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Nel suo ultimo libro, L’imbroglio dello sviluppo sostenibile, Maurizio Pallante ricorda che la riduzione dei consumi di risorse naturali si può ottenere “limitando gli sprechi; aumentando l’efficienza dei processi di trasformazione delle materie prime in beni; producendo oggetti che durano di più e sono recuperabili; recuperando e riutilizzando i materiali contenuti negli oggetti dismessi; ridimensionando il valore dell’innovazione perché induce ad accelerare i processi di sostituzione degli oggetti, anche quelli che svolgono ancora perfettamente la loro funzione; riducendo la mercificazione con lo sviluppo dell’autoproduzione e degli scambi fondati sul dono reciproco del tempo; valorizzando le relazioni umane fondate sulla solidarietà”. Se tutto questo non dovesse esser fatto in tempi brevissimi, il rischio estinzione per l’umanità aumenterebbe considerevolmente. Qual è il problema? Tali azioni cozzano con l’essenza stessa delle società che finalizzano l’economia all’aumento della produzione di merci. Le società dei consumi! Negli anni 70′, dalle dune di Sabaudia, Pier Paolo Pasolini parlava di fascismo e società dei consumi. “Ora invece succede il contrario, il regime è un regime democratico, però quella acculturazione, quell’omologazione che il fascismo non è riuscito assolutamente ad ottenere, il potere di oggi, il potere della civiltà dei consumi riesce invece ad ottenere perfettamente distruggendo le varie realtà particolari, togliendo realtà ai vari modi di essere uomini che l’Italia ha prodotto in modo storicamente molto differenziato. E allora io posso dire senz’altro che il vero fascismo è proprio questo potere della civiltà dei consumi che sta distruggendo l’Italia. E questa cosa è avvenuta talmente rapidamente che non ce ne siamo resi conto”. In un momento in cui si è tornati a parlare, spesso a sproposito, di fascismo tout court, è bene rileggere queste parole. Parole che ci fanno comprendere perché Pasolini non venne avversato soltanto da destra.

La guerra e la civiltà dei consumi – Un conflitto anche contro l’ambiente
Veniamo alla guerra. La Meloni continua a ripetere che “scommette sulla vittoria dell’Ucraina”. Ebbene, tale scommessa (rischiosissima tra l’altro e che ha a che fare con decine di migliaia di morti) unita al massiccio invio di armi a Kiev, non solo pone il governo italiano in una ormai palese posizione di cobelligeranza ma mostra la chiarissima incostituzionalità delle azioni governative. L’Italia, è bene ricordare, ripudia la guerra non soltanto come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli, ma anche come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali. Armare un paese fino ai denti, rendendo, tra l’altro, il suo esercito uno dei più potenti dell’occidente e allo stesso tempo scommettere sulla vittoria finale di tale esercito significa, indubbiamente, tentare di risolvere una controversia internazionale con la guerra. Questo l’Italia oltre a non doverlo fare, non può farlo. Ma Mattarella tace. La settimana scorsa, dopo essersi opposto per mesi, Biden, bontà sua, ha dato l’ok agli alleati che ne dispongono, di dotare l’aviazione ucraina di caccia F-16. Questa notizia ha oscurato la presa di Bachmut da parte russa dopo la battaglia più sanguinosa dall’inizio della guerra. Gran parte dei giornali italiani hanno da un lato sostenuto che la vittoria di Mosca a Bachmut fosse una vittoria di Pirro (pare siano morti oltre 50.000 soldati ucraini ma raccontarlo cozza con la trionfalistica narrazione bellicista occidentale) dall’altro hanno insistito sull’ipotetica svolta che vi sarà grazie agli F-16 a Kiev. Le solite storielle che ci hanno raccontato negli ultimi 18 mesi insomma.
La solita ipotetica svolta ottenuta grazie all’ultimo pacchetto di armi inviato. Quel che ci dissero dopo l’invio dei razzi anticarro Javelin, dei lanciarazzi multipli Himars, dei Patriot, dei Leopard. Il tutto per convincerci della bontà della strategia occidentale in Ucraina. Adesso proviamo a pensare alla guerra come una delle innumerevoli modalità per rafforzare il fine ultimo della civiltà dei consumi, per dirla alla Pasolini. Ovvero evitare in ogni modo che la domanda di merci cresca meno dell’offerta. Quando questo è avvenuto gli esiti per la produzione industriale sono stati catastrofici. Ebbene qual è il solo modo, ancor di più in un momento in cui la maggior parte dei giovani, giustamente, pensa alle lotte ambientali e climatiche, per accrescere la produzione industriale di armamenti? Fare (o promuovere) guerre e convincerci, oltretutto, che queste siano scontri di civiltà da vincere ad ogni costo. Questa è la “scommessa” meloniana sulla vittoria ucraina. Non sappiamo chi vincerà sul campo. Sappiamo chi sta vincendo nei consigli di amministrazione.

