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A sette anni dalla sparizione forzata dei 43 normalisti, i messicani esigono risposte

“Né con i carri armati né con i mitra, Ayotzi non sta zitta!”

Il popolo messicano è tornato a radunarsi per le strade per chiedere chiarimenti sul sequestro e la scomparsa degli studenti normalisti di Ayotzinapa, nello Stato di Guerrero.
Le scuole normaliste dello Stato di Guerrero hanno, storicamente, una grande tradizione attivista e politica. Tra la notte del 26 e l’alba del 27 settembre del 2014, notte in cui avvennero i fatti, gli studenti si preparavano a partire per Città del Messico, dove si sarebbero uniti ad altre migliaia di studenti di tutto il paese in occasione dell’anniversario del “Massacro di Tlatelolco”, avvenuto il 2 ottobre del 1968 nel corso di una dura azione repressiva effettuata dai militari e da forze di polizia nei confronti di movimenti studenteschi dell’epoca. La verità su questo massacro, i dati precisi sul numero di feriti e delle persone assassinate restano ancora sconosciuti; lo Stato ha storicamente blindato le prove.
I normalisti, per spostardi, generalmente rubavano degli autobus, come successo anche in questa occasione, in base a quanto ricorda Manuel Vázquez Arellano, membro del comitato studentesco e sopravvissuto a quella notte. “Bisogna capire che quello che è capitato il 26 è stato un caso fortuito in quanto, nella mattinata e nel pomeriggio, i ragazzi avevano tentato di prendere gli autobus a Chilpancingo ma non essendovi riusciti, avevano deciso di dirigersi verso Iguala, per non ritornare a scuola a mani vuote”. Avevano già tre autobus ma ce ne volevano altri perché si aspettavano un grande afflusso alla manifestazione.
Quella notte, ad Iguala, si stava tenendo l’inaugurazione dell’Ufficio per lo Sviluppo Integrale della Famiglia, che a quel tempo era sotto la direzione di María de los Ángeles Pineda, moglie del sindaco di Iguala, José Luis Abarca Velázquez. Una coppia sospetta per gli stretti legami con Guerreros Unidos, una banda di narcotrafficanti locale. Di fronte alla possibilità che gli studenti si presentassero ai festeggiamenti per tentare di interromperlo, cosa che non era nei loro piani, le forze di polizia aggredirono il gruppo compiendo il primo passo di uno ignobile crimine di Stato.
La storia ufficiale, quella che ha cercato di imporre il governo dell’ex presidente Peña Nieto, anche se discutibile sin dall’inizio, mostra uno scenario terrificante: i normalisti sarebbero stati arrestati dalle forze di polizia e consegnati ai Guerrieri Uniti, i quali, dopo averli assassinati, li avrebbero bruciati in una fossa comune. Purtroppo le prove dimostrano che non fu così; le fosse comuni ed i crimini di massa, commessi nel contesto della guerra tra i narcotrafficanti ed i “rangers” dell’esercito e della polizia militarizzata, sono diventati moneta circolante in Messico a partire dalla dolorosa presidenza di Felipe Calderón. Un Felipe Calderón che impose sul suo territorio il modello di guerriglia urbana ideato dagli Stati Uniti, per la Colombia, all’inizio degli anni ‘80. Da quel momento i dati delle violenze, dei sequestri, delle torture, delle mutilazioni, delle violazioni, degli assassini, delle sparizioni e delle fosse comuni somigliano a quelli dei genocidi: tra il gennaio del 2006 ed il maggio del 2021 si contano 350mila assassinati e più di 72mila scomparsi.
Da quel momento i messicani si uccidono tra loro per la droga che consumano gli americani; mentre il denaro dei cartelli viene riciclato nelle grandi banche di Wall Street.
In questo groviglio, i 43 normalisti sono divenuti un simbolo della precarietà istituzionale in Messico, delle conseguenze sociali, economiche, politiche e di civiltà prodotte dal narcotraffico e dell’ipocrisia dei complessi economici, politici e militari. Il mondo ha posato lo sguardo su Ayotzinapa e le proteste si sono moltiplicate in decine di paesi. La pressione internazionale ha obbligato il governo di Peña Nieto a prendere in mano la questione e diversi funzionari si sono cimentati nella costruzione della “storia ufficiale”, tra i quali Tomás Zerón.
Zerón è stato il direttore dell’Agenzia di Investigazione Criminale, l’organismo anche ha condotto le prime indagini. Zerón, mediante coercizioni e torture, ha costruito il caso in maniera tale da placare l’opinione pubblica: i narcotrafficanti hanno assassinato gli studenti per averli scambiati come membri di bande rivali. Zerón è ad oggi latitante, protetto dal governo israeliano. Ma le bugie, anche se giudiziarie, hanno le gambe corte e poche settimane fa è stato ritrovato un corpo, quello di Alexander Mora Venancio, le cui caratteristiche contraddicono le ipotesi ufficiali.
Solo a luglio del 2020 e a giugno 2021, sarebbero stati trovati anche i resti di Christian Alfonso Rodríguez e di Jhosivani Guerrero de la Cruz. Entrambi sono stati ritrovati e riconosciuti grazie al lavoro del Gruppo Argentino di Antropologia Forense (EAAF) e all’interesse costante della Commissione Interamericana dei Diritti Umani (CIDH) e del suo Gruppo Interdisciplinare di Esperti Indipendenti (GIEI). In questo senso, il governo di López Obrador è stato il più diligente sul caso, sebbene c’è ancora tanta strada da fare ed il tempo della sua presidenza sta per scadere. “Bisogna compilare i mandati di cattura. È positivo che ci sia la segnalazione di persone chiave, ma stiamo anche verificando che molte di queste persone sono state assassinate negli ultimi mesi”, ha dichiarato Vázquez Arellano, che per diverso tempo si è fatto chiamare Omar García per nascondere la sua vera identità.
Chissà se, come i soldati nordamericani hanno abbandonato l’Afganistan, un giorno anche i banchieri nordamericani non abbandonino il Messico. Fino a quel giorno il Messico continuerà a scambiare droga con armi e coyote con falchi.

Foto di copertina: amnistyinternacional.com

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