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L’ambasciatore russo Denisov: "Volontà politica di provocare Pechino". Stanziati 1,1 miliardi di dollari di armi per Taipei

Dopo la visita di Nancy Pelosi all’isola di Taiwan lo scorso 2 agosto, la situazione nello stretto più infuocato del Pacifico si sta aggravando. Gli Stati Uniti stanno continuando ad operare nella zona: il 25 agosto la senatrice Marsha Blackburn ha visitato Taipei e il 28 agosto due navi da guerra statunitensi hanno transitato nello stretto non violando i mari territoriali, come specificato dalla flotta americana, ma “attraverso le acque in cui si applicano le libertà di navigazione e sorvolo in alto mare in conformità con il diritto internazionale”. Dopo l’accaduto John Kirby, membro del Consiglio di Sicurezza Nazionale ha dichiarato che il transito delle due navi della marina ha rappresentato un messaggio chiaro del fatto che “l'esercito degli Stati Uniti salperà, volerà e opererà ovunque il diritto internazionale ci consenta di farlo”.

A seguito dell’incontro tra Nancy Pelosi e Tsai Ing-wen, Pechino ha annunciato l’inizio di esercitazioni militari nello stretto, ma secondo il ministero della difesa di Taiwan, nonostante la data di fine delle esercitazioni militari dell’Esercito Popolare di Liberazione sia già passata, gli aerei cinesi hanno continuato a sorvolare e ad attraversare la linea mediana dello stretto.

A fine agosto Taipei ha dichiarato di voler aumentare le spese militari del 13,9 % per un investimento totale di 19,41 miliardi di dollari. La proposta è stata approvata dal gabinetto dell’isola, il capo di bilancio Chu Tzer-ming ha dichiarato: “Il budget per il mantenimento delle operazioni ha visto il maggiore aumento tra le categorie di spesa per la difesa quest'anno in risposta alla situazione attraverso lo Stretto. Gli aerei da guerra devono decollare e le navi da guerra devono prendere il mare, il che porta a spese più elevate”.

Anche gli Stati Uniti hanno deciso di destinare un pacchetto di armi da 1,1 miliardi di dollari, con una proposta dell’amministrazione Biden approvata dal Dipartimento di Stato il 2 settembre. Le armi da vendere a Taiwan includerebbero missili aria-mare Harpoon e missili aria-aria Sidewinder, inoltre ci potrebbe essere un accordo per estendere il contratto per le stazioni radar. Per il Pentagono la vendita di armi a Taipei “serve gli interessi economici e di difesa nazionali degli Stati Uniti sostenendo gli sforzi (dell'isola) per mantenere una capacità difensiva credibile”. Il Dipartimento della Difesa statunitense ha dichiarato “La vendita di queste armi aiuterà a rafforzare la sicurezza (di Taiwan) e aiuterà a mantenere la stabilità politica, l'equilibrio militare e il progresso economico nella regione ... Un simile accordo non cambierà l'equilibrio militare di base nella regione”.

Ufficialmente gli Stati Uniti riconoscono Taiwan come territorio cinese sotto controllo di Pechino sin dal 1979, ma negli ultimi anni stanno procedendo con una politica provocatoria violando il principio dell’Unica Cina.

L’ambasciatore cinese a Washington Liu Pengyu ha asserito che la volontà di vendere armi a Taipei “invia segnali sbagliati alle forze separatiste dell'indipendenza di Taiwan e mette seriamente a repentaglio le relazioni Cina-USA, la pace e la stabilità attraverso lo stretto di Taiwan”. E ha continuato “La Cina adotterà risolutamente le contromisure legittime e necessarie alla luce dell'evolversi della situazione”.

Il Dipartimento della Difesa americana ha istituito la cosiddetta “squadra della tigre” un gruppo di alti funzionari che hanno il compito di accelerare il processo per la vendita di armi all’estero, in quanto ci sarebbero “blocchi stradali” da dover eliminare. La preoccupazione del Pentagono riguarda il fatto che tempi di attesa prolungati per la vendita di armi favoriranno Cina e Russia dandogli un vantaggio competitivo. Gli Stati Uniti rimangono comunque i primi esportatori di armi al mondo come riportato da Forbes “dal 2017 al 2021, gli Stati Uniti hanno rappresentato il 39% delle principali consegne di armi in tutto il mondo, più del doppio di ciò che la Russia ha trasferito e quasi 10 volte di ciò che la Cina ha inviato ai suoi clienti di armi”.

Sulla questione Cina-Taiwan-USA si è espressa anche la Russia, con l’ambasciatore russo in Cina Andrei Denisov, che ha dichiarato: “Quello che sta accadendo è, va da sé, una politica del tutto consapevole di provocare Pechino, di sfidarla a vario titolo, magari anche ad azioni mal calcolate, affinché sia possibile preparare una sorta di risposta ciò aggraverebbe il danno alla Cina derivante dal dispiegamento di questo complotto”. Il diplomatico ha poi evidenziato l’importante ruolo della Cina: “il ruolo decisivo è svolto dalla moderazione e dalla compostezza di Pechino, ovvero la leadership cinese, come ha recentemente affermato l'ambasciatore cinese negli Stati Uniti, la Cina libererà sicuramente Taiwan con mezzi pacifici, se possibile, e con la forza, se necessario”.

Secondo l’ambasciatore solitamente le relazioni tra i paesi si stabilizzano, ma questa volta sembra essere diverso: “come vediamo, la crisi si è trascinata, finché non vediamo nella politica degli americani il desiderio di in qualche modo, completare questa fase.. la prova di compostezza dei nostri partner cinesi continua".

Dato l'acuirsi delle tensioni Joe Biden, ha pensato bene di contattare telefonicamente il primo ministro britannico Liz Truss, colei che si è detta disposta a premere il bottone nucleare. I due leader, come riferito dalla Casa Bianca, hanno ribadito 'importanza di continuare a lavorare a stretto contatto sulle sfide globali”, rappresentate ovviamente dalle minacce poste da Russia, Cina e Iran. Appare abbastanza chiaro che le prospettive di una distensione nella regione pacifica appaiono sempre più remote, sotto l'egida euroatlantica.

Foto: it.depositphotos.com

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