Il potere dell’arte contro l’oppressione di regime delle finte democrazie
Checché ne dicano i benpensanti, un Paese può definirsi democratico solo quando applica la democrazia e garantisce i diritti umani a tutti. Senza distinzione alcuna. E nel mondo alcune “democrazie” consolidate si comportano come fossero regimi dittatoriali. Ne è una dimostrazione la storia di Julian Assange, editore australiano nonché fondatore di Wikileaks. Assange, dopo anni di vita reclusa nell’ambasciata dell’Ecuador di Londra perché perseguitato da un mandato di estradizione in Usa, da 4 anni si trova recluso nel carcere londinese di massima sicurezza di Belmarsh. E la richiesta di “Zio Sam” è più che mai vicina ad esaudirsi. Assange ha contribuito a diffondere documenti riservati su crimini di guerra commessi dalle forze americane in Iraq e Afghanistan. Su di lui pendono 17 capi d’accusa, per un totale di 175 anni di prigione circa, per aver rivelato - tra le altre cose -, i crimini contro l’umanità commessi dall’Occidente in Afghanistan e in Iraq durante le cosiddette “guerre al terrore” “made in Usa”.
La sua storia è diventata una mostra fisica itinerante. Numerosi sostenitori di Assange - molti dei quali artisti - a Londra hanno messo in piedi una mostra artistica intitolata “State of Violence” (“Stato di Violenza”, ndr), che ha avuto inizio venerdì 24 marzo e si concluderà l'8 aprile. Una mostra con più di 15 artisti e collaboratori, tra cui Ai Weiwei, Dread Scott e la compianta Vivienne Westwood, in collaborazione con Wikileaks e la “Wau Holland Foundation”, con cui i promotori vogliono mostrare il vero volto della finta democrazia inglese e americana. “Lo Stato di Violenza”, appunto. Le opere d’arte sono accompagnate anche dalla più grande pubblicazione fisica di “Cable” top-secret, mai prima d’ora resi disponibili in formato cartaceo nel Regno Unito. Il tutto per esprimere solidarietà ad Assange in vista del quarto anniversario della detenzione dello stesso dell'11 aprile 2019.
La lotta per liberare l’editore australiano è riconosciuta in tutto il mondo come una battaglia tra democrazia e tirannia. E la mostra d'arte a Londra è stata progettata per contrastare le tecniche di oppressione del governo come la guerra, la tortura e la sorveglianza.
La mostra esibisce anche un lavoro dell'Istituto “Dissent & Datalove” chiamato SECRET + NOFORN (2022), che consiste nella più grande classificazione dei cables governativi, “secret” (segreti) e “noforn” (che non possono essere rilasciate a cittadini non statunitensi), a partire dalla pubblicazione di WikiLeaks Cablegate 2010 di materiali diplomatici statunitensi. Chiunque apra uno dei 66 libri di SECRET+NOFORN (2022) è a rischio di essere perseguito ai sensi dello “U.S. Espionage Act” del 1917. Ciò significa che i visitatori della mostra d'arte saranno coinvolti nello stesso crimine per cui il fondatore di Wikileaks sta affrontando l'estradizione. “Pubblicare o leggere informazioni veritiere non dovrebbe mai essere un crimine", ha detto l'ambasciatore di WikiLeaks Joseph Farrell a Fox News Digital. "L'accusa di Julian Assange è l'equivalente moderno della masterizzazione di libri. Imprigionare giornalisti e critici è la prima risorsa di regimi autoritari. È una strada che gli U.S. non avrebbero mai dovuto percorrere”.
L'obiettivo della mostra, ha spiegato Farrell, non è solo quello di fare una campagna per Assange, ma di sensibilizzare l'opinione pubblica sulle più ampie minacce alla libertà di parola. "Se riescono a far uscire un australiano dall'Europa, il precedente sarà stabilito per un giornalista britannico che scrive qualcosa che non piace al governo cinese, non c'è nulla che impedisca al governo cinese di richiedere l'estradizione e di metterli in prigione. È un problema molto più grande”, ha detto Farrel ad Artnet News.
Sempre a Londra, inoltre, c’è un altro artista che sta facendo molto discutere. Si tratta dell’artista russo Andrei Molodkin, che, dopo le sconvolgenti rivelazioni del Principe Harry nel suo libro "Spare”, ha deciso di mettersi all’opera per denunciare alcune atrocità.
Molodkin, infatti, ha costruito una scultura in vetro, raffigurante lo stemma reale, riempiendola di sangue afgano. Ebbene sì, perché alcuni donatori di cittadinanza afgana si sono messi a disposizione per la realizzazione dell’opera il cui obiettivo è quello di proiettare l’immagine dello stemma reale “inzuppato” di sangue, sulla cattedrale di San Paolo nei prossimi giorni.
L’opera vuole essere un’espressione di dissenso e di denuncia contro le dichiarazioni del Principe Harry il quale, nelle sue memorie, ha rivelato di aver ucciso 25 combattenti talebani mentre prestava servizio in Afghanistan. Scrisse che “non era un numero che mi dava qualche soddisfazione… ma non era nemmeno un numero che mi faceva vergognare”. E ancora: “Mentre ero nel caldo e nella nebbia del combattimento, non pensavo a quei 25 come persone, non puoi uccidere le persone se le consideri come persone. Non puoi fare del male alle persone se le consideri come persone. Erano pezzi degli scacchi rimossi dalla pacchierà; cattivi fatti fuori prima che potessero uccidere Dio”. Parole che generarono sdegno nella comunità afghana e in gran parte della comunità internazionale sensibile ai diritti umani anche in scenari di guerra fra fazioni in conflitto.
Foto © a/political
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