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Mentre aumenta il disagio economico e sociale della popolazione, il nostro Paese esegue le richieste di Nato e Iai

“L'Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali”. Così recita l’articolo 11 della nostra Costituzione. Ma è davvero così? Le ultime decisioni politiche dilaniano ogni parola e ogni valore sancito su questa Carta. Ed è proprio il governo di Mario Draghi a mettere l'ultima pietra tombale. Effettivamente, di recente, il Presidente del consiglio, nella conferenza stampa di presentazione della NADEF, ha dichiarato che “ci dobbiamo dotare di una Difesa molto più significativa e bisognerà spendere molto di più nella Difesa di quanto fatto finora, perché le coperture internazionali di cui eravamo certi si sono dimostrate meno interessate nei confronti dell’Europa”. L’obiettivo rimane quello del raggiungimento dell’obiettivo NATO del 2% del Pil annuo. Per l’Italia si tratterebbe di una spesa di circa 40 miliardi all’anno, ben superiore ai 100 milioni di euro al giorno. Cifre, queste, che lasciano attoniti e sbigottiti, soprattutto se si guarda all'evidente e drammatica condizione socio-economica in cui sprofonda ogni giorno di più il nostro Paese. In effetti in Italia oggi, secondo i dati ISTAT, vivono in condizioni di povertà assoluta "poco più di due milioni di famiglie (7,7% del totale da 6,4% del 2019) e oltre 5,6 milioni di individui (9,4% da 7,7%)”. Ciò significa che quasi il 10% della popolazione italiana non ha le risorse sufficienti per condurre una vita che possa definirsi accettabile. Per non parlare poi del Meridione in cui il tasso di povertà supera il 42 %. Di fronte a questo scenario la strada intrapresa da questo governo appare molto grave e nefasta. La politica ormai da tantissimi anni non risponde più alle esigenze e ai bisogni dei propri cittadini. E oggi più che mai le decisioni del presidente Mario Draghi e dei ministri che lo circondano rispondono esclusivamente ai diktat dettati dei potentati economici, della finanza, delle multinazionali e soprattutto alla legge del mercato che è anche e soprattutto quello della guerra.

L’impegno del 2% del PIL
Il punto di riferimento dell’Italia rimane la NATO, in termini di dissuasione, deterrenza e difesa. Tale impegno, però, graverà ancora una volta, ed in misura ancora maggiore, sui cittadini. Nel Documento Programmatico Pluriennale 2020-22 (DPP 2020-22), rilasciato dal Ministero della Difesa, viene esplicitato che “il summit di Londra ha costituito un passaggio sostanziale per riaffermare la vitalità della NATO e l’essenzialità del legame transatlantico (…) La nostra appartenenza alla NATO richiede, tuttavia, anche un più puntuale rispetto degli impegni assunti, in termini di contribuzione finanziaria, oltre che di capacità esprimibili e di contributi operativi. La quantità delle risorse investite dai Paesi membri dell’Alleanza, nelle rispettive Difese, è infatti oggetto di un costante e sempre più attento monitoraggio. Stiamo pertanto intraprendendo tutti gli sforzi necessari per avviare un percorso teso ad incrementare gradualmente gli investimenti, con l’obiettivo di allineare, progressivamente, il rapporto tra il Budget della Difesa e PIL nazionale, alla media degli altri Paesi europei”.

Durante il Summit NATO svoltosi in Galles del 2014, i Paesi membri dell’Alleanza Atlantica si erano presi l’impegno ad aumentare le proprie Spese Militari annuali, portandole ad una percentuale del 2% del PIL. Per l’Italia, il cui PIL si aggira attorno ai 2.ooo miliardi di Euro, si tratterebbe di portare i finanziamenti al settore Difesa ad una cifra di circa 4o miliardi di Euro annui. L’equivalente di circa 1oo milioni di Euro al giorno. Ma questo è solo uno dei parametri previsti dal cosiddetto “Burden sharing”, ovvero dalla “condivisione del fardello” delle spese necessarie per sostenere l’Alleanza Atlantica. La NATO, infatti, richiede ai propri Paesi Alleati di tendere, entro il 2024, al raggiungimento dei seguenti obiettivi, le cosiddette “tre C”: 2% delle spese per la difesa rispetto al PIL (“cash”); 20% delle spese per la Difesa da destinare agli investimenti in “major equipments”; contribuire a missioni, operazioni e finanziare altre attività (“contributions”).

