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Nel comunicato finale della Assemblea Parlamentare della NATO, tenutasi a Sofia dal 24 al 27 maggio scorso, si auspica «l’abolizione di alcune restrizioni sull’uso di armi fornite dagli alleati della NATO per colpire obiettivi legittimi in Russia».
Finora, infatti, gli attacchi ucraini contro obiettivi in Russia sono stati in gran parte limitati alla vicina città di Belgorod, nel raggio d’azione dei missili costruiti dall’Ucraina, anche se la Russia ha dichiarato che armi statunitensi sono già state utilizzate ripetutamente per colpire il suo territorio.
In questa occasione, la NATO, come ripetutamente affermato dal suo oramai decennale segretario generale, Jens Stoltenberg, ha chiesto alle potenze occidentali di permettere all’Ucraina di utilizzare i missili Storm Shadow, SCALP, Taurus e ATACMS, forniti dalla NATO, per colpire obiettivi in profondità nella Russia.

La NATO di Stoltenberg

Dopo che il ministro degli Esteri britannico David Cameron ha dichiarato che l’Ucraina potrebbe usare i missili britannici Storm Shadow per attacchi sulla Russia, il ministero degli Esteri russo ha convocato l’ambasciatore britannico Nigel Casey, ed ha avvertito che la Russia avrebbe potuto rispondere colpendo obiettivi in Gran Bretagna.
Il 27 maggio scorso, durante un vertice a Meseberg, il cancelliere tedesco Olaf Scholz ed il presidente francese Emmanuel Macron hanno anch’essi entrambi chiesto che l’Ucraina possa colpire la Russia con missili della NATO. Macron ha dichiarato: «Se diciamo loro che non possono colpire da dove vengono lanciati i missili, di fatto diciamo: vi diamo le armi ma non potete difendervi».
Nel frattempo, Finlandia, Polonia e Stati baltici stanno edificando un “muro” elettronico e missilistico lungo i loro confini con la Russia, per abbattere eventuali droni militari russi.
Sabato 25 maggio, il ministro degli Esteri polacco Radoslaw Sikorski ha dichiarato al Guardian inglese che funzionari sia statunitensi che russi stanno discutendo del potenziale impiego di armi nucleari: «Gli americani hanno detto che se i Russi dovessero utilizzare armi nucleari, anche senza provocare vittime, avrebbero colpito le loro posizioni in Ucraina con armi convenzionali, distruggendole tutte. Penso che sia una minaccia credibile».
Al momento solo Spagna, Slovacchia, Belgio e Italia, cui forse potrebbe unirsi la Bulgaria, hanno dichiarato di non condividere la decisione di consentire all’Ucraina l’uso, al di là dei confini del Paese, delle armi ad essa inviate. Ungheria e Turchia hanno anch’esse espresso contrarietà a questa decisione, affermando che essa rischia di estendere il conflitto.


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Olaf Scholz e Emmanuel Macron © Imagoeconomica


Allargare il conflitto?

È una semplice constatazione quindi il fatto che la NATO sta assumendo una posizione che può comportare l’allargamento del conflitto, quanto meno sul terreno europeo, in uno scontro diretto fra l’Alleanza Atlantica e la Federazione Russa, nel quale potrebbero trovarsi coinvolti anche gli Usa.
Qualora infatti un attacco ucraino contro obiettivi collocati entro i confini della Russia, effettuato con armi fornite dalla NATO, provocasse una ritorsione russa contro anche uno solo dei Paesi dell’Alleanza, scatterebbe il cosiddetto casus foederis, previsto dall’articolo 5 del Trattato dell’Atlantico del Nord. Esso recita infatti:
«Le Parti convengono che un attacco armato contro una o più di esse in Europa o nell’America settentrionale sarà considerato come un attacco diretto contro tutte le Parti, e di conseguenza convengono che se un tale attacco si producesse, ciascuna di esse, nell’esercizio del diritto di legittima difesa, individuale o collettiva, riconosciuto dall’art. 51 dello Statuto delle Nazioni Unite, assisterà la Parte o le Parti così attaccate intraprendendo immediatamente, individualmente e di concerto con le altre Parti, l’azione che giudicherà necessaria, ivi compreso l’uso della forza armata, per ristabilire e mantenere la sicurezza nella regione dell’Atlantico settentrionale».
Ricordiamo, per completezza, che tale attivazione è già avvenuta una volta nella storia dell’Alleanza: precisamente a seguito dell’attacco terroristico contro le Torri Gemelle a New York, il 12 settembre 2001. Infatti, ventiquattro ore circa dopo l’attentato, il Consiglio Atlantico approvò una dichiarazione secondo cui gli attentati terroristici contro gli Stati Uniti configuravano la condizione ipotizzata nell’articolo 5 del Patto Atlantico, che equipara appunto un’aggressione armata contro uno Stato membro ad un attacco contro tutta l’Alleanza.
È importante sottolineare questo precedente, poiché anche un eventuale attacco di tipo terroristico contro un membro della NATO, che potesse essere attribuito alla Russia, potrebbe far scattare il medesimo meccanismo solidaristico, dalle imprevedibili conseguenze belliche.

