8 anni fa l’incendio provocato dai nazionalisti che fece 42 morti
“Da ieri, 2 maggio il nazismo è ritornato in Europa.. Ad Odessa 46 russi ortodossi sono stati trucidati da un’orda nazista con metodi nazisti, gli stessi che le armate di Hitler usarono contro le popolazioni della Bielorussia durante la seconda guerra mondiale”.
Con queste parole Giulietto Chiesa commentava la strage alla casa dei sindacati di Odessa avvenuta oramai 8 anni fa. Un eccidio il cui ricordo subisce oggi anche il velo menzognero e nefasto dei principali organi di informazione occidentali: persino la pagina di Wikipedia ha frettolosamente variato la sua versione dell’accaduto, prima letto come un massacro ad opera di estremisti di destra, neonazisti e nazionalisti filo occidentali ucraini ai danni dei manifestanti sostenitori del precedente governo filo russo, ed ora trasformato in semplice “incendio verificatosi presso la Casa dei sindacati a seguito di violenti scontri armati tra le fazioni di militanti filo russi e di sostenitori del nuovo corso politico ucraino che ha portato alla morte di 42 persone”.
Insomma secondo la più importante enciclopedia online si tratterebbe di un evento casuale nemmeno degno di essere ricordato e menzionato. Una totale mistificazione della storia sembra essere in atto per giustificare l’abbandono di ogni ragionevole appello alle trattative con la Russia a favore di un sostegno incondizionato alla guerra perpetua “fino all’ultimo ucraino” col benestare dei fruttuosi bilanci delle industrie degli armamenti.
La verità è che in quei giorni si erano già posti i semi maledetti dell’odierno scontro apocalittico che ora sta dilaniando quei territori.
Da poche settimane era avvenuto il colpo di Stato di piazza Maidan, finanziato dagli Stati Uniti; Yanukovich, venne frettolosamente sostituito da Oleksandr Turčynov con un voto incostituzionale; il partito di estrema destra Svoboda, il cui leader Oleh Tyahnybok aveva affermato limpidamente di voler “estirpare dall’Ucraina tutta la feccia russa, tedesca e giudea”, era entrato nell’esecutivo ottenendo vari ministeri: da quello della Difesa a quello dell’Agricoltura passando poi per la posizione di vice primo ministro, assegnata a Oleksandr Sych e quella di Procuratore Generale.
Venne imposto immediatamente l’eliminazione del russo come lingua ufficiale mentre si auspicava all’imposizione del divieto di essere “comunisti” e all’adesione alla Nato esclusivamente in funzione anti-russa.
A partire dal 28 febbraio ad Odessa, città abitata a maggioranza da russi, era stata costituita una tendopoli nei pressi della casa dei sindacati; il golpe di Kiev era stato animatamente respinto e la protesta (pacifica) era divampata quasi subito. Nei mesi successivi, migliaia di cittadini si erano radunati in quel luogo per manifestare difendendo ostinatamente i propri diritti e le proprie libertà fondamentali.
In quel 2 di maggio, in occasione della partita della prima lega ucraina tra l’FC Chornomorets e dell’FC Metalist Kharkiv, ad Odessa arrivarono i nazisti di Pravy Sektor (settore destro) e lo scontro con i cosiddetti attivisti anti-Maidan non si fece attendere nella sua violenza e ferocia: una battaglia urbana che causò tre morti e sessantasette feriti. In seguito le forze di polizia si ritirano, aprendo la strada dei militanti di settore destro verso il distretto di kulikovo, il campo base degli antifascisti che avevano scelto di manifestare pacificamente. In quattrocento avrebbero cercato rifugio dentro l’edificio della casa dei sindacati.
Un report delle nazioni unite confermò la presenza dei militanti neonazisti, armati, nei pressi del Palazzo a cui poco dopo sarebbe stato dato fuoco. Gli orrori che accaddero all’interno furono testimoniati dal Il giornalista russo Dmitrij Muratov che ebbe modo di fotografare vittime uccise con un colpo di pistola al volto, strangolate, bruciate vive.
“I topi di Mosca stanno finalmente avendo la lezione che si meritano, bruciare nella loro tana..Abbiamo fatto fuori la mamma! Forza Ucraina!” così si esprimeva il neonazista Vladimir Pavlov su facebook mentre mostrava la foto di una donna incinta strangolata con un cavo elettrico.
Anche reporter internazionali testimoniarono la violenza di quel massacro e di come ai vigili del fuoco era stato impedito per quasi un’ora di entrare nel palazzo e spegnere le fiamme “Una vera e propria lotta tra la paura di morire ustionati o intossicati con quella di essere uccisi a bastonate”, raccontò un inviato della Bbc.
Un pogrom i cui responsabili sono ancora a piede libero e per i quali la magistratura e la polizia ucraina non hanno mai svolto indagini. Tutto è stato velocemente silenziato e dimenticato.
Il giornalista scrittore Franco Fracassi, nel suo ultimo libro “Ucraina Dal Donbass a Maidan”, citando la testimonianza un alto funzionario del ministero dell’Interno ucraino, sostiene che l’operazione sarebbe stata preparata durante un vertice segreto presieduto dal presidente a interim Aleksandr Turchinov, a cui erano presenti anche il ministro dell’Interno Arsen Avakov, il capo del servizio di sicurezza ucraino Valentin Nalivajchenko e il segretario del consiglio di Difesa della Sicurezza nazionale, nonché fondatore del partito nazionalista Svoboda, Andrej Parubi, che pochi giorni prima dell’eccidio veniva filmato mentre distribuiva decine di giubbotti antiproiettile agli ultranazionalisti locali.
È bene lasciare intatta la memoria su questi crimini che pongono sotto accusa le azioni destabilizzanti dell’occidente nei confronti di una Russia che oggi si mostra altrettanto feroce e spietata; disposta anche a scatenare una terza guerra mondiale per difendere i suoi interessi. Solo ricordare anche i nostri crimini e le responsabilità della controparte può dare forza al dialogo tra le bestie feroci d’oriente e d’occidente ed evitare un nefasto epilogo finale della storia umana.
Foto d'archivio: it.depositphotos.com
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