Quattro anni dopo, Napoli commemora il cooperante dell’ONU deceduto in circostanze non del tutto chiare
Si terrà oggi, a partire dalle ore 18:00, in piazza Plebiscito a Napoli, la commemorazione per ricordare i quattro anni trascorsi dalla morte di Mario Paciolla, il cooperante italiano dell'ONU trovato morto in circostanze sospette il 15 luglio 2020 a San Vicente del Caguán, in Colombia. I genitori di Paciolla, Anna Motta e Giuseppe Paciolla, continuano a opporsi con fermezza alla chiusura del caso da parte della procura di Roma, che ha concluso per il suicidio. Per i genitori del cooperante dell’ONU, trovato impiccato nella sua casa in Colombia, ci sono ancora molti elementi non chiari che richiederebbero ulteriori indagini. La famiglia, infatti, non crede all’ipotesi del suicidio ed è per questo motivo che continua a chiedere verità e giustizia. “A Napoli Mario era un ragazzo conosciuto; ha amato profondamente questa città dove aveva tanti legami affettivi. Oggi - ha raccontato Anna Motta ai microfoni del Fatto Quotidiano - Napoli lo ricorda in una commemorazione ed è un bel segnale. È una città viscerale che sa stare unita nei momenti in cui è necessario stringersi al fianco dei propri cittadini che subiscono ingiustizie”. Oltre alla procura di Roma, anche le autorità colombiane e le Nazioni Unite ritengono che Paciolla si sia suicidato utilizzando un lenzuolo. Tuttavia, diversi elementi fanno pensare che dietro la morte del giovane partenopeo possa esserci una verità che qualcuno desidera mantenere nascosta.
I sospetti della famiglia Paciolla
Ciò che ha insospettito i familiari è la pulizia a cui l’appartamento di Paciolla è stato sottoposto nelle ore successive al presunto suicidio. Poco dopo la morte del giovane, il funzionario ONU addetto alla sicurezza, Christian Thompson, si è precipitato a casa di Paciolla per pulirla con acqua e candeggina. Successivamente, si è recato in discarica per gettare via oggetti presenti nell’appartamento che avrebbero potuto contribuire in modo significativo alle indagini. Un altro elemento che ha insospettito la famiglia sono le telefonate che Mario Paciolla ha fatto ai suoi familiari poco prima di morire. In queste telefonate, il giovane campano si è detto preoccupato, tanto da acquistare un biglietto aereo per fare rientro in Italia poche ore prima di morire. “Abbiamo bisogno di risposte che purtroppo non ci vengono date - hanno ribadito Anna e Giuseppe Paciolla -. Vorremmo sapere perché, nelle ore successive al ritrovamento del corpo, l’ambasciata non è stata avvertita della morte violenta di un italiano. Vorremmo sapere perché le chiavi dell’appartamento non sono state consegnate alla polizia investigativa, perché sono state trattenute da un membro dell’ONU e perché dopo 48 ore, senza attendere un esame autoptico, l’appartamento privato di Mario è stato ripulito con acqua e candeggina e sono stati gettati in discarica oggetti e prove utili all’indagine”. La prima autopsia eseguita sul giovane in Colombia ha classificato la morte di Paciolla come suicidio. La seconda autopsia, eseguita in Italia, ha riscontrato elementi che non sarebbero compatibili con un suicidio, come le ferite presenti sul corpo, che sono state inflitte mentre Paciolla era agonizzante, se non addirittura già morto. Inoltre, i segni presenti sul collo sono incompatibili con quelli lasciati da un lenzuolo utilizzato per impiccarsi. Sulla vicenda, le Nazioni Unite hanno fatto sapere di aver avviato un’indagine interna, ma quattro anni dopo ancora nessun elemento è emerso da quell’indagine. “I comportamenti adottati da questa organizzazione, che pur è a tutela dei diritti umani - hanno sottolineato i coniugi Paciolla - sono davvero bizzarri e deprecabili. Pensiamo che restare in silenzio e non dare spiegazioni sia un atto molto grave. Mario era un loro dipendente ed è morto sul lavoro. L’ONU aveva e ha tuttora precisi obblighi contrattuali. Ma sta omettendo chiaramente di spiegare e giustificare tutte le mancanze dei protocolli internazionali e quelli relativi all’organizzazione stessa”.
L’inchiesta de “El Espectador”
Poco prima di morire, Mario Paciolla confida ai genitori di aver avuto una discussione con i suoi superiori, di sentirsi preoccupato e non al sicuro. Stando alle ricostruzioni, Paciolla si sarebbe scontrato proprio con Thompson, uno degli ultimi a parlare con il giovane campano prima del presunto suicidio. Le preoccupazioni di Paciolla potrebbero essere collegate a una ricerca che lo stesso cooperante dell’ONU avrebbe svolto in merito a un bombardamento avvenuto il 29 agosto 2019, effettuato dall’esercito colombiano sull’accampamento di Rogelio Bolivar Cordova, comandante di una cellula delle FARC. Nei bombardamenti persero la vita anche sette minorenni tra i 12 e i 17 anni. I dettagli del bombardamento finirono all’interno di un rapporto realizzato da Paciolla; rapporto che - come ha riferito il quotidiano “El Espectador” - sarebbe dovuto rimanere riservato. Ma su decisione di Raul Rosende, direttore dell’area di verifica della missione, il rapporto scritto da Paciolla finisce nelle mani del senatore Roy Barreras, il quale chiede e ottiene le dimissioni del ministro della Difesa Guillermo Botero. Proprio questa circostanza avrebbe creato un clima di tensione all’interno delle Nazioni Unite. Per questo motivo Paciolla era preoccupato, tanto da voler rientrare di corsa in Italia. “L’unico a sapere della sua partenza - hanno commentato i genitori di Paciolla - era l’ONU, che ha prodotto la documentazione per rientrare con un volo umanitario, considerando che eravamo in pandemia. E forse era anche l’unico a sapere del momento esatto dell’acquisto del volo. Mario, in circa due ore, questo è il tempo intercorso tra l’acquisto del biglietto e l’ultimo accesso al computer, avrebbe dovuto pensare, programmare ed eseguire il suo suicidio, tra l’altro con una modalità davvero complessa”.
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