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Presto l'Italia potrebbe trovarsi in prima linea nelle future iniziative militari sotto la guida della Nato

È quanto emerge dalle indiscrezioni rilasciate al mensile Rid dall’ammiraglio Giuseppe Cavo Dragone, in cui sono stati esplicitati i nuovi “requisiti operativi” della Marina che dovranno ricevere il finanziamento dello stato maggiore della Difesa: si tratta della fornitura di missili cruise dalla gittata di oltre 1000 km per armare i sottomarini della classe U-212 e le fregate Fremm posizionate nel Mediterraneo.
Non si è ancora lasciato trapelare il modello di vettore che verrà adottato. Uno dei candidati più accreditati è rappresentato dal missile statunitense Tomahawk che, nella sua quinta versione presenta una gittata di 1600 km con una carica di circa mezza tonnellata di esplosivo.

Tale missile è dotato inoltre di sistema di navigazione basato su un gps coadiuvato da una guida satellitare, entrambi schermati contro le contromisure elettromagnetiche e con la possibilità di cambiare obiettivo anche durante il volo. Nelle fasi finali del volo un sensore termico individua le sagome dell’obiettivo, gestendo manovre evasive per evitare le contra-aeree. Il costo è di 1 milione di euro a missile: un esborso modesto considerate le crescenti spese militari che, secondo l’osservatorio Milex, quest’anno raggiungeranno i 25 miliardi di euro e segnano un +8% rispetto all’anno precedente.

Una scelta che rievocherebbe gli anni più oscuri della guerra fredda, in cui questi sistemi d’arma furono dispiegati a Comiso, dotati di testate nucleari contro l’allora Unione Sovietica.

Una riorganizzazione delle nostre forze armate in chiave offensiva, che era già stata anticipata pochi giorni fa dall’annuncio sulla fornitura dei primi droni armati per l’Italia, esplicitato nel Documento Programmatico Pluriennale 2021. Con un programma di spesa pari a 168 milioni di euro, il ministero della Difesa ha dato conferma per armare i droni classe Male Reaper italiani. Questi ultimi sono stati i primi velivoli ad essere utilizzati dall’aviazione militare statunitense nella guerra in Afghanistan che, stando ai report stilati da Airwars, dal 2001 ad oggi avrebbero provocato la morte di almeno 22.000 civili, con un margine fino a 48.000. Un fatto gravissimo, che pone seri interrogativi su quali realmente siano le intenzioni e gli obiettivi militari del nostro Paese.

Nel caso dei missili Cruise la posta in gioco è tuttavia ben più alta e pericolosa: come ammesso dall’Ammiraglio Giuseppe Cavo Dragone, i nuovi sistemi d’arma, oltre che a garantire un maggior peso strategico in questioni come quella dei giacimenti contesi con la Turchia a largo di Cipro, saranno “fondamentali per affrontare le nuove fortezze elettroniche realizzate soprattutto dai russi”, cioè aree protette da schermi radar e da batterie missilistiche anti-nave caratterizzate da una elevata potenza nucleare.

Sembrerebbe un chiaro riferimento al porto russo di Tartus in Siria, che oggi può ospitare fino ad un massimo di undici navi militari, accompagnate da sottomarini in grado di lanciare missili Kalibr con una gittata fino a 2000 km.

Il sistema difensivo multilivello installato da Mosca nell’area è strutturato su tre strati: il livello più esterno vede dispiegati gli S-400 Triumf e l’S-300V4. Il livello intermedio si basa sugli incrociatori di classe Slava, principalmente S-300FM e Buk-M2E, entrambi a medio raggio. Il livello più interno è infine costituito dai sistemi terra, aria a corto raggio Osa-AKM, S-125 Pechora e Pantsir-S2.

Una base che offre alla Russia una grande proiezione di forza su tutto il bacino del Mediterraneo, con la possibilità di assicurare supporto logistico alla marina russa senza più dover transitare attraverso il Bosforo.
In questo scenario, l’Italia si sta posizionando per uno scontro diretto con la Russia col benestare della Nato e mentre a parole viene paventata una logica difensiva rispetto all’espansione di un’ipotetica minaccia esterna, si continua a provocare Mosca con imponenti manovre militari ai suoi confini.

Dal 22 settembre nelle acque del Mar Nero e del mare d’Azov si stanno tenendo le esercitazioni internazionali “Joint Efforts 2021" a cui prendono parte delegazioni di 15 paesi alleati del blocco NATO, tra cui non poteva mancare il nostro Paese. Vi partecipano ben 12.500 militari, 85 carri armati, 420 corazzati, 50 pezzi d’artiglieria, 20 navi da guerra e 30 elicotteri.

Abbiamo dunque scelto di stare nella prima fila delle cannoniere euro-atlantiche contro il resto del mondo. Non si tratta di un’iniziativa del nostro Paese a difesa dei suoi interessi, ma del solito vecchio iter: seguire le orme guerrafondaie del padrone d’oltreoceano.

Gli oltre 1000 km di proiezione del nostro potenziale offensivo ora consentono di alzare la posta in gioco, anche contro l’Iran, come sottolineato in un commento del vice-direttore de "La Repubblica" Gianluca Di Feo. Fatti alla mano, l’eventualità di una guerra si fa sempre più vicina.

Foto © Daniel Foster

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