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Bloomberg: il vecchio continente minaccia di provocare una corsa globale per il GNL

La giornata di oggi si apre con la notizia di un nuovo tentativo di sabotaggio contro i gasdotti russi. Come denunciato dal Ministero della Difesa russo, nove droni sono stati lanciati contro una stazione di compressione del gasdotto Turkstream, situata nel villaggio di Gai-Kodzor, nella regione di Krasnodar. Un hub strategico per l’export russo, con una capacità annuale di 31,5 miliardi di metri cubi. Un attacco che, a detta dei funzionari di Mosca, non avrebbe provocato danni strutturali.
È l’ultimo tassello di un grande puzzle che ha mirato con successo alla separazione economica della Russia dall'Europa. Gli Stati Uniti erano sempre stati molto preoccupati che l'alleanza tra la Germania e la Russia, cementata dalla messa in opera del North Stream 2, avrebbe indebolito il predominio americano sul vecchio continente. Già nel settembre 1982, in una stima speciale dell'intelligence nazionale (SNIE) classificata come segreta, la CIA aveva già accennato al rischio di un rapporto troppo stretto tra Europa e URSS basato sulle risorse energetiche.
È stato proprio questo gasdotto a essere stato preso di mira dai servizi segreti occidentali, in un’ardita operazione di sabotaggio che nelle sue battute introduttive aveva prontamente accusato Mosca di essersi auto-amputata un’importante arteria economica.
Solo qualche mese dopo le esplosioni subacquee nel mar Baltico è emerso che l’intera operazione sarebbe stata condotta da un piccolo gruppo di civili e ex-militari ucraini e gestita sotto la direzione dell'allora capo di stato maggiore ucraino, Valery Zaluzhny, successivamente sostituito per ricoprire il ruolo di ambasciatore a Londra. Secondo il Wall Street Journal, nonostante un iniziale assenso del presidente Zelensky, il piano è stato prima annullato, quando i servizi di sicurezza olandesi scoprirono il complotto e avvertirono la CIA, ma poi portato a termine definitivamente, ovviamente senza che l’intelligence statunitense facesse nulla per impedirlo.
Se la Russia invade, non ci sarà più un Nord Stream 2. Metteremo fine a questo“, affermò profeticamente il presidente Usa Joe Biden nei pochi giorni antecedenti all’attacco russo dell’Ucraina.
Era tutto organizzato seguendo un piano di alto respiro. Un report della Rand Corporation, (uno dei più prestigiosi istituti di ricerca americani, finanziato anche dal Pentagono) nel 2019 esponeva una strategia in grado di portare la Russia a un “punto critico”, obbligandola a spendere una quantità smisurata di risorse per difendersi dagli attacchi americani. Oltre all’ipotesi caldamente avvallata di fornire all’Ucraina armi letali per sfruttare il più “grande punto di vulnerabilità esterno della Russia”, il documento metteva in evidenza la necessità di un blocco delle esportazioni di petrolio e gas dal Paese verso l’Europa, ivi incluso il blocco del gasdotto North Stream 2. Una soluzione avallata dall’ipotesi molto consistente che questo taglio delle forniture potrebbe procurare il maggior danno economico a Mosca.
Ora, con il transito del gas russo attraverso l'Ucraina completamente interrotto a seguito della scadenza del contratto quinquennale tra Gazprom e Naftogaz, la situazione per l’Europa è arrivata ad un punto critico.
Come riportato da Bloomberg, le perdite di forniture attraverso i gasdotti russi aumenteranno la domanda europea di gas naturale liquefatto e potrebbero spingere i paesi in via di sviluppo più poveri dell’Asia e del Sud America fuori dal mercato.
Secondo la pubblicazione, per la prima volta da quando la crisi energetica europea si è aggravata a causa del conflitto in Ucraina, i paesi dell’UE rischiano di non raggiungere gli obiettivi di riempimento degli stoccaggi di gas per il prossimo inverno.
Ci sarà sicuramente una carenza energetica in Europa quest’anno”, ha detto all’agenzia Francisco Blanch, stratega delle materie prime presso la Bank of America. “Ciò significa che tutto il GNL aggiuntivo che arriverà in tutto il mondo quest’anno andrà a compensare questa carenza di gas russo”. Per soddisfare la domanda prevista, l’UE dovrà importare fino a 10 milioni di tonnellate di GNL all’anno, circa il 10% in più rispetto al 2024, secondo l’analista di MST Marquee Saul Cavonica.
Di conseguenza, il vecchio continente competerà per una quota delle forniture di GNL con l’Asia, dove si concentrano i maggiori consumatori del mondo, determinando un aumento dei prezzi del GNL a livelli superiori alle capacità di paesi come India, Bangladesh ed Egitto, ostacolando anche la ripresa dell’economia tedesca, sottolinea l’agenzia.
Ovviamente a trarre maggior beneficio da questa situazione sono i Paesi esportatori di GNL, tra cui spiccano, senza sorprese, proprio gli Stati Uniti, fautori di un aumento della produzione a 220 miliardi di metri cubi all’anno: un volume superiore rispetto a quello che Gazprom realizzava attraverso l’export verso l’Europa e che ha reso gli Usa il primo esportatore di GNL al mondo.
Secondo Kpler, quest’anno le esportazioni di GNL degli Stati Uniti dovrebbero crescere di circa il 15%, mentre nel 2030, altri 175 milioni di tonnellate inizieranno ad entrare nel mercato, principalmente dagli Usa e dal Qatar.
L’Europa potrebbe dirsi entusiasta di sostituire totalmente le forniture di Mosca con quelle statunitensi, anche se a costi molto più elevati, ma non tiene conto delle ulteriori piaghe che si stagliano all’orizzonte. Secondo le stime di Goldman Sachs, le esportazioni di GNL degli Stati Uniti verso l'Europa sono aumentate del 197%, mentre quelle dirette verso le altre regioni del mondo sono diminuite del 41%. Tuttavia, gli stessi analisti della banca mettono in evidenza non solo l'alto costo delle forniture statunitensi, ma anche l'incapacità delle esportazioni americane di compensare pienamente la carenza causata dall'interruzione delle consegne di gas russo.
Gli Stati Uniti hanno aumentato la produzione di petrolio e gas grazie al fracking, una tecnica innovativa che permette l’estrazione degli idrocarburi a costi nettamente più bassi, pur avendo un impatto ambientale significativo. Tuttavia, negli ultimi anni la produzione da fracking sta rallentando, con i principali giacimenti che non vedono più aumenti nonostante l'intensa attività di perforazione. Secondo l'analista Art Berman, questo potrebbe significare che la produzione di gas da fracking ha raggiunto il suo picco, con potenziali ripercussioni sulla sicurezza energetica globale e, ovviamente, sull'Unione Europea, che dipende dalle esportazioni di gas naturale americano.
Ironia della sorte, sempre Bloomberg, giorni fa, annunciava che l'economia russa non subirà perdite significative a causa della cessazione del transito attraverso l'Ucraina, con un impatto stimato pari solo allo 0,2% del PIL.
Anche Mosca sta sfruttando l’opportunità di un mercato in crescita e nonostante gli sforzi dell'UE per abbandonare il gas russo, secondo il The Guardian, nel 2024, le forniture di GNL siberiano all'Europa hanno raggiunto la cifra record di 17,8 milioni di tonnellate, con una crescita annuale del 18%". 
Il sabotaggio economico dell’Eurasia con la compiacente Europa sta evidentemente dando i suoi frutti.

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