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Direttore di Antimafia Dos Mil a "Opinión Pública", programma televisivo giornalistico-informativo

"Il giornalismo come 'potere' può convertirsi in complice della criminalità organizzata"

Grande importanza ha il giornalismo per la società. Il 'Quarto Potere', capace di influenzare l'opinione delle grandi masse, permeare le coscienze e focalizzare l'attenzione su ciò che “deve importare”, influenza fortemente le azioni politiche che pongono in essere gli Stati, organismi internazionali, istituzioni economiche e tutto quello che ne consegue - legale ed illegale -. Inoltre, è un elemento di informazione per la giustizia, perché attraverso investigazioni e ricerche si ottengono dati che in molti casi aiutano a far luce su situazioni che altrimenti rimarrebbero relegate in un ufficio giudiziario. È tale il potere del giornalismo che le grandi imprese ed istituzioni che hanno potere, prestigio e fama e, a volte, la semplice tutela del posto di lavoro, condizionano e determinano cosa e come investigare, mostrare, sfruttare e divulgare al grande pubblico.   

Le minacce ed omicidi a danno di giornalisti impegnati sono tanti nel mondo. Messico, Colombia, Paraguay, Argentina, sono paesi dove esercitare il giornalismo è spesso più rischioso di appartenere alla polizia. Pochi giorni fa, come abbiamo pubblicato in Antimafia Dos Mil, spararono in testa a Peter R. Di Vries, un giornalista olandese specializzato nel crimine organizzato della sua regione; un uomo che ha collaborato con la giustizia, che ha incontrato pentiti delle mafie locali, e che si trova in pericolo di morte per il suo impegno profuso come giornalista. 

In Uruguay non è abituale intimorire la figura del giornalista, forse perché in molti casi abbiamo un giornalismo compiacente. Ma non è sempre così. "Opinión Pública" è un programma che trasmette in diretta attraverso YouTube e Facebook, e che appartiene a “Visión Ciudadana”, portale di notizie del dipartimento di San José. Lo scorso 7 Luglio, i conduttori Jorge Eduardo Scagni e Pablo Fernández Acheriteguy (*), due giornalisti impegnati nella ricostruzione della verità fattuale, hanno accolto il direttore di questo mezzo, Jean Georges Almendras, per trattare questi temi ed approfondire come, dove e con chi lavorano le mafie.

Antimafia

Lei è il direttore di Antimafia. Come hai intrapreso questa carriera?
“Si, sono il direttore di Antimafia Dos Mil Sudamericana; la base è a Palermo, Sicilia. Il direttore è Giorgio Bongiovanni, siciliano. La mafia per lui e per molti siciliani è un cancro che è installato nella nostra società; nella società italiana ancora di più, ma adesso è inserita nella società mondiale. Di questo dobbiamo incominciare a prendere coscienza sia il cittadino che le autorità. È lì che è nata Antimafiaduemila.com. Io avevo un legame molto stretto con Giorgio, e mi feci carico di Antimafia in Sud-America. Inizialmente era un giornale stampato per poi passare ad essere un sito web che in Italia in questo momento è uno dei siti più letti, per quel che riguarda la cronaca giudiziale. Ha 400 mila lettori al mese, è un diario specializzato in investigazioni, denunce e lotta contro la mafia, concretamente. Si lavora, gomito a gomito con magistrati e pm del Pool Antimafia di Palermo, e qua in Sud-America siamo presenti in Uruguay, Cile, Argentina, Paraguay”.

Our Voice ed Antimafia
"Più che corrispondenti di Antimafia Dos Mil, essendo un gruppo di giovani di Our Voice - la Nostra Voce - essi fanno parte di un movimento culturale che in qualche occasione mi piacerebbe avere qui. È un movimento che vuole denunciare le mafie mediante eventi artistici di vario genere. La fondatrice è la figlia di Giorgio Bongiovanni, che lo fondò all'età di 13 anni. Ha visto sin da bambina cosa significa la mafia per i siciliani, e lei, così giovane, incitò a lottare contro la mafia attraverso l'arte. Tanto Bongiovanni come i suoi sostenitori lo appoggiarmi e da lì nacque questo movimento, che si chiama Our Voice. È facilmente fruibile in rete. Questo gruppo porta in scena attualmente presentazioni eccellenti a livello internazionale. Attraverso l'arte, la rappresentazione teatrale, la musica, la danza, denuncia le violazioni dei diritti umani, manifesta a favore del benessere del pianeta terra, contro l'energia nucleare, ovviamente contro il crimine organizzato. Oggigiorno, mentre noi stiamo parlando, parte del gruppo si trova in Italia, molto impegnati nelle prove dello spettacolo che sarà presentato il prossimo 20 Luglio a Palermo –dopo il 19 Luglio, anniversario dell'assassinio del giudice Paolo Borsellino, il 23 maggio fu quello di Giovanni Falcone, i due magistrati che, agli inizi dei ’90, più esattamente nel ‘92, furono nemici acerrimi della mafia. E, com'è noto questo generò una reazione, a livello mafioso, che purtroppo fece saltare in aria con potente esplosivo entrambi. Due attentati orrendi. Sarà presente anche Antimafia Duemila, come ogni anno, insieme a giudici, pubblici ministeri, giornalisti antimafia e associazioni di cittadini”. 

