Domenica la violenza nel nord del Kosovo si è accesa di nuovo. Nelle prime ore del mattino una pattuglia della polizia kosovara ha ricevuto la segnalazione che due camion senza targa stavano bloccando una strada nel villaggio di Banjska, nel nord del Paese a maggioranza serba. Giunti nei pressi, gli agenti sono stati bersagliati da colpi di arma da fuoco da parte di un commando composto da una trentina di uomini, pesantemente armati e a volto coperto. Un sergente di polizia è morto e un agente della guardia di frontiera è rimasto ferito. Successivamente, il gruppo di aggressori si è asserragliato nel monastero serbo ortodosso di Banjska, assediato dalle forze dell'ordine kosovare, con le quali ha ingaggiato uno scontro a fuoco prolungato. La polizia ha blindato l'insediamento e ha disposto la chiusura temporanea di due valichi alla frontiera con la Serbia: Jarinje e Brnjak. La giornata di violenza è terminata nella notte di domenica, quando la polizia ha ripreso il controllo dell'area, ma non senza uno strascico di vittime: quattro degli aggressori armati sono infatti morti, mentre altri due sono stati arrestati; assieme a loro le forze dell'ordine hanno arrestato quattro persone complici del commando e altri due poliziotti sono rimasti feriti. Fin dal mattino, il primo ministro del Kosovo Albin Kurti ha puntato il dito contro la Serbia. "La criminalità organizzata, con il sostegno politico, finanziario e logistico di Belgrado, sta attaccando il nostro Stato", ha detto, parlando di un attacco "criminale e terroristico". In una conferenza stampa seguita a una riunione del Consiglio di sicurezza del Paese, Kurti ha attirato l'attenzione sul fatto che i membri del commando fossero armati di tutto punto e avessero con sé anche un mezzo blindato, suggerendo che si trattasse di "professionisti". Non meno piccate sono state le dichiarazioni della presidente Vjosa Osmani, che ha parlato di un attacco "pianificato, orchestrato ed eseguito da gang criminali serbe". Il suo capo di gabinetto, Blerim Vela, ha qualificato gli aggressori come "omini verdi" della Serbia, espressione spesso usata per riferirsi ai gruppi di soldati russi con uniformi militari anonime e sprovviste di mostrine protagonisti della crisi ucraina del 2014.
Una reazione da parte di Belgrado è arrivata dapprima dal presidente del Parlamento di Belgrado, Vladimir Orlic, che ha respinto le accuse e attribuito la responsabilità della violenza alle autorità del Kosovo e al suo governo. "Tutto ciò che Kurti ha fatto nei mesi scorsi, con il terrore brutale scatenato contro il popolo serbo, è stato messo in atto precisamente perché voleva un'aperta escalation e perché voleva provocare qualche episodio di violenza", ha detto Orlic. Il presidente serbo Aleksandar Vucic ha parlato in serata, con toni non dissimili: "Albin Kurti è l'unico colpevole, è lui che vuole il conflitto e la guerra. L'unico desiderio che ha è trascinarci in un conflitto con la Nato. In colloquio lunedì con l'ambasciatore della Federazione Russa a Belgrado, Aleksandr Bocan-Harchenko, Vucic si è spinto fino a parlare di una ‘brutale pulizia etnica’ che il capo del governo kosovaro ha organizzato contro i serbi ‘con il sostegno di parte della comunità internazionale’”.
E rappresentanti della comunità internazionale sono intervenuti fin da domenica per condannare la violenza ed esprimere preoccupazione per il rischio che il dialogo e la normalizzazione dei rapporti tra Belgrado e Pristina subiscano una battuta d'arresto o addirittura facciano passi indietro. L'Alto rappresentante dell'Unione europea per gli Affari esteri e la Politica di sicurezza Josep Borrell ha dichiarato che l'Ue condanna "nei termini più forti possibili" l'orribile attacco di domenica mattina. Tutti i fatti che lo riguardano "devono essere chiariti e i responsabili devono affrontare la giustizia", ha aggiunto Borrell. Gli ha fatto eco l'inviato speciale dell'Ue per il dialogo Belgrado-Pristina Miroslav Lajcak, affermando che "la violenza in ogni forma è assolutamente inaccettabile". "Tutti devono tornare immediatamente al dialogo", ha aggiunto Lajcak. Anche la missione a guida della Nato in Kosovo (Kfor) ha condannato fermamente l'attacco contro la polizia kosovara e ha riferito di monitorare da vicino la situazione a Banjska. Gli Stati Uniti hanno condannato le violenze coordinate contro la polizia del Kosovo per il tramite del segretario di Stato Antony Blinken, secondo cui "gli autori devono essere chiamati a rispondere delle loro azioni attraverso un processo investigativo trasparente". "Chiediamo ai governi del Kosovo e della Serbia di astenersi da qualsiasi azione o retorica che possa infiammare ulteriormente le tensioni e di lavorare immediatamente, in coordinamento con i partner internazionali, per smorzare la situazione, garantire la sicurezza e lo stato di diritto, e tornare al dialogo facilitato dall'Ue", ha detto Blinken.
Ha fatto sentire la sua voce anche l'Italia: il ministro della Difesa Guido Crosetto ha detto che le parti, "serbi e kosovari, militari e civili", devono impegnarsi "per bloccare ogni focolaio di tensione nell'area". Lunedì il vicepremier e ministro degli Esteri Antonio Tajani ha avuto colloqui telefonici sia con Kurti, sia con Vucic, ai quali ha chiesto di favorire il dialogo. "L'Italia segue con forte preoccupazione i recenti sviluppi nel nord del Kosovo e condanna con la massima fermezza l'attacco armato contro la polizia kosovara perpetrato nella notte tra sabato e domenica, che e' costato la vita a un agente", ha commentato Tajani, aggiungendo che "d'intesa con il ministro della Difesa Guido Crosetto siamo disposti a valutare proposte di rafforzamento del dispositivo della Kfor". Tajani ha esortato le parti a dare piena e immediata attuazione a quanto richiesto il 19 settembre dagli Stati membri Ue con la dichiarazione rilasciata dall'Alto Rappresentante Borrell. "Il controllo delle frontiere tra Kosovo e Serbia è un impegno dell'Italia. L'Italia vuole la pace", ha ribadito Tajani. Era dalla scorsa primavera che le tensioni non si acuivano fino a questo punto nella regione, ossia da quando il nord del Kosovo era stato teatro di manifestazioni di protesta della popolazione serba contro l'insediamento dei nuovi sindaci di etnia albanese nei comuni dell'area, la cui elezione era stata determinata in massima parte dal boicottaggio del voto da parte dei serbi. Le proteste erano culminate con il ferimento a fine maggio di decine di militari della Kfor.
Fonte: Agenzia Nova