Lo Stato ebraico istiga l’allargamento del conflitto nella regione. Macron interviene, ma non basta

Questo articolo, che riproponiamo ai nostri lettori, è stato scritto in data 03-01-2024.

All'indomani dell'attacco a Beirut in cui è stato ucciso il numero 2 di Hamas Saleh al-Arouri, assieme ad altri sei uomini, tra cui la sua scorta personale, cominciano ad emergere i profili e l'importanza nell'organizzazione palestinese delle altre vittime dell'esplosione di ieri. Quello avvenuto ieri notte nel quartiere di Dahah, il cuore dell'attività di Hezbollah nella capitale libanese, non è il primo attentato o delitto eccellente che Israele compie in uno Stato sovrano.
Al contrario, si tratta di un modus operandi che dagli anni ’70 porta avanti grazie al Mossad e allo Shin Bet, i due corpi di intelligence, con cui nel corso della storia più volte è riuscita a individuare e uccidere esponenti di spicco palestinesi: politici, rivoluzionari, intellettuali, professori ecc. Il tutto nell’impunità e nella complicità della comunità internazionale.
A confermare questa linea è il capo del Mossad, David Barnea che dopo l’attentato di ieri sera ha detto: "Ogni madre araba sappia che se suo figlio ha preso parte al massacro" del 7 ottobre, "ha firmato la propria condanna a morte".
Ieri notte, assieme a al-Arouri, sono stati uccisi anche i membri dell'organizzazione Mahmoud Zaki Shahin, Mohammad Bashasha, Mohammad Al Rayes e Mohammad Hamoud, e due comandanti delle Brigate al Qassam, Azzam Al Aqra e Samir Findhi. Secondo il capo dell'ufficio politico di Hamas, Ismail Haniyeh, l'attacco “dimostra, ancora una volta, la brutalità perpetrata dall'occupazione contro il nostro popolo”, ammonendo che “l'occupazione è responsabile di qualsiasi ripercussione".
Secondo fonti del quotidiano israeliano Yedioth Ahronoth, Samir Findhi (detto Abu Amer), era il contatto principale di Hamas con il gruppo Houthi dello Yemen, sostenuto dall'Iran. Effendi, comandante in Libano delle brigate Az ad-Din al-Qassam, ha fatto parte di Hamas per 30 anni, iniziando la sua attività nell'apparato di sicurezza dell'organizzazione. L'altro partecipante di rilievo alla riunione di ieri ucciso dall'esplosione era Azzam al-Aqra, che ha operato in Siria, Arabia Saudita e Turchia, prima di prendere parte a diverse attività militari anche in Cisgiordania.
L'Egitto ha ufficialmente informato Israele di aver sospeso il suo ruolo di mediatore tra lo Stato ebraico e Hamas, in risposta all'uccisione di ieri a Beirut di Saleh al-Arouri. Lo ha riferito l'emittente israeliana Kan, citando un rapporto del Qatar, secondo cui Il Cairo avrebbe espresso il suo disappunto per l'omicidio di Al-Arouri ad alti funzionari israeliani, soprattutto dopo che l'Egitto aveva intensificato i suoi sforzi di mediazione su richiesta di Israele. Secondo quanto riferito dal quotidiano israeliano, un alto funzionario di Hamas, Osama Hamdan, ha dichiarato che un'indagine preliminare mostrerebbe che l'arma utilizzata per assassinare Al-Arouri sarebbe stata fornita dagli Stati Uniti a Israele. Secondo i funzionari della sicurezza libanesi l’attentato è avvenuto grazie all’impiego di droni.
Non si è fatta attendere la risposta del Libano. Il primo ministro uscente, Najib Miqati, ha ordinato al ministro degli Esteri, Abdallah Bou Habib, "di chiedere che venga presentata una denuncia urgente al Consiglio di sicurezza dell'Onu, nel contesto del palese attacco alla sovranità libanese con i bombardamenti avvenuti nella periferia sud di Beirut". Da parte sua, il capo della diplomazia libanese ha incaricato il rappresentante di Beirut presso le Nazioni Unite a New York, Hadi Hachem, e l'incaricato d'affari dell'ambasciata libanese a Washington, Wael Hachem, "di stabilire i contatti necessari e di presentare forti proteste contro la pericolosa aggressione israeliana e il tentativo attirare il Libano e la regione verso un'escalation globale". Anche il primo ministro palestinese Mohammad Shtayyeh ha condannato l'"assassinio" del numero due di Hamas Saleh al-Arouri, definendo l'omicidio un "crimine perpetrato da noti criminali" e mettendo in guardia sui "rischi e le conseguenze che potrebbero derivarne".