Armi senza limiti?

Le armi in genere menzionate fino ad oggi, fornite dai Paesi atlantici all’Ucraina, cui verrebbero tolti gli attuali, veri o presunti, limiti di impiego, sono missili da crociera o balistici a corto raggio, cioè in grado di raggiungere obiettivi a massimo 300-500 km di distanza dalla postazione di lancio. I franco-britannici Storm Shadow e Scalp, ciascuno dei quali costa 1,35 mln di euro; l’assai apprezzato Taurus KEPD 350 tedesco, considerato un missile da crociera particolarmente efficiente, che costa intorno a 1,5 mln di euro; il più antiquato MGM 140 ATMS statunitense, che non va oltre i 300 km di portata, ed è un missile balistico, lanciabile da terra ma non da velivoli.
Come si vede, si tratta di armi particolarmente costose e non facilmente producibili in massa, altro che con investimenti imponenti, che richiedono tempistiche pluriennali: ciò significa che, se utilizzati in Ucraina, con i rischi che abbiamo visto, sguarnirebbero d’altra parte gli arsenali degli stessi alleati NATO. Problema questo già emerso da tempo a proposito delle munizioni, in particolare di artiglieria, il cui uso intensivo ha creato ben presto una carenza nelle scorte occidentali, in presenza oltretutto di una limitata capacità di produzione, diventando uno dei fattori di inferiorità dell’Ucraina sul campo di battaglia.
L’industria degli armamenti, poi, non è disponibile, nella logica del profitto, ad effettuare gli investimenti massicci richiesti da una economia di guerra vera e propria fin quando non avesse garanzie, si osservi, su impegni di spesa pluriennali (si ritiene almeno decennali) da parte degli Stati: della serie, o la guerra dura parecchio oppure noi questi investimenti non li facciamo, perché non generano sufficienti profitti.

La NATO vuole la guerra in Europa?

La prima domanda quindi da porsi è se le affermazioni politiche della NATO abbiano un effettivo riscontro sul piano operativo. Vale a dire: in primo luogo, se davvero l’impiego di queste armi potrebbe diventare così massivo come all’Ucraina servirebbe; secondo, se il loro impiego avrebbe davvero effetti risolutivi sul campo di battaglia. A tutte e due le domande riteniamo si debba rispondere ad oggi: no.
Viene quindi naturale domandarsi, sapendo che l’uso di queste armi potrebbe non essere affatto risolutivo, che senso abbia correre il rischio di un’escalation militare.
Un fatto certo è che, almeno da dopo l’insuccesso della sbandierata contro-offensiva ucraina dell’estate 2023, impantanatasi subito dopo il suo inizio, l’occidente atlantico ha capito che l’Ucraina non è in grado di vincere militarmente questo conflitto. Oggi poi, dopo il lento ma progressivo avanzare delle truppe russe, e soprattutto dopo la riapertura del fronte nord su Karkhiv, si ha il timore di un possibile cedimento delle forze ucraine, che potrebbe portare alla caduta del regime di Zelensky, certo non privo di avversari anche all’interno.
Le decisioni della NATO hanno dunque ragioni politiche e non militari: si tratta di dare a Zelensky l’impressione di non essere stato abbandonato, impressione che è serpeggiata a lungo tra l’autunno e l’inverno scorsi.
Questo “incoraggiamento” a Zelensky diventa assai importante alla vigilia del vertice internazionale che si terrà in Svizzera il 15 e 16 giugno 2024 sul Bürgenstock, nel cantone di Nidvaldo: incontro in cui si dovrebbe cercare una soluzione politica alla guerra, in modo alquanto inconsueto, dal momento che la Russia non è stata invitata e la Cina ha già dichiarato di non voler partecipare.
Si tratta quindi di una passerella politica rivolta all’Europa, immediatamente dopo le sue elezioni politiche, e nelle more delle elezioni presidenziali negli Stati Uniti. Si tratta cioè di riempire un perdurante vuoto di iniziative politiche: sarà quindi solo l’occasione per confortare Zelensky, dimostrandogli la volontà occidentale di prolungare la guerra in atto fino all’improbabile vittoria finale.
In questo modo l’immarcescibile Stoltenberg, cui spetta una notevole responsabilità politica nel non aver mai cercato il dialogo con la Russia anche quando, nel dicembre 2021, era ancora possibile, se ne potrebbe andar via dalla NATO conservando la sua immagine di duro e puro, per sedersi nella più comoda poltrona di governatore della Norges Bank, la banca centrale norvegese, cui è candidato da tempo.


