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Conflitti e crisi energetiche: rischiamo di pagare a caro prezzo il disimpegno del governo Meloni in Libia e Ucraina

Mentre il governo di Giorgia Meloni sembra focalizzato su questioni di gossip e argomenti di minore rilevanza, in Libia si stanno sviluppando eventi che potrebbero avere serie implicazioni geopolitiche, in particolare per l’Italia. Alessandro Orsini, docente di sociologia del terrorismo e direttore di “Sicurezza Internazionale”, sul Fatto Quotidiano, ha spiegato come, per la sesta volta, la Turchia abbia impedito all’Unione Europea di ispezionare le proprie navi dirette a Tripoli. Secondo Orsini, si sospetta che a bordo di queste navi possano essere trasportate armi destinate alla Libia. Un aspetto particolarmente rilevante è la tempistica di questo episodio. “L’Ue è impegnata nella missione Irini per l’embargo delle armi in Libia stabilito dalla risoluzione 2292/2016 del Consiglio di sicurezza dell’Onu. È significativo - scrive Orsini - che il rifiuto turco sia arrivato pochi giorni dopo l’incontro tra Ibrahim Kalin, capo dei servizi segreti di Erdogan, e Abdul Hamid Dbeibah, premier di Tripoli. Kalin è arrivato a Tripoli il 5 settembre; la Turchia ha proibito l’ispezione della sua nave tre giorni dopo, l’8 settembre”. Un’azione che sarebbe strettamente collegata agli interessi della Turchia nel sostenere il governo di Tripoli, a scapito delle fazioni rivali in Libia, come quella del generale Haftar, sostenuto da altri paesi come la Russia. Dunque, la presenza della Turchia risulta essere fondamentale per il governo di Tripoli e per la sua speranza di restare in piedi. Pertanto, mentre il governo italiano è distratto da vicende come il caso Sangiuliano, in Libia, dove l’Italia ha un forte interesse strategico, si è nuovamente scatenato il “dilemma della sicurezza”. La stabilità del Bel Paese nel Mediterraneo - ha precisato Orsini - dipende infatti dalla stabilità della regione libica. Senza considerare che “l’Italia e la Turchia difendono il governo di Dbeibah e sono entrambi rivali del generale Haftar, che invece è sostenuto da Russia, Egitto, Emirati Arabi Uniti, Arabia Saudita e anche dalla Francia”. Orsini aggiunge: “La penetrazione strategica in Tripolitania è quasi tutto ciò che resta all’Italia, dopo decenni di ridimensionamento geopolitico causato principalmente dalla sua caduta economica e da politiche estere sbagliate, incluso il bombardamento illegale della NATO del 2011 per il rovesciamento di Gheddafi, in collaborazione con i ribelli libici”.

Ad ogni modo, lo scontro in corso in Libia riguarda i proventi del petrolio. Il generale Haftar e il primo ministro libico, Mohammed Dbeibah, hanno raggiunto un accordo per dividersi i ricavi del petrolio, ma quando Dbeibah ha rimosso il governatore della Banca Centrale, Sadiq al-Kabir, si è generato un enorme caos. “Timoroso di essere ucciso, al-Kabir è fuggito a Istanbul, portando con sé alcuni codici segreti che hanno paralizzato le transazioni. Haftar si è infuriato e ha sospeso la produzione di petrolio, crollata dell’81%, proprio durante lo scandalo Sangiuliano. La Libia rischia il tracollo finanziario”. Ma l’informazione più preoccupante - ha proseguito Orsini - “è che Haftar sta inviando soldati nell'oasi strategica di Gadames, al confine tra Tunisia e Algeria, con l'intento di posizionarsi per attaccare Tripoli anche alle spalle. A Tripoli c’è un ambasciatore italiano, la cui sicurezza, teoricamente, dovrebbe preoccuparci più del gossip agostano. Senza dimenticare gli interessi dell'Eni, e quindi di mezza Italia, o forse di tutta, in piena crisi energetica causata dalla guerra in Ucraina. Dalla Libia all’Ucraina, la classe dirigente italiana sta dando una pessima prova di sé. Un Paese che discute di guerre senza considerare i propri interessi nazionali è un Paese quasi completamente perduto”.

Foto © Imagoeconomica

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