la cattura di diverse località a Kalehe, nel Sud Kivu, hanno provocato enormi spostamenti di popolazione. Stiamo osservando violazioni e abusi dei diritti umani, distruzione di beni materiali e un accesso sempre più limitato ai servizi sociali di base. In altre parole, la situazione umanitaria si è drasticamente deteriorata”, ha dichiarato durante il suo intervento alla sessione straordinaria del Consiglio per i Diritti Umani delle Nazioni Unite, tenutasi questo venerdì a Ginevra (Svizzera).


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Il portavoce dell'Ufficio per i diritti umani delle Nazioni Unite, Seif Magango, ha inoltre denunciato che oltre 150 detenute sono state violentate e bruciate vive durante un'evasione avvenuta la scorsa settimana da un carcere di Goma, precedentemente conquistata dalle milizie dell’M23. Secondo i funzionari dell’Onu, a seguito dell’aggressione la prigione è stata data alle fiamme con le detenute al suo interno. Un vero e proprio crimine di guerra per il quale ai peacekeeper della missione Onu dispiegata nella zona (Monusco) è stato impedito effettuare ulteriori sopralluoghi.
Non è un caso che il territorio conteso sia ricco di metalli preziosi e terre rare; nonostante la plateale violazione del diritto internazionale con annessa pulizia etnica, il Consiglio di Sicurezza e la comunità internazionale non hanno adottato alcun provvedimento concreto contro il Ruanda.
Il motivo è presto detto: gli interessi occidentali nell’accesso ai minerali fondamentali per l’high tech.
Basti pensare che solo un anno fa, Bruxelles ha siglato con Kigali un memorandum d’intesa (MoU) del valore di 900 milioni di euro sulle catene del valore delle materie prime “sostenibili”, ma evidentemente a caro prezzo per i popoli locali. Numerosi critici evidenziano che le risorse essenziali per la transizione energetica e le nuove tecnologie esportate dal Ruanda, come coltan, rame, cobalto e litio, siano in realtà il risultato di un sistematico saccheggio delle miniere situate nelle regioni congolesi controllate da gruppi armati ruandesi.
Paradossalmente è proprio il Belgio, l'ex potenza coloniale della RDC che sta conducendo le richieste di sospendere l'accordo del 2024 destinato a aumentare il flusso di materie prime critiche per i microchip e le batterie per auto elettriche.
"La comunità internazionale deve considerare come rispondere, perché le dichiarazioni non sono state sufficienti", ha dichiarato la scorsa settimana il ministro degli Esteri belgi,
Bernard Quintin, durante una visita in Marocco.
Di recente, il governo di Kinshasa ha citato in giudizio anche il colosso tecnologico Apple, accusandolo di essere un potenziale acquirente di minerali provenienti da zone di conflitto. Una mossa che evidenzia ulteriormente le tensioni internazionali legate allo sfruttamento illegale delle risorse naturali della Repubblica Democratica del Congo.

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