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Libano-Israele: l’escalation continua
Nel frattempo, l'esercito israeliano continua ad attaccare il sud del Libano. Questa mattina ha colpito una base di Hezbollah nel sud del Paese, al confine con Israele. Secondo quanto riferiscono le forze di sicurezza israeliane, un caccia israeliano ha colpito un sito appartenente al gruppo armato. L'attacco aereo arriva nel contesto di ripetuti attacchi transfrontalieri effettuati anche da Hezbollah. L'IDF afferma che nelle ultime ore diversi missili sono stati lanciati dal Libano verso il nord di Israele e che le truppe stanno bombardando i siti di lancio con l'artiglieria. Hezbollah ha rivendicato finora due attacchi al confine, vicino a Shlomi e Zar'it. Il gruppo armato ha annunciato anche la morte di altri due suoi membri, uccisi ieri in un attacco israeliano. Dall'8 ottobre sono stati uccisi almeno 140 membri di Hezbollah, soprattutto nel sud del Libano, ma alcuni anche in Siria.
Il governo libanese sta chiedendo a Hezbollah di non rispondere all'uccisione del numero due di Hamas da parte di Israele. E lo fa perché teme, come ha detto il suo ministro degli Esteri Abdallah Bou Habib, di essere trascinato in una guerra regionale che rischia solo di destabilizzare ulteriormente una situazione già molto tesa. Ma il gruppo guidato da Hassan Nasrallah ha già detto che il crimine non resterà impunito. E l'Iran, che di Hezbollah è il sostenitore numero uno, ha fatto sapere che ci saranno conseguenze. Se il presidente iraniano Ebrahim Raisi ha condannato il “crimine dell'uccisione di uno dei più importanti combattenti della resistenza palestinese”, il suo ministro della Difesa Mohammad-Reza Gharaei Ashtiani ha contestato agli Stati Uniti un ruolo nell'attacco. E il ministro degli Esteri iraniano Hossein Amirabdollahian ha parlato di “minaccia alla pace e alla sicurezza” per le “attività dannose della macchina terroristica” di Israele. Anche il leader politico di Hamas Ismail Haniyeh ha sottolineato che il gruppo “non sarà mai sconfitto” e anzi “esce rafforzato nella sua determinazione e tenacia” dall'uccisione di al-Arouri. Per sapere cosa accadrà davvero bisognerà aspettare i prossimi giorni, se non già le prossime ore quando è atteso un discorso di Nasrallah. Ad agosto il leader di Hezbollah aveva minacciato una “forte reazione a qualsiasi omicidio in territorio libanese di libanesi, iraniani o palestinesi”. Ora, secondo l'analista Amal Saad, il gruppo sciita sta ragionando su una “risposta calibrata”.
Intanto “siamo pronti a qualsiasi scenario” e le forze israeliane sono “a un livello di prontezza molto alto sia in difesa sia in attacco”, ha dichiarato il portavoce militare delle Forze di difesa israeliane (Idf), Daniel Hagari, anche se Israele non ha ancora rivendicato ufficialmente la responsabilità dell'azione. E non lo sta facendo proprio per dare a Hezbollah un margine di manovra nella risposta. Comunque sia le accuse di Hamas, Hezbollah e Iran vanno tutte nella direzione di Tel Aviv e Washington. Anche un funzionario del Pentagono, parlando a condizione di anonimato al Washington Post, ha affermato che le Idf sono responsabili del raid che ha colpito al-Arouri. Una fonte di Hezbollah citata sempre dal Washington Post ha spiegato che l'uccisione di al-Arouri è avvenuta con l'utilizzo di un drone con tre razzi. L'analista israeliano ed ex consigliere di Benjamin Netanyahu, Aviv Bushinsky, ha definito l'uccisione del vicecapo di Hamas “l'assassinio più grande in oltre un decennio” e ha detto che “ovviamente” Israele ne è responsabile. Anche perché eliminare la leadership di Hamas è “uno degli obiettivi fondamentali della guerra” ed è “il minimo che il popolo di Israele si aspetta che ottenga” il suo primo ministro. Analisti citati dal Guardian sostengono che le conseguenze degli omicidi sono spesso molto imprevedibili. La morte di un leader potrebbe costringere un gruppo a cambiare strategia o addirittura a rinunciare alla violenza, ma potrebbe anche portare all'ascesa di un altro leader, ancora più intransigente. E l'uccisione di al-Arouri potrebbe portare Israele a dover combattere una guerra su due fronti, scenario che in precedenza aveva cercato di evitare.


