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Quello che prima si faceva con i proiettili, oggi lo fanno con la fame e le droghe

L'estrema povertà delle comunità wichi nel nord argentino

La pandemia ha colpito profondamente tutta la società. Dopo mesi di restrizioni, la situazione sta ritornando come prima. La "nuova normalità", sentiamo dire ogni giorno in tv. In Argentina, i popoli originari vivono da sempre la normalità di non essere considerati. Prima e dopo la pandemia, i governi che si sono succeduti hanno fatto le solite promesse: migliorare le condizioni di vita delle comunità originarie.
Nel nord argentino, più precisamente a Salta, la comunità wichi è colpita da estrema povertà. Ma ora la situazione si è aggravata, dovuto al disagio che vivono i giovani, che si stanno decimando, per il consumo sfrenato di alcool e droga.
“Ci stanno sterminando con le droghe, la fame e la povertà”, hanno detto alcuni dei referenti della comunità.
Reynaldo "Oso" Ferreyra, a nome di tutti i ‘cacique’ (capi delle comunità),  denuncia i vari governi di turno, che forniscono loro come soluzione abitativa una semplice stanza, che non ha nemmeno il pavimento. Le fogne, inoltre, sono intasate e le condizioni lavorative non aiutano: il salario settimanale per un lavoratore non supera gli 800 pesos argentini.
Le mamme dei giovani del popolo Wichi chiedono provvedimenti per salvaguardare la salute dei loro figli. Senza contatti, senza luce ed affamati cercano di fuggire dal loro destino, consumando droghe. Le scuole non funzionano oramai. Non esistono sale da pranzo, ma neanche montagne per andare a caccia o fiumi dove pescare. L'unica forma che hanno trovato per resistere allo sterminio è procreare, per conservare la loro lingua e cultura. Ma oggi sono i più adulti delle comunità a considerare che quello che prima si faceva con i proiettili, oggi si fa con la fame e le droghe.
Rispetto alla situazione del popolo Wichi, Giovanni Bongiovanni, direttore di FUNIMA International ONLUS, un'organizzazione senza fini di lucro, dice in una lettera: “Il totale abbandono di una società che non riconosce le diversità culturali e che impone il proprio sistema di vita e di cultura sta portando le nuove generazioni delle popolazioni indigene ad una crisi spirituale senza precedenti”.
Il punto è che la società non sa comprendere la diversità culturale, perché semplicemente non la conosce. Cadiamo nell'errore, sicuramente imposto dal sistema educativo, di definire popoli originari, generalizzando, tutte le comunità, mentre queste sono molto diverse tra loro. O fatto ancora più grave, riconosciamo solo la nostra propria diversità e la imponiamo alle comunità originarie come fosse l'unica valida.
“È vergognoso, una civiltà che non ha interesse a preservare le future generazioni di una popolazione dalle origini millenarie non merita di essere definita tale. L’indifferenza e l’incapacità della cultura occidentale non lasciano spazio a cambiamento e risposte a popolazioni che hanno visto il proprio mondo mutare troppo rapidamente, tanto da non aver il tempo di metabolizzare i necessari processi di adattamento”, dice ancora Giovanni.
Non pensare al futuro delle comunità originarie equivale a distruggere il suo passato. Dobbiamo restituire loro semplicemente il territorio che li appartiene per diritto ancestrale e che è contemplato nell'accordo 169 dell'OIT (Organizzazione Internazionale del Lavoro), ma rispettando sempre il loro modo di vivere e le loro abitudini, per non cadere in un neocolonialismo.
“Funima International, l’organizzazione che rappresento, accompagna le comunità nei processi di sviluppo dei villaggi rurali a partire dall’acqua. Alla base ci sono educazione e preservazione della cultura locale: processi estremamente lunghi che richiedono impegno e costanza”, conclude la lettera (*).

(*) Lettera di Giovanni Bongiovanni presidente di FUNIMA International Onlus

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