Mafia, Stato e Giustizia: dall'Italia all'America Latina
"Il magistrato Nino Di Matteo ha, oggi, una numerosa scorta. Di Matteo è il magistrato che indaga sulla trattativa Stato-mafia. Voglio chiarire qualcosa che sorprenderà il lettore: la cosa grave del problema mafioso in Italia è che la mafia negoziò, trattò e lavorò in forma congiunta con lo Stato italiano, allora come oggi, nel 2021. Ipocritamente lo Stato italiano si dichiara contro la mafia, ma ci sono collusi nel sistema politico, nei servizi segreti, gruppi che stanno collaborando con i sistemi mafiosi. Con la mafia Cosa Nostra, con la 'Ndrangheta che è specializzata nel narcotraffico a livello internazionale, incluso Rocco Morabito, un personaggio purtroppo noto agli uruguaiani”.

La mafia italiana ha cambiato totalmente modo di operare... ?
"Totalmente. Non è più il mafioso con la coppola, il fucile, che si occupa di temi morali, che si impone in un piccolo quartiere, no. Il sistema mafioso è seduto nel Parlamento, è seduto nelle istituzioni democratiche, è seduto nei sistemi finanziari, è seduto nelle logge massoniche. La gran massoneria ha un forte vincolo con i sistemi mafiosi, nei servizi segreti e nello Stato. Per questo motivo Nino Di Matteo da dieci anni ha la scorta, perché è stato condannato, non minacciato, ma condannato a morte da Cosa Nostra, perché investiga. Ha ottenuto già sentenze, che vedono nell'anno 1992 personaggi dello Stato italiano, non persone qualunque, ma ministri dello Stato italiano, alti funzionari dei sistemi di sicurezza dei Carabinieri che hanno trattato, si sono seduti a un tavolo e conversato con mafiosi per commettere gli assassini, per neutralizzare e vanificare la giustizia, quando Giovanni Falcone e Paolo Borsellino stavano iniziando a smantellare il sipario, ed erano ovviamente elementi molto scomodi per il sistema mafioso”.

Io l'ascolto, ed uno pensa ai paesi europei che hanno una normativa... Tremo se mi metto a pensare all'America Latina, e mi preoccupa ancora di più se penso all'Uruguay.
"Fai un apprezzamento molto interessante. Diciamo che mafia non è un gruppo mafioso nato tre giorni fa, o tre mesi fa, o tre anni fa, ma circa duecento anni fa; è un grave problema per l'Italia. Dentro lo Stato italiano non tutto è corruzione, ci sono stati capi di Stato, ci sono stati parlamentari, gente dei servizi di sicurezza che sono onesti fino ad oggi, ma che devono convivere con gente che non è onesta, con elementi deviati dello Stato, come in ogni parte del mondo. Qui abbiamo anche uno Stato, un sistema politico, un potere giudiziale, un'istituzione di polizia dove ci sono elementi onesti ed elementi corrotti. Succede nel mondo intero. In funzione di quel gran cancro che è il sistema mafioso in Italia, ovviamente dal punto di vista legislativo e dal punto di vista della Costituzione, l’Italia conta una delle migliori costituzioni normative per quanto riguarda la lotta contro il sistema mafioso”.