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Possibile contrattacco
In risposta all'uccisione del numero due di Hamas, Israele si sta preparando per un forte contrattacco da parte di Hezbollah libanese, che potrebbe includere il lancio di missili a lungo raggio. In precedenza, Hezbollah aveva affermato che "il crimine dell'assassinio di al-Arouri non resterà mai impunito e che la resistenza risponderà ed è al massimo livello di prontezza". Il partito sciita libanese ha aggiunto - in un comunicato - che "l'assassinio di al-Arouri e dei suoi compagni martiri nel cuore del sobborgo meridionale di Beirut costituisce un pericoloso attacco al Libano e uno sviluppo pericoloso nel corso della guerra tra l'occupazione israeliana e l'asse di resistenza". Intanto il presidente francese Emmanuel Macron ha invitato Israele a evitare qualsiasi comportamento di escalation, soprattutto in Libano. Secondo l'Eliseo, Macron ha telefonato al ministro israeliano Benny Gantz, membro del Consiglio di Guerra, al quale ha sottolineato la necessità di "evitare qualsiasi comportamento di escalation, soprattutto in Libano, e che la Francia continuerà a trasmettere questi messaggi a tutti gli attori interessati, direttamente o indirettamente, nella regione".
La tensione è in aumento dopo la decisione da parte dei palestinesi di convocare uno sciopero generale per "piangere la morte di Saleh al-Arouri". Come riporta Al-Jazeera, i palestinesi "non hanno dubbi su chi abbia ucciso al-Arouri e che si sia trattato di un assassinio", per questo negozi, scuole e istituzioni resteranno chiuse in Cisgiordania oggi. Al-Arouri era originario della Cisgiordania e la gente pensa che Israele lo abbia assassinato "per mostrare una vittoria al suo popolo mentre non può garantire una vittoria nella Striscia di Gaza". La casa di al-Arouri ad Arura era stata fatta saltare in aria dalle forze israeliane già a fine ottobre. Lo sciopero si somma all’appello diramato con un comunicato in Westbank che invitava a manifestare contro l'esercito israeliano dalle 12:00 (le 11 in Italia), come ha riportato Haaretz. Sempre in Cisgiordania, questa mattina c’è stata una vasta operazione militare da parte dell’esercito israeliano nel campo profughi di Tulkarem e diverse persone sono rimaste ferite. Secondo l'agenzia di stampa palestinese Wafa, un drone ha sparato un missile verso il quartiere di Abu al-Foul nel campo, ferendo un numero non meglio precisato di persone. I militari israeliani sono penetrati anche nel quartiere di Balouneh, dove sono scoppiati scontri tra alcuni giovani palestinesi e i soldati. Secondo Wafa le forze israeliane hanno occupato scuole e strutture ospedaliere nella città di Tulkarem. Non solo. I militari hanno imposto il coprifuoco anche nel campo di Nour Shams, sempre in Cisgiordania, fino a "nuovo avviso". Continua dunque il clima di tensione di questo assedio israeliano che, stando al bilancio del Ministero della Sanità di Gaza, ha causato 22.313 morti a Gaza dal 7 ottobre (di cui 9.100 bambini) e oltre 57mila feriti, di cui 8.600 bambini e 7.000 dispersi. In Cisgiordania, invece, sono 324 le vittime palestinesi (83 bambini) e 3.800 i feriti.


