Caccia di sesta generazione e innovazioni militari: via libera del governo per altri 78 milioni di euro
Ormai ritenuti vecchi e obsoleti, i caccia militari Eurofighter, capaci di impiegare una vasta gamma di armamenti, tra cui missili aria-aria, aria-terra e bombe di precisione, si preparano ad andare in pensione. Al loro posto arriverà il “Gcap”, un superbombardiere di sesta generazione, che entrerà in servizio dal 2035 insieme a droni, satelliti e altri dispositivi avanzati, tutti interconnessi tra loro tramite una sofisticata rete “intelligente”, che - spiega “Il Sole 24 Ore” - costituisce il nuovo e rivoluzionario “sistema di sistemi”. Infatti, Gcap (Global Combat Air Programme) è anche il nome del sistema di combattimento avanzato che segna la direzione intrapresa da Gran Bretagna, Giappone e Italia per il futuro della propria difesa militare. Per quanto riguarda l’Italia, la Camera dei Deputati ha recentemente dato il via libera al disegno di legge che ratifica ed esegue la convenzione per l’istituzione del Gcap, firmata a Tokyo il 14 dicembre 2023. La maggioranza delle forze politiche ha sostenuto la misura, con i voti favorevoli di Fratelli d’Italia, Forza Italia, Lega, Noi Moderati, Italia Viva, Azione e PD. Tuttavia, Movimento 5 Stelle, Alleanza Verdi e Sinistra si sono opposti, criticando l’ulteriore aumento della spesa militare che il programma inevitabilmente comporta.
Struttura e costi del programma Ggap
Lanciato inizialmente nel 2018 in Gran Bretagna con il nome “Tempest”, il programma, ora ribattezzato Gcap, è articolato su due livelli principali. Il primo livello, superiore, è il Gigo (Gcap International Government Organization), con sede a Reading, in Gran Bretagna. Questo primo livello, comprende anche un comitato direttivo rappresentato da Gran Bretagna, Italia e Giappone, e un’agenzia operativa che inizialmente avrà 150 dipendenti, ma il personale dovrebbe crescere fino a 420 unità entro il 2025. Il livello sottostante, invece, include le aziende dei tre paesi partecipanti: BAE Systems per la Gran Bretagna, Leonardo per l’Italia e Mitsubishi per il Giappone. Queste formeranno una joint venture con quote uguali (33,3% ciascuna). Per l’italiana Leonardo, leader nel settore della difesa, spetterà un ruolo chiave nello sviluppo del cosiddetto “sistema di sistemi”. Come in ogni programma militare di grande portata, i costi sono elevati, e l’Italia non fa eccezione. Per il funzionamento del Gigo, il nostro Paese ha già sostenuto una spesa di 3,65 milioni di euro nel 2023, cui si aggiungeranno altri 20 milioni nel 2025, 27 milioni nel 2026 e circa 27,54 milioni di euro all’anno a partire dal 2037. Per lo sviluppo complessivo del sistema, l’Italia ha stanziato 7,526 miliardi fino al 2050, ma a questa cifra vanno ancora aggiunti i costi per l’acquisto effettivo dei velivoli militari, che si preannunciano altrettanto onerosi.
Il contesto italiano
Il progetto, certamente ambizioso, vede un’Italia che non si tira mai indietro quando si tratta di impiegare ingenti somme di denaro pubblico per il settore degli armamenti. Eppure, il Bel Paese continua a essere il fanalino di coda in Europa in molti ambiti. Secondo i dati OCSE, infatti, la crescita italiana in termini di istruzione è molto più lenta rispetto alla media europea. Anche la spesa pubblica sanitaria rimane al di sotto della media UE, come dimostrano il costante calo dei posti letto ospedalieri, la cronica carenza di personale medico e le marcate disuguaglianze retributive tra le regioni. Nel frattempo, cresce il numero di italiani costretti a rivolgersi alla sanità privata per visite e accertamenti di ogni tipo. Anche sul fronte delle famiglie, il quadro è desolante. Secondo il Sole 24 Ore, nel 2023 la propensione al risparmio delle famiglie italiane è scesa al 6,3%, il livello più basso mai registrato dal 1995. Nello stesso anno, l’ISTAT ha certificato che la povertà assoluta ha colpito oltre 2,8 milioni di famiglie.
Eppure, l’Italia - quella dei “bonus di Natale” da 100 euro riservati a una ristretta platea di beneficiari - continua a destinare fiumi di denaro pubblico, i soldi dei contribuenti, ad armi e sistemi di difesa. Forse è anche per questo che in Europa, Italia compresa, si parla sempre meno di proposte di pace e sempre più di “paesi aggressori” e “paesi aggrediti”. D’altronde, la guerra deve pur convenire. Sicuramente più della pace.
Foto © Imagoeconomica
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