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Minuto dopo minuto, i colpi di coda della crisi che avanza in Argentina come uno tsunami devastatore all’interno del governo si fanno sentire sempre più. Il frastuono è tale che mentre scrivo queste righe gli avvenimenti fanno sì che queste corrano il rischio di non essere più valide, perché non so cosa può succedere nel resto della giornata di oggi, domani o dopodomani. Tant’è che la marcia convocata in appoggio al Presidente Alberto Fernández (in foto) è stata sospesa pochi minuti fa e di conseguenza tutti i movimenti sociali affini al governo non si mobiliteranno su espressa richiesta del titolare della Casa Rosada, che ha sottolineato (o possiamo anche dire che ha esortato, o ancora meglio esortato) gli organizzatori a concentrarsi sul continuare il loro lavoro accanto alla “gente”.
Già durante l’antivigilia e la vigilia è circolata la notizia sui media argentini che in seno al governo di Alberto Fernández si era scatenata (con virulenza imprevista) una crisi interna, crisi che era prevedibile se consideriamo il profilo della vita argentina quando si tratta di contese di chiaro contenuto politico, e quando i governi di turno cibano le fiere (cioè le opposizioni, anch’esse di turno) scatenando bufere che lasciano malconce persone, istituzioni e gruppi politici.
Il “Fronte di Tutti” vive il suo quarto d’ora da incubo a pochi giorni dalle elezioni ed il punto caldo a cui si è arrivati a causa degli scontri interni al gruppo ha fatto si che lo stesso presidente dicesse ai suoi di lasciar stare le mobilitazioni previste e concentrarsi sul lavoro accanto alle basi del movimento perché (a suo giudizio) questa è la priorità, sopra a tutto e a tutti.
È chiaro che Alberto Fernández cerca di gettare acqua fredda sui calderoni che bollono come conseguenza della sconfitta elettorale delle ultime ore. Le organizzazioni che avevano indetto la manifestazione in poche parole volevano semplicemente esprimere (in modo chiaro) l’appoggio al presidente, sottolineando l’unità ancora viva tra le fila del “Frente de todos”.
Le tensioni presenti dietro l’angolo stavano segnando o delineando un messaggio, esplicito e sottile in alcuni casi, che Alberto Fernández aveva fatto troppi passi falsi - da molto tempo e durante il suo periodo di gestione - ed era ovvio, e quasi indiscutibile, che prima o poi sarebbero venuti alla luce senza mezzi termini. Ed il miglior momento è stato proprio il giorno delle elezioni. Da lì in poi con il trascorrere delle ore gli animi hanno iniziato a scaldarsi.
Sono iniziate a piovere le richieste di dimissioni da non pochi settori: il saldo inevitabile di una sconfitta alle urne, con uno sfondo ed in uno scenario di attriti di diverso tenore, incalzati dai media che hanno contribuito allo sfacelo dell’amministrazione Alberto Fernández, la cui decisione iniziale, o almeno a priori, è stata quella di consegnare ai suoi oppositori la testa dei suoi collaboratori su di un piatto d’argento.
Uno dei primi ad essere supportato da Cristina Kirchner in modo concreto è stato il titolare del Ministero di Economia, Martín Guzmán, al quale è stato specificato - espressamente - che non erano mai state chieste le sue dimissioni. Questo è stato l’ultimo tentativo estremo di Cristina Fernández di Kirchner per serrare i ranghi nel momento in cui bisogna rendere conto, nel mezzo di una grande agitazione con odore di lotta di potere, qualcosa di molto tipico nella storia della vita politica in Argentina, con il rischio che queste contese scatenino violenze o eccessi difficili da controllare o smorzare nelle strade di Buenos Aires e delle provincie del suolo argentino. Ancora non è avvenuto, almeno fino a questo momento.
Senza dubbio nella mente di Fernández, dei suoi seguaci e dei suoi satelliti vi è solo un’idea: recuperare voti, imparando dagli errori e dalle omissioni commesse. Ma sarà troppo tardi? È l’interrogativo senza risposta certa o definita, almeno fino a questo momento, mentre scriviamo queste righe. Dal “Frente de Todos” si cerca di recuperare gli spazi perduti e di sedurre nuovamente la cittadinanza che ha dimostrato - alle urne - che ci sono altre possibilità, sul tavolo e nelle strade argentine.
A questo punto, sia per l’una che per l’altra parte, i destini dell’Argentina stanno correndo a braccetto verso l’incertezza, almeno fino a novembre; alcuni hanno tra le mani il biglietto di uscita e gli altri hanno la bandiera del trionfo. Trionfo totale o da quattro soldi? È ancora prematuro sapere la risposta. Ma va bene, giorno per giorno si vede sempre più la punta di un iceberg che lo stesso Fernández non è riuscito a vedere o non ha voluto vedere. Ma all’orizzonte non si vedono segnali positivi: si vedono invece instransigenze, autoritarismi, intolleranze e soprattutto idee che sono già superate.
Gli errori di oggi hanno scatenato tensioni che difficilmente potranno essere sopite, per rimettere in sesto treni che corrono ad alta velocità e dare una svolta, affinchè il paese prenda strade diverse rispetto a quelle percorse fino adesso. Le contese intestine, ed anche l’assenza di autocritica o di armonia nella realizzazione dei progetti sociali che sono serviti per gli elogi a chi diede calci alla amministrazione Macri, con tutto quello che implica, sfortunatamente non hanno portato a risultati positivi, lo dimostrano gli eventi degli ultimi giorni.
