Le sanzioni Usa disfecero economicamente l’Iraq e provocarono 1,5 milioni di morti
Sono passati 31 anni da quando, in quel 16 gennaio 1991, i bombardieri B-52 statunitensi decollarono segretamente dalla Louisiana, diretti verso obbiettivi già da tempo designati per essere abbattuti, in territorio iracheno. Fu l’inizio di un assedio che sarebbe perdurato fino al decennio successivo; una guerra devastante che anche attraverso le sanzioni statunitensi avrebbe continuato a mietere vittime tra la popolazione civile. Si è stima che le sole sanzioni finanziarie contro l’Iraq abbiano provocato circa 1,5 milioni di morti, delle quali, ( togliere)secondo l’UNICEF ,vi sarebbero almeno 500.000 bambini morti. “Una scelta difficile, ma il prezzo pensiamo che ne valga la pena” ,aveva commentato nel merito ,con limpido cinismo , il segretario di Stato Madeleine Albright. Numeri trascurabili dunque rispetto all’obiettivo di mantenere l’equilibrio di forze tra gli Stati in Medio Oriente, assicurandosi che lo Stato più potente sia amico degli Stati Uniti o che nessuno Stato ostile divenga così potente da tenere in pugno i prezzi petroliferi. È stata questa la politica che ha portato Washington a sostenere lo Scià dell’Iran contro i suoi oppositori mussulmani fondamentalisti e quindi a propendere per l’Iraq durante la guerra contro il regime dell’ayatollah Rudollah Khomeini. Una strategia che è stata ben esplicitata con un documento del Pentagono, redatto nel febbraio 1992, in cui si sosteneva che l’obiettivo primario della politica estera statunitense era “impedire il riemergere di un nuovo rivale, o sul territorio dell’ex Unione Sovietica o altrove, che ponga una minaccia nell’ordine di quella posta precedentemente dall’Unione Sovietica”. In sostanza si trattava di una nuova strategia atta a “impedire che qualsiasi potenza ostile domini una regione le cui risorse sarebbero sufficienti, se controllate strettamente, a generare una potenza globale”. L’operazione Desert Storm contro l’Iraq è stata attentamente pianificata in modo tale che fosse inevitabile, con il completo beneplacito dell’opinione pubblica occidentale.
La guerra economica contro l’Iraq
Dopo che gli Stati Uniti avevano sostenuto la guerra irachena contro l’Iran agli inizi degli anni 80’, alla fine del 1988 il Kuwait iniziò a richiedere l’immediato pagamento a Baghdad del debito contratto per sostenere la guerra. Nel mentre, sfruttando il giacimento di Rumalia, l’Emirato portò la produzione di greggio al di sopra della quota Opec, contribuendo ad un calo del prezzo del greggio, danneggiando l’economia irachena. Nel 1990 inoltre la Turchia deviò il corso dell’Eufrate per la costruzione della diga di Ataurk, provocando gravi carenze idriche ad un terzo della popolazione irachena. Saddam veniva stretto sull’unica via percorribile della soluzione militare per risanare un’economia in crisi, ignorando tuttavia, come l’emirato Kuwaitiano, fosse garante degli interessi occidentali nella regione, con capitali investiti in tutti i paesi occidentali. Erano le 2 del mattino del 2 agosto 1990, quando 80.000 soldati iracheni, appoggiati da truppe corazzate, attraversarono il confine del Kuwait alla volta di Kuwait City
La linea morbida di Washington per spingere l’Iraq ad attaccare il Kuwait
Gli Stati Uniti non fecero nulla per impedire che Saddam invadesse il Kuwait, nonostante avessero avuto la possibilità di anticiparne le mosse con largo preavviso. Emerge con chiarezza, il fatto che l’amministrazione statunitense intraprese misure volte a facilitare l’attacco, salvo poi, rispondere duramente attraverso una poderosa azione militare.