La guerra e la civiltà dei consumi – Modelli economici e industria delle armi
Gli F-16 sono aerei da combattimento progettati e sviluppati dalla General Dynamics e poi prodotti dalla Lockheed Martin, la più grande fabbrica di armi al mondo. La Lockheed Martin produce anche gli F-35. Gli F-16 sono caccia non dico obsoleti ma sicuramente meno moderni, potenti e costosi degli F-35. Il primo F-16 volò nel 1974 quando a capo dell’URSS c’era Brežnev e alla Casa Bianca Gerald Ford. Proprio nel 1974, a Vladivostok, i due si incontrarono per riprendere i negoziati per la limitazione delle armi strategiche, che si erano interrotti due anni prima. Il mondo era diviso in blocchi, eppure i due trovarono un accordo per la dismissione di armi potenzialmente distruttive per l’umanità intera. Oggi, ad Hiroshima, proprio ad Hiroshima, i leader dei principali paesi occidentali (alcuni dei quali si credono scioccamente ancora i leader dei paesi più potenti al mondo) sostenendo, di fatto, che un negoziato in Ucraina ci sarà soltanto quando le truppe russe avranno abbandonato i territori conquistati, hanno scelto (non so se lucidamente) di accelerare quel processo di distruzione irreversibile del pianeta innescato dal dominio della civiltà dei consumi. Quella civiltà per la quale le guerre, sono fondamentali. D’altronde, il solo modo per spingere i paesi alleati (e le pubbliche opinioni ad accettarlo) a comprare F-35 è dismettere gli F-16.
E qual è il modo più rapido per dismetterli? Donarli e farli distruggere. E’ la guerra e, soprattutto, è il modello economico che ci circonda e che non accetta la produzione di oggetti che durano di più e sono recuperabili. E questo vale per le auto, per i cellulari, per i pc, per i forni a microonde e per i cacciabombardieri. La guerra, soprattutto oggi, è necessaria per evitare che diminuisca la domanda di sistemi d’arma, ovvero quel che farebbe crollare la produzione militare. In particolare, poi, vi è una tipologia di guerra particolarmente utile a tale obiettivo: l’endless war, la guerra senza fine. Come la guerra in Afghanistan la quale, se fosse durata pochi mesi e non vent’anni, gli oltre 2000 miliardi di dollari spesi dai paesi occidentali per portarla avanti sarebbero rimasti nelle casse degli stati per la gioia di medici, infermieri e pazienti, professori, maestre e alunni, ricercatori e genitori che li vedono fuggire via. Non certo per quella dei consiglieri di amministrazione della Lockheed Martin e dei fondi finanziari che ne detengono i principali pacchetti azionari.

La guerra e la civiltà dei consumi – “L’ambientalismo senza lotta di classe è giardinaggio”.
La lotta per la pace, dunque, non può che essere indissolubilmente legala alle lotte ambientali. Quelle vere, quelle necessariamente anti-establishment. Quelle necessariamente anti-mainstream. Chico Mendes, ambientalista brasiliano ucciso nel 1988, disse che: «L’ambientalismo senza la lotta di classe è giardinaggio». Parole dannatamente attuali. E se la lotta di classe coincide con la lotta per la pace, è evidente che questa debba occuparsi anche della lotta contro l’omologazione della civiltà dei consumi. Omologazione che non sarebbe possibile senza la propaganda (in particolare quella bellicista) alla quale siamo stati sottoposti violentemente nell’ultimo anno e mezzo. Si parla spesso della Meloni fascista. Ebbene, se “il vero fascismo è proprio questo potere della civiltà dei consumi” come disse Pasolini, la Meloni ne è diventata una paladina. Ed ogni genuflessione al grande capitale finanziario, al complesso militare industriale, alle transazionali della sicurezza o agli avvoltoi del business della ricostruzione, sono i saluti romani dei nuovi fascisti. Quelli che provano a scrollarsi di dosso le accuse di ieri e senza rendersene conto si guadagnano quelle di domani.

Tratto da: ilmillimetro.it

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