Questo sito utilizza cookie tecnici e di terze parti per migliorare la navigazione degli utenti e per raccogliere informazioni sull’uso del sito stesso. Per i dettagli o per disattivare i cookie consulta la nostra cookie policy. Chiudendo questo banner, scorrendo questa pagina o cliccando qualunque link del sito acconsenti all’uso dei cookie.

Terre annesse, spostamenti forzati e pogrom: il vero volto di Israele

Dalle alture di Jit, un villaggio palestinese vicino a Nablus, si osservano gli insediamenti israeliani che circondano la città: Kedumim, fondato nel 1977, con oltre tremila coloni; Har Hemed, attivo dal 1996; e Havat Gilad, tra i più estremisti, ricostruito nel 2003. Tutti sorgono su terreni confiscati, dichiarati State landda Israele attraverso una controversa interpretazione della legge fondiaria ottomana. Questa è l'Area C, che copre il 60% della Cisgiordania e, secondo gli Accordi di Oslo del 1993, doveva gradualmente passare sotto il controllo palestinese. Tuttavia, la realtà racconta un’altra storia.Dal 7 ottobre 2023, l’esproprio di terre in Area C ha raggiunto livelli record. Secondo Peace Now, Israele ha confiscato 24.193 dunam (2.400 ettari) con il pretesto delle “esigenze di sicurezza”. Per dare una misura, solo nel 2024 è stata dichiarata “proprietà dello Stato” la metà delle terre confiscate dal 1993 a oggi. A queste si aggiungono 7.300 dunam (730 ettari) di aree rese “non sicure” a causa degli attacchi dei coloni – oltre 1.450 episodi documentati dall’Ufficio delle Nazioni Unite per gli Affari Umanitari (OCHA) dal 7 ottobre, con 144 palestinesi uccisi.Un altro elemento chiave di questa strategia è la costruzione di infrastrutture esclusive per i coloni, come la Hawara road, una strada che bypassa il villaggio palestinese omonimo, facilitando la connessione tra insediamenti israeliani. “Tutto ciò sta portando a una rapida annessione dell’Area C: se non ‘de jure’, ‘de facto’”, spiega Mauricio Lapchik di Peace Now. Questo processo è sostenuto da un’agenda politica sempre più aggressiva, guidata da figure come Bezalel Smotrich, ministro delle Finanze, che nel 2024 ha stanziato 737 milioni di shekel per gli insediamenti e prevede di investire sette miliardi di shekel in infrastrutture coloniali nei prossimi cinque anni.

Assedio demografico

La Cisgiordania oggi ospita circa 700mila coloni israeliani e meno di tre milioni di palestinesi, concentrati nelle aree sempre più ridotte dell’Area A e B. Secondo Kerem Navot, dal 7 ottobre sono stati riconosciuti dal governo israeliano 70 avamposti illegali e creati 45 nuovi insediamenti. Per confronto, tra il 1996 e il 2023 la media era di sette nuovi insediamenti all’anno. Questo cambiamento ha conseguenze devastanti sulla popolazione palestinese. Dal 2023, 3.200 palestinesi sono stati costretti a trasferirsi, spesso a seguito di attacchi o demolizioni. OCHA documenta 50 comunità interamente espulse negli ultimi due anni. “Se hai un esercito e coloni armati che ti attaccano, mentre tu non hai nulla con cui difenderti, cosa puoi fare se non andartene?” osserva Dror Etkes di Kerem Navot.

Un nuovo linguaggio per una vecchia agenda

Israele, così facendo, sta promuovendo apertamente un progetto che alcuni analisti definiscono “Gazificazione” della Cisgiordania: un processo mirato a isolare i palestinesi in aree sovraffollate e invivibili, simili a Gaza. “Non siamo più nell’apartheid, siamo oltre”, afferma Shai Parnes di B’Tselem. Questa trasformazione non avviene più in sordina: “Il linguaggio che un tempo era nascosto si sta imponendo come nuova normalità”, aggiunge Parnes. Un esempio di questa narrazione è l’appropriazione culturale e geografica: anche un bicchiere di vino, prodotto a Bayt Jala, un villaggio cristiano palestinese vicino Betlemme, viene ora descritto sulle etichette come proveniente dalla “Giudea”, cancellando la realtà della West Bank. È un tassello del progetto messianico e politico del “Grande Israele”, che non contempla uno Stato palestinese, ma un deserto politico e demografico intorno ai confini israeliani.

La strada verso un futuro incerto

Mentre il governo Netanyahu rafforza la sua agenda, cresce la preoccupazione per l’impatto a lungo termine. Ong come Peace NowB’Tselem e Kerem Navot denunciano un cambiamento irreversibile nelle dinamiche territoriali, che mina ogni possibilità di una soluzione a due Stati. Per molti palestinesi, la realtà è già una questione di sopravvivenza quotidiana, in un territorio che rischia di trasformarsi in una prigione a cielo aperto.

Fonte: ilfattoquotidiano.it

Foto © Imagoeconomica

ARTICOLI CORRELATI


Gaza: raid israeliani uccidono 4 bambini in fila per il pane 20 morti ad al-Mawasi

Palestina, accordo tra Hamas e Fatah per governare Gaza

Carestia a Gaza cibo sotto il 6% del fabbisogno, Guterres: ''Situazione spaventosa''

Gaza, nuovo veto degli Stati Uniti a una risoluzione Onu per il cessate il fuoco

Israele: svariati bombardamenti alle basi Unifil in Libano. Colpito contingente italiano

Gaza sepolti dalle macerie: aumentano le vittime e le tensioni crescenti nella regione

Gaza Unicef: ''Nessuna reazione da parte dei potenti per fermare la strage di bambini''


ANTIMAFIADuemila
Associazione Culturale Falcone e Borsellino
Via Molino I°, 1824 - 63811 Sant'Elpidio a Mare (FM) - P. iva 01734340449
Testata giornalistica iscritta presso il Tribunale di Fermo n.032000 del 15/03/2000
Privacy e Cookie policy

Stock Photos provided by our partner Depositphotos