L’Europa pagherà prezzi più alti per quasi tutti i generi alimentari
La crisi alimentare scoppiata con la guerra in Ucraina rischia veramente di rappresentare un pericolo per la salute e per la stabilità geopolitica di varie zone del mondo. “Siamo davvero in una crisi senza precedenti” ha detto il capo del Programma alimentare mondiale, David Beasley, durante una riunione del Consiglio di Sicurezza dell’ONU, e “nel 2023 ci sarà un problema di disponibilità di cibo” ha aggiunto. La guerra in Ucraina, le sanzioni alla Russia e il limite all’export indiano, mettono in ginocchio il mercato alimentare mondiale. Yemen, Siria, Libano sono solo alcuni dei Paesi a rischio carestia. In Europa e in Italia la crisi fa invece alzare i prezzi di tutta la filiera alimentare.
Le ripercussioni della guerra in Ucraina sul mercato alimentare globale
“Temo che abbiamo una crisi globale nelle nostre mani”. Queste le parole del segretario al Tesoro americano, Janet Yellen, riguardo la situazione alimentare odierna. In 53 Paesi la popolazione spende almeno il 60% del proprio reddito per l’alimentazione e 1,7 miliardi di persone soffrono di interruzione nei sistemi di approvvigionamento. 193 milioni di persone vivevano a fine 2021 in una situazione di grave crisi alimentare, 570mila in situazioni di catastrofe, mentre 39,2 milioni in emergenza. Oggi la difficoltà principale è l’aumento dei prezzi del cibo, ma nel 2023 ci sarà un problema di disponibilità di cibo. La guerra in Ucraina è arrivata in un contesto già di per sé non facile. La Russia e l’Ucraina coprono il 30% delle esportazioni globali di grano, ma sono anche due grandi esportatori di cereali, fertilizzanti e oli vegetali: prodotti fondamentali per la sicurezza alimentare di molti Paesi. “La mancata apertura dei porti nella regione di Odessa sarà una dichiarazione di guerra alla sicurezza alimentare globale e si tradurrà in carestia, destabilizzazione e migrazione di massa in tutto il mondo”, è quanto affermato dal capo del Programma alimentare mondiale (World Food Program), David Beasley, durante una riunione del Consiglio di Sicurezza dell’ONU. Per Beasley “siamo davvero in una crisi senza precedenti. Il prezzo del cibo è il nostro problema numero uno in questo momento. Ma nel 2023 ci sarà un problema di disponibilità di cibo”. L’assenza della produzione ucraina di grano che serviva a sfamare 400 milioni di persone rappresenta un duro colpo per il mercato mondiale.
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Mosca, tramite il viceministro degli Esteri Andrei Rudenko, ha replicato affermando che verrà tolto il blocco ai porti ucraini se le sanzioni occidentali imposte sull’export russo saranno rimosse.
Anche il direttore generale della FAO (Food Agriculture Organization) avverte sul possibile effetto a cascata della situazione geopolitica, con possibilità di un ulteriore aumento dei prezzi alimentari, già ai livelli più elevati dal 1990. L’interruzione dei commerci a causa delle sanzioni, l’aumento dei prezzi e gli effetti ambientali avranno un impatto negativo che già si inizia a vedere nelle aree del mondo a più basso reddito. Secondo le Nazioni Unite 36 Paesi dipendono da Russia e Ucraina per oltre la metà delle loro importazioni di grano. Ma il 13 maggio la situazione si è aggravata ulteriormente, da quando cioè il governo indiano ha annunciato che sospenderà l’esportazione di grano per garantire il proprio fabbisogno alimentare interno. La decisione dell'India è arrivata dopo che un’ondata di caldo record ha inaridito inaspettatamente i raccolti. Per Jack Scoville, vicepresidente di Prices Future Group, “il nuovo divieto mette a dura prova il mercato mondiale delle esportazioni, considerando che l'India avrebbe dovuto essere un'alternativa alla Russia e all'Ucraina nel mezzo della guerra in corso”. La carenza di grano ha fatto aumentare il consumo di riso a livello mondiale, soprattutto nei Paesi più poveri, dove viene usato un mix di farine alternative più economiche per pane, dolci e pasta.
La crisi ha scatenato nell’Eurozona un costante aumento dei prezzi che pesa soprattutto sui prodotti agricoli. L’indice FAO (Food Price Index) ha registrato +17,1% per i cereali, +19,7% grano, +19.1% mais, +23,2% olio di semi e aumenti per numerosi altri alimenti. Questi dati evidenziano la necessità di corridoi alimentari immediati, soprattutto nelle zone più in difficoltà del nostro pianeta come Africa e Asia dove la situazione rischia di sfociare in una crisi umanitaria.
Africa e Medio Oriente già a rischio carestia
Ancora una volta è il continente africano quello più interessato dalla crisi. Nel 2021 Somalia e Repubblica Democratica del Congo hanno importato rispettivamente il 90% e l’80% del grano dai due Paesi in guerra. Anche l’Etiopia, il Sud Sudan, il Ruanda, la Tunisia, l’Egitto e la Libia sono grandi importatori e a seguire ci sono molti Paesi dell’area mediorientale, in particolare Siria, Libano, Yemen e Turchia.
