Il 20 marzo 2003 Washington invase Baghdad per abbattere Saddam Hussein

È stato avviato esattamente 19 anni fa l’intervento militare della Nato a guida americana che ha dato inizio alla guerra in Iraq. Un conflitto che ha aperto una ferita incolmabile in un medio oriente oggi ancora più destabilizzato e caotico; un’operazione che nei suoi retroscena ha gettato la maschera di un occidente che si è auto-glorificato come “esportatore di democrazia”.

La guerra in Iraq è stata un’operazione totalmente illegale; preludio dell’intervento militare fu la dottrina della guerra preventiva elaborata dall’amministrazione Bush a seguito dei fatti dell’11 settembre. Essa stabiliva che “il governo degli Stati Uniti si riserva il diritto di tutelare i propri interessi nazionali anche facendo ricorso unilateralmente all'uso della forza nei confronti di Stati sospettati di possedere armi di distruzione di massa”.

Un principio in completa violazione dell’art. 2 paragrafo 4 della carta delle Nazioni Unite che pone il divieto per gli Stati membri di ricorrere, nelle loro relazioni internazionali, alla minaccia o all'uso della forza, sia contro l'integrità territoriale o l'indipendenza politica di qualsiasi Stato, sia in qualunque altra maniera incompatibile con i fini delle Nazioni Unite.

La storia la conosciamo, il 5 febbraio 2003, in una seduta speciale del Consiglio di Sicurezza appositamente convocata, Collin Powell (in foto) (segretario di stato Usa) esibì una fiala che a suo dire era la prove definitiva dell'esistenza di laboratori mobili per la messa a punto di aggressivi batteriologici e chimici. Fu preludio all’intervento militare a guida Usa di qualche settimana dopo.

Anche tenendo fede alle teatrali esternazioni di Powell, l’inizio delle ostilità violava il tanto decantata risoluzione 1441 (8 novembre 2002) del Consiglio di sicurezza, che sì, qualificava come "minaccia alla pace" l'inadempimento iracheno ai propri doveri in materia di disarmo imposti da alcune risoluzioni precedenti, rimandava quindi ad una delibera successiva l'eventuale decisione di impiegare la forza.

Una commissione di inchiesta britannica inoltre, nel suo rapporto finale pubblicato il 6 luglio 2016 e passato alla storia come "Chilcot Report", avrebbe confermato che al momento dell’invasione dell’Iraq, Saddam Hussein non rappresentava una minaccia, che l’esistenza di armi di distruzione di massa era stata data come certezza ingiustificata, e che Tony Blair aveva consapevolmente fabbricato accuse non suffragate nemmeno dai servizi segreti, al fine di giustificare un’aggressione militare senza prima aver tentato di meditare una soluzione alternativa.

Esportare la democrazia purtroppo non è stata un’operazione indolore, Le perdite irachene sono stimate in 654.965 persone, secondo un rapporto del giugno 2006 della rivista medica britannica The Lancet.

Vale la pena ricordare a questo proposito i 391.832 file secretati resi pubblici da Julian Assange che hanno aperto un’altra voragine sui crimini di guerra americani in un conflitto già sulla carta illegale.

Secondo WikiLeaks, ben 680 civili inclusivi di donne incinte e minorati mentali, erano stati uccisi da militari americani solo per essersi avvicinati troppo ai posti di blocco.

Diverse sono state inoltre le azioni criminali commesse dai cosiddetti contractors, ovvero mercenari assoldati da società militari private quali l’americana Blackwater. Fra i crimini più efferati Wikileaks annovera il massacro di Baghdad del 16 settembre 2007, quando una pattuglia della Blackwater aveva aperto indiscriminatamente il fuoco su un gruppo di civili iracheni disarmati nella Nisour Square: vi furono 17 i morti fra i quali un bambino di 9 anni.

Dagli “Iraq War Logs” di Wikileaks è inoltre emerso il ruolo della Wolf Brigade, un commando paramilitare della polizia irachena istituito nel 2004 e addestrato alla contro-insurrezione da consiglieri americano.
Erano conosciuti come assassini arbitrari di spropositata violenza e di un uso brutale della
Erano noti come assassini arbitrari di inaudita violenza che facevano un uso brutale della tortura negli “interrogatori”. Spesso gli stessi statunitensi consegnavano i prigionieri, adolescenti inclusi alla Wolf Brigade in aperta violazione alla United Nation Convention Against Torture.

Vale la pena ricordare il materiale che ha dato inizio alla persecuzione nei confronti di Julian Assange; Collateral Murder: il filmato mostrava un gruppo di civili inermi che venivano freddati da militari americani a bordo di elicotteri Apache. Era il 12 luglio 2007. Due persone tra i civili erano dipendenti della Reuters, l’agenzia di stampa britannica: si trattava del ventiduenne fotogiornalista Namir Noor Eldeen e il suo autista Saeed Chmagh “armati” di cellulare e telecamera. L’audio immortalava le risate dei militari statunitensi con esclamazioni del tipo “Hahaaa…colpiscili!!”, mentre l’altro replicava “Oh yeah… guarda quei bastardi morti”.
Colpito e ferito l’autista della Reuters si trascinava al suolo cercando di raggiungere un riparo. Si udiva un militare auspicare che raggiungesse un fucile solo per essere legittimato a sparare. Si avvicinò un van nero da cui scendevano civili disarmati per soccorrere i feriti e trasportarli in ospedale. È a quel punto che l’elicottero apriva il fuoco con proiettili perforanti uccidendo ferito e soccorritori, colpendo anche i due bambini che sedevano sul sedile anteriore destro.
 Nel complesso si potevano contare 18 morti, ivi inclusi il padre dei bambini e i dipendenti della Reuters.

Azioni criminali a cui si aggiunsero, come emerso sempre da Wikileaks, manipolazioni messe in atto dal governo britannico e da quello americano per scongiurare l’eventualità che George Bush e Tony Blair potessero essere chiamati a rispondere di crimini di guerra.

Oggi Assange, prigioniero nel carcere di Belmarsh senza che esista un capo di imputazione sulla sua testa nel Regno Unito, in condizioni di tortura riconosciute dalle Nazioni Unite verrà estradato negli Stati Uniti con la colpa di aver divulgato e resi noti al pubblico gli innumerevoli crimini di guerra della coalizione Atlantica nelle sue “missioni di pace” attorno al globo.
In questo periodo di conflitto dove un'altra guerra rischia di gettare l’intero pianeta in un caos distruttivo senza fine, l’occidente dovrebbe guardare indietro alle sue responsabilità nella destabilizzazione delle aree calde del globo, ai suoi celati orrori nelle operazioni di “esportazione della democrazia”. Ricordare i crimini della guerra in Iraq si spera possa essere di ispirazione per le alte cariche diplomatiche americane ed europee nel ricercare un ritorno al dialogo e alla diplomazia con una Russia ora disumanizzata e demonizzata come unica responsabile del conflitto in Ucraina.

Foto © Imagoeconomica

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