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In Ucraina si rischia lo scontro diretto tra USA e Russia

Troppe armi all’Ucraina, si rischia il “confronto militare diretto tra USA e Russia” ha affermato l'ambasciatore russo negli Stati Uniti. Intanto le tensioni spingono Pechino ad alzare il tiro, “non tolleriamo più l’egemonia mondiale americana e occidentale”, sono le parole dell’ambasciatore cinese a Mosca. Per il Wall Street Journal,“la Cina sta accelerando l'espansione dell’arsenale nucleare”. Ritorna l’incubo dell’arma atomica.
In riferimento alla guerra in Ucraina, l'ambasciatore russo negli Stati Uniti, Anatoly Antonov, ha detto in un intervista con Newsweek, “Gli Stati occidentali sono direttamente coinvolti dal momento che continuano a pompare l'Ucraina con armi e munizioni, alimentando così ulteriori spargimenti di sangue” e “queste azioni sono pericolose e provocatorie perché sono dirette contro il nostro Stato”, il rischio è che possano “portare Stati Uniti e Federazione Russa sulla via del confronto militare diretto”. Il Diplomatico è chiaro, la tensione è talmente alta che si può arrivare al “confronto militare diretto” tra Washington e Mosca. E un tale conflitto coinvolgerebbe tutta l’Alleanza atlantica.
Il Corriere della Sera ha pubblicato i contenuti di un report inviato alla Farnesina dall’ambasciatore italiano Giorgio Starace dopo aver avuto un colloquio privato con l’ambasciatore cinese a Mosca, Zhang Hanhui. Il documento riporta come il diplomatico cinese abbia ribadito la posizione di Pechino sulla guerra in Ucraina, definita “un conflitto provocato dagli Stati Uniti per indebolire Vladimir Putin e distruggere le relazioni tra l’Ue e la Russia”. Secondo Hanhui, l’invasione sarebbe stata causata dall’allargamento ad Est della NATO e ammonisce l’Occidente, “dando armi all’Ucraina, voi gettate benzina sul fuoco e poi chiedete aiuto a noi per spegnere questo fuoco”, ma questo “non è nei nostri interessi, l’Ucraina è molto lontana da noi”. L’Europa con le sue politiche antirusse e le sanzioni si dimostrerebbe, per Hanhui, poco lungimirante e senza autonomia decisionale, quindi “state attenti! Se volete una Russia pericolosa, sappiate che può esserlo molto”. L’ambasciatore cinese ritiene che l’isolamento della Federazione Russa la spingerà a instaurare legami ancora più stretti con Pechino, l’Europa perderà competitività a causa della crisi energetica e i BRICS (Brasile, Russia, India, Cina e Sud Africa) diverranno più coesi e forti.
La Repubblica Popolare Cinese è “una grande potenza economica e anche militare”, ha detto Hanhui al colloquio, quindi “non tolleriamo più né l’egemonia mondiale americana né le continue ingerenze occidentali nei nostri affari interni” e il pacifismo cinese non equivarrebbe a debolezza.
L’ingerenza occidentale oltre che sul tema Ucraina si fa sentire soprattutto sulla questione di Taiwan. “Pretendiamo rispetto. Abbiamo la seconda economia mondiale e un esercito sempre più forte. In soli quattro anni siamo in grado di costruire una flotta grande quanto quella britannica. Non continueremo ad accettare soprusi dall’esterno”, ha concluso.
Secondo il Wall Street Journal, “la Cina ha accelerato l'espansione del suo arsenale nucleare”. Pechino sarebbe preoccupata dalla “minaccia posta dagli Stati Uniti”. Il potenziamento militare cinese avviene in un momento di tensione tra i due Paesi. Le armi nucleari sarebbero un deterrente contro l’egemonia statunitense in Asia, soprattutto in relazione a Taiwan, l’isola nel Mar Cinese Meridionale che Pechino vuole riprendersi e su cui si gioca la partita con Washington. Gli esperti, sentiti dal giornale americano, ritengono che proprio il mancato intervento diretto degli USA nel conflitto in Ucraina, abbia incentivato il Partito Comunista Cinese a muoversi in tal senso. “La capacità nucleare inferiore della Cina potrebbe solo portare a una crescente pressione degli Stati Uniti sulla Cina”, ha detto una persona vicina alla leadership di Pechino. Il Pentagono è dell’idea che il dragone rosso, che oggi detiene circa 350 testate nucleari, raggiungerà le 1000 testate entro il 2030.