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Striscia di Gaza e la migrazione forzata
“Il reinsediamento 'volontario' dei palestinesi da Gaza sta lentamente diventando una politica ufficiale del governo israeliano”. Lo sostiene il Times of Israel, secondo cui la coalizione del premier Benjamin Netanyahu starebbe portando avanti trattative in gran segreto con il Congo e altri Paesi per accogliere migliaia di immigrati da Gaza. “Il Congo sarà disponibile ad accogliere migranti e siamo in trattative con altri”, ha suggerito al giornale una fonte dal gabinetto di sicurezza. Lunedì scorso, Netanyahu aveva annunciato ad una riunione del Likud di star lavorando per facilitare la migrazione volontaria degli abitanti di Gaza verso altri Paesi. “Il nostro problema è trovare Paesi disposti ad assorbire gli abitanti di Gaza, e ci stiamo lavorando”, aveva dichiarato. Il premier rincarava così la dose del deputato Likud Danny Danon, per cui “il mondo stava già discutendo le possibilità dell'immigrazione volontaria”, sebbene l'idea sia, almeno a parole, categoricamente respinta dalla comunità internazionale. I partiti di estrema destra, il Partito Sionista Religioso e Otzma Yehudit, guidati rispettivamente dal ministro delle Finanze Bezalel Smotrich e dal ministro della Sicurezza Nazionale Itamar Ben-Gvir, sono i più grandi sostenitori dei piani di migrazione. Martedì, il Dipartimento di Stato americano ha rimproverato Smotrich e Ben-Gvir per aver sostenuto il reinsediamento dei palestinesi fuori Gaza, definendo la loro retorica “infiammatoria e irresponsabile”. Mercoledì Smotrich ha respinto i commenti, sostenendo che oltre il 70% degli israeliani sostiene l'idea di “incoraggiare l'immigrazione volontaria” perché “due milioni di persone a Gaza si svegliano ogni mattina con il desiderio di distruggere lo Stato di Israele”. L'ufficio di Netanyahu ha rilasciato in passato dichiarazioni in cui insisteva pubblicamente sul fatto che Smotrich e Ben Gvir non rappresentino la politica del governo sulla questione, nonostante i suoi stessi commenti della scorsa settimana a sostegno di un trasferimento di popolazione. Anche diversi ministri e legislatori del Likud si sono esposti in favore. Martedì, il ministro dell'Intelligence Gila Gamliel aveva detto al Times of Israel che “la migrazione volontaria è il programma migliore e più realistico per il giorno successivo alla fine dei combattimenti”. Inoltre, durante una conferenza tenutasi alla Knesset per esaminare le possibilità per la Gaza del dopoguerra, Gamliel aveva dichiarato: “Alla fine della guerra, il governo di Hamas crollerà. Non esistono autorità comunali; la popolazione civile dipenderà interamente dagli aiuti umanitari. Non ci sarà lavoro e il 60% dei terreni agricoli di Gaza diventeranno zone cuscinetto di sicurezza”. A novembre, aveva pubblicato un editoriale sul Wall Street Journal in cui illustrava per la prima volta il piano per l'immigrazione palestinese, chiedendo che ''i Paesi di tutto il mondo accettino un numero limitato di migranti”.
Sul punto il presidente francese Emmanuel Macron ha messo in guardia Israele dal contemplare un trasferimento forzato dei residenti di Gaza. Durante il colloquio telefonico di ieri con Benny Gantz, membro del gabinetto di guerra israeliano, Macron ha "sostenuto che le dichiarazioni relative al trasferimento forzato dei gazawi sono inaccettabili e contraddicono la soluzione dei due Stati, che costituisce l'unica soluzione praticabile per il ritorno alla pace e alla sicurezza per tutti", ha riferito l'Eliseo in una nota pubblicata nella notte.
Anche l'Autorità suprema delle tribù palestinesi nella Striscia di Gaza ha respinto un piano attribuito alle Forze di difesa di Israele (Idf), in base al quale le grandi famiglie locali prenderebbero il posto del movimento islamista palestinese Hamas nella gestione dell'exclave palestinese. Lo ha riferito in un comunicato Akef al Masry, commissario generale dell'Autorità suprema delle tribù palestinesi, citato dall'emittente panaraba Al Arabiya. “Lo Stato di occupazione (Israele, ndr) cerca di coprire il suo fallimento a Gaza e di creare confusione e conflitti nella società palestinese", ha dichiarato Al Masry, sottolineando la necessità di una leadership unificata nella Striscia "per rafforzare la fermezza del popolo e prevenire le opportunità per tutti i piani dell'occupazione". Secondo quanto riferito dall'emittente israeliana Kan, il piano preparato dalle Idf, che dovrebbe essere discusso nella prossima riunione del gabinetto di guerra, prevede che i clan e le tribù locali gestiscano e distribuiscano gli aiuti umanitari a Gaza. La Striscia verrebbe quindi divisa in governatorati e distretti, e ogni famiglia gestirebbe un governatorato, ha spiegato Kan.

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