La maledizione di avere la mafia l'ha portato a elaborare questa Legge?
“Lo ha maturato in un modo che oggi la sua Costituzione ed i suoi regolamenti sono esempi per altre società per combattere la mafia. Ma non dobbiamo dimenticare che c’è il fattore umano, ci sono le persone, i sistemi politici, interessi occulti, interessi palesi, esogeni, non esogeni, di persone deviate e, ovviamente, come si interpreta e si applica il diritto è un'altra storia. Ma, ci sono funzionari onesti come il pm Di Matteo e tutto il Pool di giudici e pubblici ministeri Antimafia, che non sono corrotti; ci sono invidie professionali di alto livello dentro il sistema, ma non c'è corruzione. Essi hanno veramente gli strumenti per combattere il fenomeno mafioso. Infatti, il mafioso che è in carcere -  stiamo parlando di capi - è sottoposto a un regime carcerario rigido che è il 41 bis: l'individuo condannato all’ergastolo o a 30 anni, che esce dalla cella una volta al giorno in uno spazio ridotto, ha contatto con il suo avvocato una volta alla settimana. È un sistema rigido. Ma in Italia c’è anche la figura del pentito. Il pentito è un collaboratore di giustizia, è un mafioso che decide di collaborare con la giustizia, come Tommaso Buscetta negli anni ‘90, o Giovanni Brusca che è stato liberato 20 giorni fa, dopo essere stato in prigione condannato per essere stato l'esecutore che fece scoppiare la bomba, che assassinò Giovanni Falcone. Sono collaboratori di giustizia che aiutano a scoprire le 'verità', ma in cambio chiedono riduzione di pena, e sicurezza. Uscendo dalla prigione lo fanno con un altro nome, un'altra identità, un altro volto. Ho il piacere di conoscere, e lo voglio dire pubblicamente - in Antimafia Dos Mil lo abbiamo pubblicato-, ho conosciuto in Italia un collaboratore di giustizia di nome Gaspare Mutolo, che era molto vicino a Toto Riina. Oggi ha 75 anni, è uscito da un po' di tempo dal carcere per avere collaborato con la giustizia come pentito. Oggi è un uomo che ama l'arte, dipinge e ha chiuso totalmente con la mafia, è una persona che ha la nostra amicizia, che conosciamo. Ma quando esce in pubblico porta una maschera, non può farsi identificare. La sua vita ha dato una svolta ammirevole”. 

"Il sistema mafioso non sono quattro delinquenti che si uniscono per rapinare il bowling all'angolo, il sistema mafioso è una cultura. È un sistema criminale con un gran potere economico, e con una gran influenza ed una forte disciplina, una disciplina mafiosa che molte persone che lottano contro la mafia non hanno. Non ce l'hanno le istituzioni poliziesche, né giudiziarie, neanche la cittadinanza. Il mafioso è disciplinato ed è questo il suo strumento e potere o almeno uno dei principali”.

Uruguay e lo schema mafioso
"Uruguay, Rio de la Plata, America Latina, fanno parte degli interessi del sistema mafioso italiano. Il sistema mafioso è una gran azienda, non sono ignoranti, magari non sanno leggere e scrivere. Toto Riina e Provenzano non erano dottori, non erano contabili, Pablo Escobar non era contabile, ma erano geniali amministratori. Geniali nella loro capacità organizzativa, di movimento e di guadagno, abili nel commercio. Questa è la mafia, un commercio maligno, nefasto, criminale, perché non si fa alcuno scrupolo se deve eliminare qualcuno, come fece Pablo Escobar con un suo nemico, che fece saltare in aria un aeroplano in Colombia, con un centinaio di passeggeri, per liberarsi da un nemico che può essere un politico onesto o un funzionario dello Stato”.

Non è oramai come nei film. Ora arrivano attraverso il sistema finanziario imprese che vengono a stabilirsi…
"Sono nel potere a un livello che non possiamo misurare. Chi non conosce Silvio Berlusconi? Berlusconi è un elemento mafioso che contribuì con il suo agire all’assassinio di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino; Marcello Dell'Utri è stato processato e condannato per associazione mafiosa… sono politici di prima linea, non sconosciuti. Silvio Berlusconi è una figura pubblica. Così si destreggia la mafia, e così si destreggia in America Latina. L'Uruguay non è l'eccezione, per niente protetto, blindato da questo cancro. Ci siamo ormai resi conto, se la gente applica il buonsenso, non è necessario essere tecnico, non è necessario essere uomo dell'antimafia, del Pool Antimafia, né magistrato né pubblico ministero antimafia per dire, ad esempio "come è possibile che Rocco Morabito che, per 15 anni, da latitante della giustizia italiana e processato in contumacia, si sia stabilito prima in Brasile e dopo a Punta del Este? Abitava a Maldonado e dopo, per una sua stupidità, considerando che già l'Interpol lo aveva nel mirino, era ricercato dalla FBI, dai Carabinieri italiani, è stato arrestato. È rimasto in carcere poco più di un anno, e dopo è fuggito in modo scandaloso. Una fuga che ha del ridicolo e che veramente dimostrò la corruzione all’interno dello Stato uruguaiano. C’è stata corruzione dentro il sistema penitenziario e dentro le istituzioni di polizia, perché non era scappato un ladro di galline. È fuggito dal Carcere Centrale, edificio che io conosco personalmente e ha migliaia di angoli, migliaia di porte. Come ha fatto a fuggire? Sono fuggiti con lui altre tre persone. C'è stata una logistica economica, una copertura per farlo fuggire e sparire. Dopo è stato catturato in Brasile”. 