I Paesi che già hanno raggiunto la soglia del 2% del PIL da destinare alle spese militari entro il 2024 sono undici (su 30), rispetto ai nove del 2019. Oltre agli Stati Uniti (3,73%), ci sono Grecia (2,68%), Estonia (2,33%), Regno Unito (2,32%), Polonia (2,31%), Lettonia (2,27%), Lituania (2,13%), Romania (2,07%), Francia (2,04%), Norvegia e Slovacchia (2%). In media, nel 2020, la spesa per la difesa dei 30 Paesi NATO ha rappresentato il 2,77% del PIL (1,73% se non si includono gli Stati Uniti, la cui spesa per la difesa supera il 3% del PIL).

Nel Documento Programmatico Pluriennale 2021-2023 (DPP 2021-2023) rilasciato dal Ministero della Difesa, leggiamo che “il razionale di tale accordo si basa sulla necessità di impegnare gli Stati membri a contribuire equamente alle esigenze collettive di difesa dell’Alleanza. Pertanto, il valore del 2% del rapporto spese per la Difesa/PIL non riveste un mero carattere percentuale: esso è connesso all’importanza di conferire adeguate risorse al settore della Difesa che si connota, in modo peculiare, per le necessità di continuo ammodernamento delle capacità militari e le associate esigenze di mantenimento e impiego delle stesse. Ciò è in linea, tra l’altro, con l’Art. 3 del Trattato del Nord Atlantico secondo cui gli Stati membri ‘manterranno e accresceranno la loro capacità individuale e collettiva di resistere a un attacco armato’”. E ancora, “in tale quadro e tenendo conto del contingente quadro economico-finanziario, l’obiettivo nazionale è quello di conseguire, progressivamente, l’allineamento del rapporto budget della Difesa/PIL alla media degli altri Alleati europei. Al riguardo, in occasione della Ministeriale NATO di febbraio, l’Italia ha presentato un rapporto che fa stato di un tendenziale andamento crescente, sia in valore assoluto sia in termini percentuali, del rapporto spese per la Difesa/PIL e che, a fronte di un 1,18% nel 2019, registra un incremento all’1,39% nel 2020 e prevede di attestarsi, in termini percentuali, all’1,41% nel 2021, all’1,39% nel 2022 e all’1,34% nel 2023”.

L’aumento spese militari in Italia e il Recovery Fund
Nel Documento Programmatico Pluriennale 2021-2023 (DPP 2021-2023) rilasciato dal Ministero della Difesa, viene evidenziato come la “rinnovata competizione militare fra gli Stati” si rifletta sulla spesa militare mondiale, “che nel 2020 ha continuato a salire, sfiorando i 2.ooo miliardi di dollari, a fronte di una diminuzione importante del PIL mondiale”. Ovviamente, questo ha fatto sì che anche la quota percentuale della spesa militare su PIL in molti Paesi sia aumentata, in media, di 0,2 punti in un anno in tutto il mondo, attestandosi al 2,4%.

Nel documento, per quanto concerne la programmazione di spesa in ambito militare, si precisa che

“la dotazione complessiva per il 2021 ammonta a 24.583,2 milioni di Euro, pari all’1,41% del PIL previsionale (1.738.106,0 milioni di Euro). Le assegnazioni per il 2022 e per il 2023, invece, ammontano rispettivamente a 25.164,7 milioni di Euro e 23.493,0 milioni di Euro e, riferite ai corrispondenti valori di Pil previsionale (1.835.755,0 milioni di Euro e 1.904.638,0 milioni di Euro), denotano un rapporto pari a 1,37% nel 2022 e 1,23% nel 2023”. Più in generale, “con riferimento al periodo 2008-2023, il bilancio della Difesa a valori correnti registra un incremento del 16,3% passando da uno stanziamento di 21.132,3 milioni di Euro del 2008 a quello di 24.583,2 milioni di Euro del 2021; il rapporto Bilancio Ordinario Difesa/PIL passa dall’1,35% del 2008 al valore di 1,41% nel 2021; tale incremento percentuale per il 2021, sebbene imputabile ad un aumento degli stanziamenti, è altresì condizionato dal valore del PIL previsionale che risente degli effetti indotti dalla crisi economica in atto a seguito dell’epidemia di COVID-19”.