I preparativi dell’invasione non potevano essere passati inosservati ai satelliti spia americani, che nel 1990 erano passati da 5 a 7 unità. Walter. Pat Lang, un analista della Defense Intelligence Agency aveva rilevato grazie ad immagini satellitare che il 16 luglio 1990 le forze irachene si stavano dirigendo al confine con il Kuwait. Il rapporto relativo ai movimenti di truppe veniva valutato anche dall’allora presidente dei capi di stato maggiore, Colin Powell, che lo definì “preoccupante ma non allarmante”. Dello stesso parere erano il consigliere del presidente per la sicurezza nazionale, Brent Scowcroft ed il comandante del CENTCOM (il comando centrale da cui dipendono le operazioni militari in medio Oriente), generale Norman Schwarzkopf. Inoltre è rilevante ricordare come, mentre il numero di soldati iracheni al confine aveva ormai raggiunto le 100.000 unità, l’ambasciatrice degli Stati Uniti a Baghdad, April Glaspie, assicurava a Saddam Hussein di “avere dirette istruzioni dal presidente di ricercare migliori relazioni con l’Iraq” e che gli Stati Uniti non “avevano alcuna opinione sui conflitti inter-arabi come la disputa di confine con il Kuwait”. Un chiaro avvallo all’azione militare irachena ben meditato e pianificato. Nonostante le informazioni fossero chiare in merito ai piani di guerra, quando l’attacco era oramai imminente, il segretario alla difesa Dick Cheney e Schwazkopf affermarono che ancora non si poteva stabilire quale fosse la vera intenzione di Saddam Hussein.
L’Attacco americano
Subito dopo l’invasione del Kuwait, la Casa Bianca chiese il ritiro immediato delle truppe irachene, il generale Schwazkopf illustrò subito un possibile piano di attacco elaborato dal pentagono negli anni 80’ per condurre una guerra contro forze sovietiche e iraniane nella penisola arabica. La politica statunitense si era immediatamente chiusa ad ogni trattativa: una proposta irachena di ritirarsi dal Kuwait in cambio della possibilità di un accesso portuale al Golfo e di garanzie sullo sfruttamento del campo petrolifero di Rumaila (che si estende sotto territorio iracheno e kuwaitiano) non venne nemmeno presa in considerazione. Ci si adoperò immediatamente per ottenere l’autorizzazione all’uso della forza armata dal consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite. Con la risoluzione 678, varata il 29 novembre 1990, si autorizzava l’uso di “tutti i mezzi necessari, qualora l’Iraq non avesse applicato tutte le risoluzioni precedenti che richiedevano il ritiro immediato delle forze irachene senza condizioni, entro il 15 gennaio 1991. Nel primo giorno di guerra lo schieramento statunitense nel golfo comprendeva 450.000 effettivi, circa 1700 aerei, 114 navi, 2300 carri armati pesanti. Il più grande spiegamento di forze dalla seconda guerra mondiale. Il 28 febbraio 1991, 100 ore dopo l’inizio dell’offensiva terrestre, la guerra terminava con un cessate il fuoco temporaneo proclamato dal presidente Bush.
La Guerra in Iraq ed il sistema criminale integrato
Il giorno prima dell’attacco americano contro l’Iraq veniva arrestato in Italia un certo Khalid Duhham al- Jawary, terrorista arabo legato alla ( ad)una campagna di bombardamenti condotta dal gruppo militante del Settembre Nero che prese di mira i leader mondiali negli anni '70. Dalle indagini di Carlo Palermo, negli anni 1982-1983 emerse che Al Jawari risultava coinvolto nella vendita di 3 ordigni nucleari da 80 chilotoni all’Iraq. L’operazione avvenne per diretto tramite di tale Prince Awani al Faisal (una delle identità dell’arabo), nonché targata Cia. Per i movimenti creditizi ci si era allora avvalsi della Trade & Development Bank e della Deutsche Bank. Dunque 10 anni prima erano stati gli Stati Uniti ad imbastire forniture di armamenti a Saddam Hussein mentre il paese era in conflitto con l’Iran. Curiosamente il giudice americano Charles Rose affermò che l’ultima pratica trattata da lui e da Falcone ,prima della sua morte ,riguardava proprio l’estradizione di Al-Jawari, il cui trasferimento negli Stati Uniti, avrebbe coinciso la neutralizzazione della maggior parte delle organizzazioni terroristiche. C’era dunque un collegamento tra l’arabo, le forniture di armi all’Iraq e gli accertamenti svolti da Borsellino a Mannheim. In quella città tedesca, il magistrato doveva indagare sull’uccisione di Rosario Livatino e dell’ufficiale dei carabinieri Giuliano Guazzelli. Interrogò Gioachino Sghembri, mafioso di Agrigento, sospettato di essere il killer, ma da questi ricevettero un depistaggio. I mandanti che si voleva coprire erano Calogero Todato , e altri agrigentini come Domenico Castellino , che risulteranno collegati ai traffici di armi e all’omicidio del politico socialista belga Andrè Cools, che era stato ucciso a Liegi il 18 luglio del 1991, dopo aver minacciato rivelazioni sulla Nato riguardo forniture militari a Saddam e su quei signori della guerra che avevano diretto l’invasione dell’Iraq.
ARTICOLI CORRELATI
Il calvario senza fine dell'Iraq: 18 anni fa l'inizio dell'invasione statunitense