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Ma continua la corsa agli armamenti

Una guerra nucleare non può essere vinta e non deve mai verificarsi. Viste le conseguenze di grande ampiezza che avrebbe l’impiego di armi nucleari, affermiamo che esse, fin quando esistono, devono servire a scopi difensivi, di dissuasione e prevenzione della guerra”.
Questo è quanto riportato nel comunicato firmato dai leader di Russia, Regno Unito, Cina, Stati Uniti e Francia, diffuso da Parigi il 3 gennaio al consiglio di sicurezza dell’Onu.
"Crediamo fermamente che si debba prevenire l'ulteriore diffusione di tali armi", hanno sottolineato i rappresentanti delle potenze nucleari e membri permanenti del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, concordando sull'importanza di “affrontare le minacce nucleari” e di preservare e rispettare gli “accordi e impegni bilaterali e multilaterali di non proliferazione, disarmo e controllo degli armamenti".
In particolare, sostengono di rimanere impegnati negli obblighi del Trattato di non proliferazione nucleare (TNP), compreso l’obbligo dell'articolo VI "di proseguire i negoziati in buona fede su misure efficaci relative alla cessazione tempestiva della corsa agli armamenti nucleari e al disarmo nucleare e su un trattato sul disarmo generale e completo sotto stretto ed effettivo controllo internazionale”.

La dichiarazione congiunta sottolinea in sostanza la necessità “di lavorare con tutti gli Stati per creare un ambiente di sicurezza più favorevole al progresso sul disarmo con l'obiettivo finale di un mondo senza armi nucleari con una sicurezza immutata per tutti".
Nel leggere questi comunicati ci sarebbe da dormire sonni tranquilli adagiati in un rassicurante futuro di pace e prosperità, se non fosse che “prevenire l'ulteriore diffusione di tali armi” implicherebbe in ogni caso che, stando ai dati della Federazione degli Scienziati Americani, nove paesi possiedono circa 13.150 testate (stima 2021) e che in termini di scorte militari (quelle testate assegnate alle forze operative), il numero complessivo è nuovamente in aumento.
Una quantità tale da devastare l’intero pianeta in ogni sua forma di vita; dovremo considerarlo un compromesso accettabile per i leader delle principali potenze nucleari?
Si tratterebbe comunque di un’ingannevole consolazione, tenendo conto di come l’avanzamento tecnologico dei nuovi armamenti richieda una quantità sempre più inferiore di tali ordigni:
mentre negli anni abbiamo si ridotto il numero di testate nucleari, stiamo comunque dispiegando sistemi più letali che permetterebbero raggiungere con più facilità il territorio nemico, rompendo tutti i sistemi di difesa convenzionali.

La Russia, in risposta allo schieramento dei sistemi antimissile statunitensi Aegis Ashore in Europa, ha iniziato a sviluppare missili ipersonici, ovvero in grado di raggiungere una velocità almeno cinque volte superiore a quella del suono (Mach 5).
Solo pochi giorni fa il nuovo missile ipersonico russo Zircon, le cui consegne alle forze armate sono previste per il 2022, ha effettuato 12 lanci con esito positivo da una fregata della marina russa e da un sottomarino.
Anche la Cina secondo il Financial Times ad agosto avrebbe sperimentato un missile ipersonico in grado di percorrere addirittura l’intera circonferenza del globo terrestre senza essere intercettato.
Il governo degli Stati Uniti dal canto suo dedicando notevoli energie allo sviluppo della tecnologia delle armi ipersoniche, con 15 miliardi di dollari stanziati in 70 diversi progetti. Stando alle analisi del Sipri nel 2020 gli USA hanno inoltre completato il dispiegamento di nuove testate a basso potenziale sui loro sottomarini lanciamissili balistici a propulsione nucleare (SSBN) e fatto progressi nei loro piani per mettere in campo un nuovo missile da crociera con testata nucleare lanciato da mare (SLCM).

La filiera tecnologica che accompagna gli ordigni nucleari sta dunque pericolosamente progredendo e non si ferma la corsa alle spese militari delle maggiori potenze mondiali: sempre secondo i dati del Sipri nel 2020 la spesa militare mondiale ha raggiunto i 1.981 miliardi di dollari, con un incremento del 2,6% rispetto al 2019 e del 9,3% rispetto al 2011.
Che dire poi degli accorati auspici alla difesa del trattato di non proliferazione che, firmato nel 1968, impegnava gli stati dotati di armi nucleari a non trasferirle o fornire assistenza alla loro fabbricazione o acquisizione da parte di stati non nucleari.
Una promessa sfacciatamente violata dagli Stati Uniti: secondo la Federazione degli Scienziati americani circa 100 bombe nucleari americane B61 (versioni -3 e -4) sarebbero schierate in sei basi, in cinque paesi europei: Aviano e Ghedi in Italia, Büchel in Germania, Incirlik in Turchia, Kleine Brogel in Belgio; e Volkel nei Paesi Bassi.

Senza contare che a partire dal 2022-2024, le vecchie B61-3 e B61-4 saranno sostituite con le bombe guidate B61-12, dotate di una potenza massima di circa 50 chilotoni e una maggiore precisione che le renderà equiparabili alle bombe strategiche degli Stati Uniti. Alle stesse forze aeree belghe, olandesi, tedesche e italiane sono inoltre assegnate missioni di attacco nucleare con armi nucleari degli Stati Uniti.
Non basteranno dunque le parole e le apparenti buone intenzioni a fermare la pericolosa escalation che stiamo vivendo; se potenze nucleari come gli Stati Uniti non freneranno il dispiegamento di tali armi nei paesi alleati contro paventate “minacce esterne”, non ci sarà promessa che tenga al drammatico decorso che la storia avrebbe in ogni caso. È bene precisarlo: con 13.000, 8000 o 1000 testate nucleari disponibili, la distruzione della civiltà umana è in ogni caso assicurata.

Foto © Montserrat Labiaga Ferrer/Flickr

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