"Non è il tema della fuga che ci deve preoccupare, quello è solamente la punta di un iceberg. Perché Rocco Morabito era in Uruguay? Perché è un elemento garante ed un elemento operativo della 'Ndrangheta; lui è un boss, un capo dell'organizzazione criminale, che oggi è un emblema del narcotraffico internazionale. Non era nascosto, ma sì sotto copertura, con un'altra identità, operativo in mansioni di netto taglio mafioso”. 

"Quando gli uruguaiani leggiamo nella stampa, da tempo, notizie su tonnellate di cocaina sequestrate in uscita dall'Aeroporto di Carrasco, dall'Aeroporto di Melilla, dal Porto di Montevideo… Cosa significa? Il sistema mafioso ride degli scanner negli aeroporti che controllano le valigie dei passeggeri. Loro si muovono con tonnellate. Per passare una tonnellata dalla Colombia, dalla Bolivia, che deve attraversare tutta l'America Latina, arrivare ai porti, essere caricata in una nave e raggiungere l'Europa… Con chi abbiamo a che fare? Con il doganiere di turno? No. Dobbiamo corrompere alte autorità; neanche autorità che comandando a metà, ma autorità che permettono lo spostamento di tonnellate in containers”. 

Richiede molto denaro, influenze, paura. C’è bisogno di crisi economiche. 'Sono un impresario che sono in fallimento, ho debiti per la crisi economica, il Covid mi ha fatto andare in fallimento e arriva il mafioso e mi dice: io ti risolvo tutti i debiti'. Dopo si dovrà cancellare il debito. Così prendono le persone per entrare dentro il sistema, oppure con influenze a livello di governo. Mi perdonino i signori politici, ma il sistema del narcotraffico risale a 15 o 20 anni fa. Ha continuato a progredire, intensificandosi e solidificandosi. In Uruguay c’è un narcotraffico interno ed un narcotraffico legato all’estero. Ci devono essere connivenze, lo so, ma ancora non ho le prove. Ma ci sono connivenze di uomini di potere dell'Uruguay, con elementi mafiosi, locali e stranieri. L'Uruguay è un paese piccolino e, come dice il proverbio, 'paese piccolo, inferno grande'. Tutto il mondo sa che tizio è messo nella droga che caio è messo in quell’altro, si sa, si sente, e se ne parla”. 

Il ruolo del giornalismo. Contro la corruzione?
"La cultura dell'impunità è uno degli ingredienti più quotati, più visibili in questo momento nelle società umane, dall'Uruguay fino all’India, e dall'India fino negli USA, ed oltrepassando altri continenti. Ci sono innumerabili casi dove la corruzione e la criminalità sono imparentate. E dove regna l’impunità. E ci sono delle vittime. Il caso di Assange, il caso di Berta Cáceres in Honduras, la quantità di omicidi di giornalisti ed attivisti sociali in Messico. Bisogna sommare in questi casi la componente della cultura dell'impunità che facilita che i fatti consumati non vengano mai chiariti. In Paraguay, dopo la dittatura di Stroessner, abbiano avuto 20 giornalisti assassinati, uno di loro un compagno, Pablo Medina, che fu ultimato dalla narco-politica nel 2014”.

"Il giornalismo è il Quarto Potere, potere che, attraverso il microfono, la televisione e le reti sociali permette e può manipolare oggi la gente, società intere e celare la verità e in questo modo diventare complice della criminalità organizzata”.