“Partiamo da una premessa. Usare le bombe nucleari oggi non è facile per nessuno, neanche per il presidente russo Putin. Né l’Ucraina può essere considerata un buon motivo per farlo” ha spiegato Tatsujiro Suzuki, personalità attiva nell’ambito del disarmo nucleare, vicedirettore dell’ Atomic Heritage Foundation di Nagasaki  e professore del Research Center for Nuclear Weapons Abolition, in un intervista con la Repubblica. “La strategia russa, enunciata nel 2020, prevede l’uso di un’arma atomica in caso di minaccia esistenziale (al Paese, ndr). Il timore del professore Suzuki è che “in un clima così teso, ogni errore e ogni incomprensione possono portare a una guerra nucleare”. A complicare lo scenario c’è l’abbandono, prima degli USA e poi della Russia, del trattato INF sui missili nucleari a medio raggio. Inoltre hanno fatto la loro comparsa “i missili ipersonici, che dalla Russia possono raggiungere gli Stati Uniti in una decina di minuti senza essere intercettati e possono ugualmente montare i due tipi di testate”.
“La crisi attuale ci sta ricordando che il rischio nucleare non è svanito” ha ricordato, “non dimentichino quanto avvenuto” con le bombe di Hiroshima e Nagasaki nel 1945.
Le bombe atomiche USA in Europa “non sono missili, sono ordigni che hanno bisogno di trasporto aereo, che è più lento e non passa inosservato. Per questo sono considerati meno rischiosi” ha chiarito Suzuki.
Secondo un documento riservato trapelato dall’ONU, le testate atomiche statunitensi presenti in Europa sono circa 150 e sono dislocate in Turchia (Incirlik), Germania (Büchel), Belgio (Kleine Brogel), Olanda (Volkel) e Italia (Ghedi e Aviano). Il maggior numero, 70 testate, si trovano proprio sul nostro territorio nazionale: la base di Ghedi in provincia di Brescia ospita 20 bombe, mentre ad Aviano in provincia di Pordenone ne sono immagazzinate 50. Un’indagine di Greenpeace del 2020 ha evidenziato che l’esplosione delle bombe delle basi nel Nord-Est italiano potrebbe uccidere fino a 10 milioni di persone. La presenza delle atomiche statunitensi sul territorio nazionale è dovuta agli accordi di “condivisione nucleare” con gli USA nell’ambito della NATO, nonostante l’Italia abbia firmato e ratificato il Trattato di non proliferazione nucleare che ci impegna al disarmo e alla non proliferazione nucleare.
“La Cina – ha proseguito il professore – sta ampliando il suo arsenale atomico. Al momento si stima che abbia 350 testate. Fonti del Pentagono sostengono che arriverà a mille nei prossimi 10 o 20 anni. Russia e Stati Uniti ne hanno attualmente 6-7mila a testa”. Un eventuale guerra tra la NATO e la Russia coinvolgerebbe anche la Francia con le sue 290 atomiche e il Regno Unito con 225 testate. Poi ci sono i due antagonisti, l’India con 156 e il Pakistan con 165 nukes. Infine le circa  50 bombe del dittatore della Corea del Nord, Kim Jong-un, e le 90 atomiche, mai dichiarate, di Israele.
In Asia “la penisola coreana e lo stretto di Taiwan sono zone sensibili”. Pechino non è coinvolta in nessun negoziato sul nucleare, ma “è comunque l’unico Paese che ha espressamente dichiarato che non userà un’atomica per prima” ha concluso il professor Suzuki.
La Cina si sente minacciata nei suoi interessi e la tensione tra Occidente e Federazione Russa aumenta. In questo quadro si rischia di ritornare alla corsa al riarmo nucleare, riesumando grottesche ideologie da Guerra Fredda. Possiamo solo sperare nel buon senso di chi potrebbe premere il pulsante rosso, ma soprattutto nella volontà popolare di scongiurare un tale scenario.

Foto: it.depositphotos.com

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