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Volodymyr Zelensky


Finestra di rischio

Potremmo dunque non preoccuparci troppo di questa disponibilità della NATO ad attaccare, sia pur servendosi della manovalanza ucraina, la Federazione Russa, trattandosi probabilmente di una mossa per sostenere il traballante Zelensky.
Resta il fatto però che il gioco resta pericoloso, poiché la Russia ha dimostrato di essere in grado di mantenere, e forse anche estendere, le proprie posizioni sul campo; ha trovato vie stabili per aggirare le sanzioni; ha adottato strategie in grado di sostenere la produzione bellica, per esempio utilizzando bombe-razzo, concepite nella seconda guerra mondiale, invece di costosi missili da crociera; producendo, entro il 2024, 4,5 milioni di proiettili d’artiglieria (contro 1,3 milioni prodotti da Stati Uniti e paesi europei messi insieme) ad un costo medio di mille euro contro i 4 mila occidentali; ha consolidato la propria alleanza politico-militare con la Bielorussia; ha continuato ad avanzare proposte di una soluzione diplomatica del conflitto, che hanno trovato apprezzamenti nel mondo, Occidente escluso.
Per capire le dimensioni del rischio, dovremmo tornare a 110 anni fa, a quello strano mese di giugno del 1914, quando un attentato diabolicamente orchestrato portò in poco più di un mese alla guerra: una guerra, che tutti si aspettavano ma tutti dicevano di non volere – una guerra mondiale, vorremmo ricordare.
Se infatti dovessero oggi ancora esistere nel mondo forze che vedono nell’annientamento della Russia e nel definitivo affossamento dell’Europa una necessità storica, i mesi fra giugno e l’autunno prossimo rappresentano una finestra di opportunità estremamente attraente, vista l’incertezza sull’esito delle elezioni americane, le tensioni fra Usa e Cina nel Pacifico, la guerra in Medio Oriente, gli automatismi del Patto Atlantico, l’addormentamento dell’opinione pubblica europea.

E noi?

L’Unione Europea, fino dal 2003, con l’accordo UE-NATO denominato “Berlin Plus”, ha delegato alla NATO la propria difesa, interna ed esterna: qualunque sia l’esito delle prossime elezioni, quindi, nonostante i vaniloqui dei politici cosiddetti sovranisti, tra i quali brillano per ipocrisia quelli italiani, l’Europa non potrà avere alcuna propria identità politica, tantomeno un’autonoma consistenza militare.
Quando non consapevoli strumenti delle politiche di potenza, i quadri dirigenti europei (politici, militari, finanziari, mediatici) rientrano nella categoria di quei “sonnambuli” politici cui lo storico Clarke attribuisce non a torto la responsabilità dello scoppio della Grande Guerra.
Non vi sono dunque soluzioni? Vi sarebbero, altro che!
Che lo Stato italiano dica alla cittadinanza, invece di coprire queste informazioni con il segreto, quali armi abbiamo inviato all’Ucraina, a seguito dei ben nove pacchetti di aiuti deliberati dai nostri governi. Che lo Stato italiano, per la prima volta dalla fine della seconda guerra mondiale, renda finalmente pubblici i vari protocolli segreti che governano l’uso delle nostre basi e delle nostre unità militari e di polizia, da parte della NATO e degli USA. Che si intraprenda un percorso di uscita dal Patto Atlantico: un organismo politico-militare che da troppo tempo ha fatto il suo tempo – un’alleanza la cui bellicosa strategia di allargamento nell’Europa dell’est porta la principale responsabilità di questa guerra fra due popoli slavi un tempo affratellati.
Questa sarebbe la festa di una vera Repubblica Italiana.

(2 Giugno 2024)

Tratto da: clarissa.it


Foto di copertina © Imagoeconomica

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