Il premier accerchiato da problemi: dalle incessanti pressioni internazionali su Gaza al crollo nei sondaggi
Questo articolo, che riproponiamo ai nostri lettori, è stato scritto in data 20-01-2024.
Il governo guidato da Benjamin Netanyahu è sempre più in bilico. Nel Likud, il partito sionista di destra del premier, cresce la fronda contro un leader il cui destino politico sembra destinato al collasso, segnato tra le altre cose dagli ostaggi ancora nelle mani di Hamas. A raccontare di una spaccatura interna al Likud sulla figura del primo ministro è il Jerusalem Post. Il quotidiano scrive che nemmeno nel suo partito, che guida dal 1996 e col quale è andato al governo ben sei volte, non c’è più un sostegno incondizionato nei confronti di un leader incapace di gestire l’opposizione interna, sia da sinistra che da destra, la pressione degli alleati e il peso delle responsabilità per il disastro dei reparti di intelligence e sicurezza nell’attacco del 7 ottobre scorso. Se a questo si aggiungono le accuse di corruzione e abuso d’ufficio che ancora pendono sulla testa del primo ministro, è chiaro il suo tramonto politico. Un numero sempre crescente di esponenti del Likud, scrive il Jerusalem Post, ritiene che il primo ministro Benjamin Netanyahu, abbia i giorni contati come leader del partito.
Così, anche gli alleati lo scaricano perché in pochi ritengono che la sua promessa di “sradicare per sempre Hamas” possa essere rispettata. "Se il Likud non sarà più il partito al governo in una futura elezione, quasi tutti i suoi attuali 18 ministri (escluso Netanyahu) saranno relegati a servire come parlamentari dell'opposizione - e la maggior parte degli attuali parlamentari rimarranno senza lavoro”, riporta il giornale israeliano. “Pertanto, dietro le quinte i parlamentari hanno cominciato a gravitare verso possibili successori".
Ecco che nelle stanze del Likud si parla già di chi dovrà raccogliere l’eredità di Netanyahu alla guida del partito. I nomi sono noti: in testa c’è sicuramente il ministro della Difesa Yohav Gallant, col quale il premier è ormai a un punto di rottura insanabile, ma si parla anche del ministro degli Esteri, Israel Katz, di quello dell’Economia, Nir Barkat, e dell’attuale presidente della Commissione Affari costituzionali, Yuli Edelstein.
Non solo problemi tra alleati del governo di unità nazionale, nato a seguito dei fatti del 7 ottobre. Netanyahu deve pensare anche al crollo della popolarità del suo partito nei sondaggi.
Se si votasse oggi - ha certificato l'ultima rivelazione del quotidiano Maariv - il Likud crollerebbe a 16 seggi (dagli attuali 32) contro i 39 del centrista Benny Gantz, che ne avrebbe quindi più del doppio. A certificare la caduta libera nel gradimento popolare, lo stesso sondaggio del Maariv rivela che Netanyahu si ferma al 31% di consensi, rispetto al 50% di Gantz. Se è vero che i sondaggi possono sbagliare, è tuttavia innegabile che il premier più longevo della storia di Israele non sia mai stato tanto in difficoltà.
L'ex premier Ehud Barak ha chiesto elezioni al massimo entro giugno "prima che sia troppo tardi", ovvero prima che le liti tra Netanyahu e gli Usa portino la sicurezza di Israele "nell'abisso". Non da meno è stato il vice di Gantz, l'ex capo di stato maggiore Gadi Eisenkot che pure è ministro del Gabinetto di guerra: "È necessario entro qualche mese riportare l'elettore israeliano alle urne per rinnovare la fiducia, perché in questo momento non c'è fiducia. Come possiamo continuare così con una leadership che ci ha miseramente deluso?", ha affermato. E’ evidente il tentativo di Gantz di approfittare del momento di debolezza di Netanyahu per lavorarlo ai fianchi. Ma non sarà semplice per l’ex capo di stato maggiore prendere, eventualmente, le redini del governo che verrà.
Anche Gantz, infatti è considerato responsabile dei fallimenti dell’operazione militare nella Striscia essendo membro del governo di unità nazionale. Il politico e generale israeliano ha accettato, a differenza dell’altro leader dell’opposizione, Yair Lapid, di entrare nel governo per condurre la guerra a Hamas.
Uno degli obiettivi che il governo non può ignorare è certamente la liberazione dei 136 ostaggi ancora nelle mani dei miliziani. E mentre Netanyahu rifiuta l’idea di nuove trattative, Eisenkot indica proprio quella come la via da seguire. E lo fa invocando un termine fino a oggi bandito all’interno dell’esecutivo: cessate il fuoco. “Gli ostaggi torneranno vivi solo se ci sarà un accordo legato a una significativa pausa nei combattimenti", ha detto.
Isolamento internazionale
Non solo problemi interni. Netanyahu ha molto a cui pensare anche al livello internazionale. In particolare, come detto, sul fronte di oltreoceano. Solo ieri, dopo 27 giorni di silenzio e gelo il presidente Usa Joe Biden è tornato a parlare con Netanyahu, per ribadirgli che Israele deve ridurre i danni subiti dai civili a Gaza e che gli americani continuano a puntare sulla creazione di uno Stato palestinese malgrado il premier israeliano appena ieri l'abbia esclusa. Netanyahu è ostinato a non voler trovare una soluzione adeguata ed equa per risolvere la questione palestinese. E questa sua ostinazione sta avendo dure conseguenze sul premier.
Ma le difficoltà di Bibi non si registrano solo con Washington. In Europa l'Alto rappresentante Josep Borrell ha detto senza giri di parole che "il governo di Israele" guidato da Netanyahu rappresenta "un impedimento" ad una qualsiasi soluzione del conflitto, e che la comunità internazionale dovrebbe "imporre dall'esterno" la soluzione a 2 Stati. Secondo fonti di Bruxelles, infatti, i 27 Stati membri dell’Unione Europea sono concordi nel sostenere la soluzione dei due Stati, respinta categoricamente da Netanyahu, e lunedì durante i colloqui con il ministro degli Esteri Katz, che prenderà parte al Consiglio Affari Esteri, il messaggio sarà “chiaramente consegnato”.
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