Inoltre, come si può constatare leggendo l’”Elenco progetti del Recovery Fund”, il Ministero della Difesa e dello Sviluppo Economico hanno presentato un elenco di progetti di carattere militare per l’ammontare di circa 30 miliardi di Euro. Il Ministero della Difesa prevede di spendere 5 Miliardi di Euro per applicazioni militari nei settori della cibernetica, delle comunicazioni, dello spazio e dell’intelligenza artificiale. Rilevanti i progetti relativi all’uso militare del 5G. Invece, i progetti del Ministero dello Sviluppo Economico, relativi soprattutto al settore militare aerospaziale, prevedono una spesa di 25 miliardi di Euro del Recovery Fund.

Ad aprire alla possibilità di veder aumentare le spese militari in maniera significativa è stato il Parlamento italiano, a quanto risulta dalle Relazioni definite e votate in questi giorni dalle Commissioni competenti. Nel testo licenziato dalla Camera si raccomanda di “incrementare, considerata la centralità del quadrante mediterraneo, la capacità militare dando piena attuazione ai programmi di specifico interesse volti a sostenere l’ammodernamento ed il rinnovamento dello strumento militare, promuovendo l’attività di ricerca e di sviluppo delle nuove tecnologie e dei materiali, anche in favore degli obiettivi che favoriscano la transizione ecologica, contribuendo al necessario sostegno dello strategico settore industriale e al mantenimento di adeguati livelli occupazionali nel comparto”. Per il Senato “occorre, inoltre, promuovere una visione organica del settore della Difesa, in grado di dialogare con la filiera industriale coinvolta, in un’ottica di collaborazione con le realtà industriali nazionali, think tank e centri di ricerca”. Il comparto militare riceverà almeno il 18% (quasi 27 miliardi) dei Fondi pluriennali di investimento attivi dal 2017 al 2034. Le indicazioni inviate al Governo derivano da dibattiti nelle Commissioni Difesa della Camera e del Senato che hanno approvato all’unanimità i pareri consultivi relativi. Ciò evidenzia un sostegno trasversale all’ipotesi di destinare i fondi del PNRR anche al rafforzamento dello strumento militare. Addirittura alla Camera i Commissari hanno concentrato il loro dibattito sulla “opportunità” di accrescere ulteriormente i fondi a favore della spesa militare fornita dal Piano. Da notare come il rappresentante del Governo abbia sottolineato il fatto che i pareri votati “corrispondano alla visione organica del PNRR” dello stesso esecutivo Draghi. Quest’ultimo dunque, ritiene che la ripresa del nostro Paese si possa realizzare anche favorendo la corsa agli armamenti. Nel corso della discussione sono stati uditi rappresentanti dell’industria militare (AIAD, Anpam, Leonardo spa) mentre non sono state prese in considerazione le “12 Proposte di pace e disarmo per il PNRR” elaborate dalla Rete Italiana Pace e Disarmo e inviate a tutte le Commissioni competenti.

Ma, ovviamente, tutto questo è per il nostro bene. L’emergenza causata dal Covid-19 ha comportato pesanti ricadute sul tessuto socio-economico, anche e soprattutto a causa di un quantomeno inefficiente intervento dell’attore pubblico. E, come in occasione di ogni crisi economica, invece che provare a rivedere il nostro sistema di sviluppo, il nostro modo della produzione, ed il nostro paradigma dell’accumulo di capitale, si propone la soluzione facile, che però è, al contempo, anche la più dannosa: la guerra. Nel DPP 2020-22, infatti, leggiamo come “recenti studi affermano che, complessivamente, le imprese del settore Aerospazio, Sicurezza e Difesa generano in Italia lo 0,8% del PIL, con un ritorno occupazionale stimabile in circa 159.000 unità, indotto incluso. Il settore assicura un gettito fiscale di oltre 4,8 miliardi di euro; emerge inoltre che il moltiplicatore totale del valore aggiunto è stimato in 2,6, quindi 1 euro di valore aggiunto delle imprese del settore genera 1,6 euro addizionali di valore aggiunto nel resto dell’economia”. C’è crisi? Non preoccupiamoci. Basta investire ancora più risorse nel comparto militare-industriale, e il gioco è fatto: “In conclusione, le conseguenze economiche negative attese dell’emergenza legata al COVID-19 rinforzano la necessità di orientare risorse economiche importanti verso un settore, come quello della Difesa, che fornisce ampie garanzie in termini di ricadute occupazionali ed indotto, oltre a rappresentare un fondamentale investimento per la sicurezza dei nostri concittadini”, recita ancora il documento.