I fatti parlano da soli: il Ministro degli Interni Eduardo “Wado” de Pedro ha presentato le sue dimissioni e dal cuore stesso del kirchnerismo sono stati chiesti dei cambi nel gabinetto, senza ottenere risposta; in seguito è sopraggiunto l’appoggio offerto dalla vice presidente al ministro Martín Guzmán, come esposto in precedenza. E come se non bastasse lo stesso martedì la governatrice di Santa Cruz, Alicia Kirchner, ha chiesto le dimissioni di tutto il gabinetto, mentre succedeva qualcosa di simile in Buenos Aires: tutti hanno presentato le loro dimissioni al governatore Kicillof.
Ma i venti di tormenta hanno continuato a dare sferzate inevitabili: al panorama rappresentato si sono aggiunte le proposte di dimissioni presentate dai ministri di Giustizia (Martín Soria); di Scienza e Tecnologia (Roberto Salvarezza); della Cultura (Tristán Bauer) e dell’Ambiente (Juan Cabandié). E la lista delle dimissioni è andata allungandosi: la titolare del PAMI, dell’ANSES, e delle Linee Aeree Argentine. Il titolare della Acumar, la responsabile dell’INADI ed infine la segretaria del Commercio Estero. Le uniche presentate ufficialmente sono state quelle della Cabandié e di Martín Sabbatella, titolare dell’Acumar. Altri ministri hanno detto che sono arrivati sin qui: Elisabeth Gómez Alcorta (di Donne, Genere e Diversità); Sabina Frederic (della Sicurezza); Juan Zabalata (dello Sviluppo Sociale).
La coalizione ufficiale ha così vissuto una delle crisi (tra le mura) più profonde e tese degli ultimi tempi. Ed il direttore di un quotidiano argentino lo ha riassunto così: “Una crisi esposta in piena luce”. Siamo d’accordo, è successo tutto lontano dall’oscurità ma di fatto, in maniera sotterranea, le fila di detrattori hanno eroso le basi, si sono fatte sentire e sono state ascoltati durante l’evento elettorale, che è stata così la pietra dello scandalo.
Il giornalismo all’interno degli edifici pubblici si è sentito interpellato con il dito puntato reclamando azioni per salvare la barca, o comunque qualcosa che permetta di salvare il salvabile, almeno a provarci.
I salvagenti sono stati gettati su una figura, con nome e cognome: Alberto Fernández, il quale pensa che questi venti da uragano (un vero e proprio tsunami) lo obblighino a guidare ancora per rincontrarsi con la gente; forse proprio per questo ha deciso di abbassare i decibel delle manifestazioni annunciate, per rafforzare i legami con la cittadinanza, con il popolo. Devo pensare, senza timore di sbagliare, che bisogna far pendere la bilancia, contro il tempo, perché restano pochi mesi, addirittura settimane, per il momento della verità.
Il gruppo di governo però, dati i risultati elettorali, si è spaccato; si è risentito e lo ha dimostrato. Di conseguenza sono state minate le fondamenta dei Fernández e si sono fortificate le basi dell’opposizione che ne traggono vantaggio. Un’altra volta.
“Le onde ed il vento...” cantava Donald diversi anni fa. Oggi si potrebbe cantare la stessa cosa. Ma non si tratta di onde e di vento. Si tratta di uragani (addirittura tsunami) che spezzano speranze e debilitano le idee e le ideologie alla base di un disegno di programma politico-economico che, in alcuni casi, ha beneficiato dell’appoggio dei settori popolari, anche sapendo che, da altre fazioni, si attendeva solo il passo falso. E questo è avvenuto. I passi fatti non sono stati sufficienti affinchè l’Argentina continui la sua corsa, lasciando voragini che sono state riempite solo con la dialettica dato che sono assenti le opere, tangibili e palpabili, cioè i frutti.
Sono stati commessi errori? Si. Sono giustificati? Non lo so. Una cosa è chiara: non hanno saputo sfruttare i tempi buoni. Si sono creati dei nodi e sono state sottostimate le forze del fronte opposto, di idee fasciste, antidemocratiche, antipopolari che guardano (quanto purtroppo sta accadendo all’interno della Casa Rosada) con l’acqua in bocca e con aria rapace per sfruttare la crisi in questione.
Prima o poi verranno alla luce tutti i panni sporchi. Non sappiamo scientificamente cosa accadrà ma, vista la situazione, non immaginiamo nulla di buono.
A meno che all’improvviso gli uragani si dissolvano e lo tsunami diventi un aneddoto, i cattivi presagi continuano a alleggiare. Ora tutto dipenderà dalla gente, dal popolo, dai giovani.
Gli argentini, per l’ennesima volta nella loro storia, vivono il loro braccio di ferro: per rincontrarsi con la prosperità, con la pace e con le libertà o per rincontrarsi con tutto l’opposto. Ancora una volta Juan Pueblo cammina vicino al precipizio, vicino ad un abisso inconfondibile, tracciato da coloro che avevano e che hanno il potere.
Tutto ciò lascerà alla deriva Alberto Fernández o lo renderà più forte nell’ultimo minuto?
(16 Settembre 2021)

Foto © Imagoeconomica

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