"Faccio un riferimento storico, quando il nazismo prende il potere ricorre alla propaganda, perché è tanto o più prezioso del ministero dell'interno, perché riesce a dominare tutto. Si occultava il genocidio, si occultava l'olocausto, ogni cosa, si manipolava le generazioni degli anni '40. Oggi il sistema informativo è un sistema eccessivamente vulnerabile, perché c'è un valore assoluto che è quello del denaro. Il valore assoluto del denaro occupa un ottimo posto, corrompendo politici, poliziotti ed il sistema giornalistico, il sistema di comunicazione. I vertici dei mezzi di comunicazione lo gestiscono come fosse un commercio. Per tale motivo la stampa svolge un ruolo tanto importante, tanto demoniaco. Il giornalismo può essere un elemento che lavora con la giustizia. E quindi il giornalismo deve parlare di verità, fornire elementi probatori, non parlare per parlare. Se come giornalista ottengo informazioni su un crimine ed ottengo le prove, ho l’obbligo di sottoporlo alla giustizia. Ma la paura, il denaro, le comodità, le necessità. Io credo che la censura, la perdita dell'etica, è peggiore che la perdita della vita umana, perché altrimenti siamo ipocriti. Non voglio sentire né dalla vostra bocca né dalla mia: 'ah, Giovanni Falcone, che gran uomo! È stato un gran uomo, ma se io lo esalto, se io lo idolatro, se io lo rendo un mito, devo essere uguale, non all'inverso”. 

Cultura della solidarietà o della criminalità?
"20 giorni fa la figlia del Che Guevara si trovava in Italia, conversando con molti giovani, tra loro i giovani del movimento Our Voice. In una dichiarazione pubblica ha detto: 'oggi dobbiamo lavorare per il valore assoluto della solidarietà, non dobbiamo lavorare nell’individuale, ma nella cosa collettiva', e quella frase è rivolta al sistema politico, perché si dimentica. A livello mondiale il sistema politico è pieno di promesse durante le campagne elettorali e anche di finanziamento attraverso il narcotraffico; non è un eufemismo. L'uomo ama le comodità, non gli piace imparare, non gli piace che gli facciano prendere coscienza di certe cose. 'Esco dalla radio, mi prendo il mio scacco matto, vado alla mia casetta in Piriápolis, non mi inteteressa altro, io voglio la mia vita, non voglio complicazioni: questa è la cultura dell'impunità, questa è la cultura dell'omertá. Questo è un primo passo per essere socio del sistema mafioso. Questo si vive in Uruguay e si vive molto più in Argentina, ed anche in Cile, in Colombia, etc. Stiamo circondati di narcostati". 

“Scusate ma l'Uruguay ha una capacità enorme di accettare la criminalità organizzata con grande ipocrisia e sottigliezza. Qui non vengono uccisi come in Messico, qui non finiscono come in Colombia. Qui la criminalità è inserita nell'ambito privato e in quello istituzionale e pubblico, è dentro il sistema giudiziale. Oggi il sistema è più sottile. Ti screditano, ti buttano fuori, ti condizionano nella famiglia, nel lavoro. La storia mondiale è piena di questo tipo di usurpazioni , di delusioni. J. F. Kennedy fu assassinato nell'anno ‘63. Figlio di un ricco, quando salì al potere diede un calcio in culo al padre, non fece quello che il padre voleva e portò avanti una politica ed un'amministrazione con idee umanitarie e anticorruzione. Aveva dei criteri, coerenza ed onestà. Dove finì J. F. K.? Mai fino ad oggi si è saputa la verità di chi c’era dietro l'omicidio di J. F. K. Significa che noi dobbiamo prendere esempio, urgentemente, di quei martiri e di quelle persone. Sappiamo che ci sono state tragedie che hanno riguardato giornalisti, ma cosa possiamo aspettarci se è accaduto con persone come Kennedy? In questi casi di omicidio, oltre il sicario che preme il grilletto, sono coinvolti mandanti, sistemi criminali occulti, elementi dello Stato, elementi dei servizi segreti. Nelle indagini, 20 anni dopo l'assassinio di Kennedy, si giunge alla conclusione che dietro la sua morte c’era la mafia, i trafficanti di armi, l’FBI, la CIA, e i servizi segreti di altre agenzie nordamericani, inclusi elementi dello Stato. Non era il matto Lee Oswald che hanno voluto far passare come l’assassino”. 

“Dobbiamo riflettere su questi concetti che abbiamo detto oggi qui. 'Di buone intenzioni è lastricato il cammino all’inferno', per dirla come il giurista uruguaiano Enrique Véscovi nel suo libro Introduzione al Diritto, perché crediamo in quelli che parlano difendendo le istituzioni. Come possiamo supporre e pensare che ci sono giudici corrotti, poliziotti corrotti, legislatori corrotti, capi di Stato corrotti? Ci sono. Ed oggi, come risultato, ci troviamo in un inferno abbastanza grande."

(*) Jorge Eduardo Scagni, è, inoltre, direttore del quotidiano Visión
Ciudadana di San José; e Pablo Fernández Acheriteguy, è giornalista ed autore del libro "Patas Cortas, el camino de la corrupción en San José"

Foto © Corina Fernández

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