Aumento spese militari nel mondo
Secondo i dati SIPRI (Istituto di studi sulla Pace tra i più prestigiosi al mondo) di Stoccolma, le spese militari mondiali sono aumentate nel 2020 del 2,6% in termini reali (+9,3% nell’ultimo decennio) e sono ora stimate intorno ad una cifra complessiva di 1.981 miliardi di Dollari. I primi 10 Paesi per spesa militare nel 2020 sono i seguenti (viene esplicitata anche la variazione percentuale rispetto al 2019): USA: 778Mld$, +4,9%, Cina: 252Mld$, +1,9%, India: 72,9Mld$, +2,1%, Russia: 61,7Mld$, +2,5%, Regno Unito: 59,2Mld$, +2,9%, Arabia, Saudita: 57,5Mld$, -10%, Germania: 52,8Mld$, +5,2%, Francia: 52,7Mld$, +2,9%, Giappone: 49,1Mld$, +1,2%, Corea del Sud: 45,7Mld$, +4,9% e l’Italia: 28,9Mld$, +7,5%.

La spesa militare degli Stati Uniti è aumentata per il terzo anno consecutivo: nel 2020 rimangono di gran lunga al vertice della classifica, con il 39% della spesa globale. Le spese militari della Cina sono aumentate per il 26° anno consecutivo (+76% nel decennio 2011-2020) ed anche India e Russia registrano una crescita. Il calo registrato dall’Arabia Saudita è stato il maggiore in termini percentuali tra i primi 15 Paesi della lista, con il Regno Unito ha ottenuto nel 2020 la quinta posizione. I primi 15 Paesi per spesa militare hanno raggiunto la cifra complessiva di 1.063 miliardi di dollari pari all’81% del totale.  La spesa complessiva di tutti gli Stati membri della NATO è stata di circa 1.103Mld$, pari al 56% della spesa militare globale. Sei dei 15 paesi con la più alta spesa militare sono membri della NATO: USA, Regno Unito, Germania, Francia, Italia e Canada. Insieme, questi sei paesi hanno rappresentato il 90% (circa 995Mld$) della spesa totale della NATO e il 50% della spesa militare globale. La spesa complessiva dei 27 Pesi membri dell’Unione Europea è stata di 232,8Mld$ (in crescita del 4,6% rispetto al 2019 e in crescita del 24,5% rispetto al 2014).  L’Italia rimane nella top 5 europea per spesa militare (dietro Russia, Regno Unito, Germania e Francia) arrivando alla undicesima posizione globale con una spesa per il 2020 che il SIPRI stima in 28,9Mld$ (+7,5% rispetto al 2019), corrispondenti a 25,4Mld€. Il quadro di lettura di base è dunque quello di una crescita decisa delle spese militari italiane dopo un periodo di relativa stasi fino al 2019, con un aumento sostanziale nel 2020.

10% della popolazione italiana in povertà, ma gli investimenti vanno sulla guerra
In un mondo sempre più diseguale e sempre più ingiusto, dove una piccola percentuale di soggetti detiene grandissime quantità di ricchezza, e dove il resto (circa l’80%) della popolazione mondiale vive in condizioni di povertà estrema, o comunque si trova in situazioni di forte disagio sociale e sofferenza economica, questi dati non possono che lasciare attoniti e sbigottiti. Ancora una volta, anzi per l’ennesima volta, si sceglie la guerra e si ripudia la pace, violando l’articolo 11 della nostra Costituzione.

Non che ci si aspettasse qualcosa di diverso da questo governo e dal Presidente del consiglio Mario Draghi, visti e considerati gli ambienti economici e finanziari da cui proviene. In una situazione in cui, oggi, solo in Italia, si registra un tasso di povertà e di disagio sociale drammaticamente in aumento, si sceglie di investire in nuovi armamenti e in nuovi strumenti di morte e di distruzione. Una vergogna che viene esplicitamente avallata, anche con il silenzio, dalla maggior parte dei rappresentanti politici che siedono nelle aule del nostro Parlamento.

Continua...

Artwork by Paolo Bassani

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