In Siria, più della metà della popolazione, circa 12 milioni di persone, si trovano attualmente a dover far fronte a una grave insicurezza alimentare. I dati del 2021 mostrano che un bambino su otto in Siria soffre di arresto della crescita, mentre le madri in gravidanza e in allattamento mostrano livelli record di deperimento acuto. I pasti base sono diventati un lusso per milioni di persone.
In Yemen “se non si interviene con urgenza, il Paese andrà incontro a una gravissima carestia” ha dichiarato il gruppo HSA, principale importatore e distributore di grano attivo nel Paese del Golfo. Lo Yemen è uno dei Paesi più insicuri al mondo dal punto di vista alimentare. Secondo le stime delle Nazioni Unite, oltre 17,4 milioni di yemeniti soffrono di carenza di cibo, con altri 1,6 milioni che dovrebbero entrare nei “livelli di fame di emergenza” nei prossimi mesi. Il Paese, in preda alla guerra civile dal 2014, importa due terzi del proprio fabbisogno di grano da Russia e Ucraina. La perdita di una percentuale importante di grano causata dall’aumento dei prezzi rischia di sfociare in una carestia di massa.
Altro Paese fortemente dipendete dal grano dei due Paesi in guerra è il Libano con ben il 90% dell’import. Le riserve attualmente rimaste sono sufficienti per poche settimane ancora. A Beirut, città messa in ginocchio dall’esplosione del porto e dalla crisi sociale, inizia a scarseggiare la farina che viene così acquistata sul mercato nero. In questo quadro si aggrava ulteriormente la situazione libanese dove il potere di acquisto della moneta locale, la lira, è diminuito drasticamente negli ultimi mesi, fatto che ha portato il Paese a chiedere aiuto al Fondo Monetario Internazionale per ricevere un’ulteriore tranche di finanziamenti.
In Oriente vari Paesi importano grano da Kiev e Mosca, come l’Indonesia e lo Sri Lanka. Quest’ultimo, ad esempio, importa circa il 45% del suo fabbisogno nazionale. La difficoltà principale del Paese riguarda la grave crisi economica in atto e il rischio di default siccome le scorte di dollari vengono preservate per le importazioni di cibo e carburante. In questo quadro il governo dello Sri Lanka ha contattato il Fondo Monetario Internazionale per definire un programma di ripresa economica e aiuti finanziari extra.
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L’effetto della crisi in Italia
Tredici paesi, tra cui l’Italia, hanno richiesto all’Unione Europea un sostegno temporaneo eccezionale in risposta alla crisi senza precedenti e al suo impatto sulla produzione agricola. Come detto in Senato dal Presidente del Consiglio, Mario Draghi, la guerra “minaccia la sicurezza alimentare di milioni di persone”, siccome “la riduzione delle forniture dei cereali e l'aumento dei prezzi – ha proseguito – rischia di avere effetti disastrosi in particolare per alcuni Paesi in Africa e Medio Oriente e cresce il rischio di crisi umanitarie, sociali e politiche”.
Gli agricoltori europei sono alle prese con gravi problemi di liquidità in tutti i settori. In Italia un’azienda agricola su 10 si trova in una situazione di cessazione dell’attività, mentre un terzo delle aziende è costretto a lavorare con reddito negativo per effetto dell’aumento dei costi nel settore agricolo: +170% concimi, +90% mangimi e +129% gasolio. L’inflazione e la grave siccità stanno mettendo in serio pericolo le semine di riso (in Italia viene prodotto il 50% del raccolto europeo) e i campi coltivati a mais. Uno scenario preoccupante nel momento in cui i consumi alimentari mondiali convergono proprio verso il riso. L’Italia importa olio di girasole, farina di grano tenero, mais e frumento. L’olio di girasole è una componente essenziale per la produzione di sughi per la pasta, biscotti, salse e conserve. La sua quotazione ha raggiunto circa 2,80€ rispetto a 1,30€ di gennaio 2021. Il grano tenero per la prima volta nella sua storia ha raggiunto quota 400 euro a tonnellata. Il costo del pane è aumentato di 13 punti percentuali dall’inizio della crisi e la pasta è più cara del 12,5%. Anche la carne ha subito aumenti in seguito all’esplosione dei costi dei mangimi, stessa sorte per la produzione della frutta italiana (+51%, dati Coldiretti). Per quanto riguarda i pascoli gli allevatori cercano di ridurre il numero di capi di bestiame per contenere i costi eliminando quelli che producono meno latte. Le conseguenze di queste scelte sono l’aumento di circa il 30% del costo dei prodotti caseari. È di estrema importanza ridurre la dipendenza dell’Italia dall’estero in un contesto in cui il nostro paese è costretto ad importare materie prime agricole a causa dei bassi compensi riconosciuti agli agricoltori che hanno dovuto ridurre di quasi 1/3 la produzione nazionale di mais negli ultimi 10 anni e veder scomparire un campo di grano su cinque.
Foto di copertina: it.depositphotos.com
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