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La corsa sfrenata agli armamenti che non si ferma

La Casa Bianca ha pubblicato lo scorso venerdì i dettagli della proposta di bilancio del presidente Joe Biden, per l’anno fiscale 2022, che mira a portare la spesa per la difesa a 753 miliardi di dollari. Si tratta di un aumento di ben 10 miliardi di dollari rispetto a quanto stanziato per l’anno 2021: 38 miliardi saranno utilizzati per programmi relativi alla difesa presso il Dipartimento dell’Energia e altre agenzie federali, 715 miliardi finanzieranno invece il Pentagono.  Di questi ultimi, in particolare, 112 andranno alla ricerca e allo sviluppo nella difesa (il valore più alto mai raggiunto), mentre 24,7 alla modernizzazione delle forze nucleari e infine 12 per l’acquisto di 85 caccia F-35.
Non mancano all’appello 20,4 miliardi di dollari per l’ammodernamento dei sistemi di difesa missilistica. Thomas Karako, direttore del Missile Defense Project al Centro Studi Strategici e Internazionali, ha affermato nel merito che “finalmente, l’impresa sembra avviarsi verso una nuova visione della difesa missilistica, manifestata da nuovi sforzi sui sensori spaziali, sulla difesa da minacce ipersoniche, missili da crociera e su altre tecnologie di prossima generazione”.
Una chiara risposta agli avanzamenti tecnologici di Russia e Cina in questo settore che, come citato nell’Integrated Air and Missile Defense in Multi-Domain Operation, pubblicato dall’Association of the United States Army, superano gli Stati Uniti nella ricerca e nello sviluppo di missili ipersonici. Nel 2019, ricordiamo, Mosca aveva presentato il missile ipersonico Avangard, in grado di raggiungere 27 volte la velocità del suono; una mossa clamorosa, che aveva avuto origine dal ritiro degli Stati Uniti dal Trattato sui missili anti-balistici nel 2002. “Abbiamo dovuto creare queste armi in risposta al dispiegamento del sistema di difesa missilistica strategica degli Stati Uniti, che era in grado di neutralizzare il nostro intero potenziale nucleare”, aveva affermato il presidente russo Vladimir Putin durante una videoconferenza con Gerbert Jefremov nel settembre 2020. La corsa agli armamenti non è dunque prossima a ridimensionarsi, continua bensì a crescere senza freni, cavalcando l’onda dell’isteria generata da quelli che Washington considera i più grandi avversari della sua egemonia.

Washington aumenta la spesa per affrontare le “nuove minacce”
L’obbiettivo di questo colossale aumento di spesa, che raggiunge giorno dopo giorno livelli sempre più alti (più dei 740,5 miliardi di budget richiesti da Trump), è stato ribadito venerdì scorso dal vice-segretario alla Difesa Kathleen Hicks: “Dobbiamo affrontare le minacce avanzate e persistenti provenienti da Russia, Iran, Corea del Nord". Un’attenzione di rilievo, tuttavia, è stata posta nei confronti della Cina, per cui “questo budget adotta un approccio chiaro e fornisce gli investimenti per dare priorità alla sfida Cina. La Repubblica Popolare Cinese è diventata sempre più competitiva nella regione indo-pacifica e in tutto il mondo. Ha la capacità economica, militare e tecnologica per sfidare il sistema internazionale e gli interessi americani al suo interno”, ha affermato Hicks. Il Pentagono ha intenzione di stanziare 5,1 miliardi di dollari per rafforzare la deterrenza nel Pacifico nei confronti della “minaccia” rappresentata dalla Cina. Una cifra a cui andrebbero aggiunti i 27,4 miliardi di dollari richiesti al congresso dal capo dello U.S Indo-Pacific Command, Philip Davidson, per costruire attorno a Pechino una schiera di basi missilistiche e sistemi satellitari che comprendono una costellazione di radar su piattaforme spaziali. Manovre che si stanno concretizzando, mentre la pressione contro il “dragone” si fa di giorno in giorno sempre più intensa: Christopher Maier, scelto per essere l'assistente Segretario alla difesa per le operazioni speciali e i conflitti a bassa intensità, ha affermato questa settimana che nell’isola di Taiwan, potrebbero essere inviati guerriglieri al fine di istruire le forze taiwanesi per resistere ad un eventuale "sbarco anfibio" da parte di Pechino. Ennesima ingerenza in quello che Pechino considera uno dei suoi affari interni. "L'interferenza di forze esterne è inaccettabile", ha affermato il portavoce del ministero degli Esteri cinese Zhao Lijian, avvertendo Washington e Seoul di non "giocare con il fuoco".
Il 20 maggio, inoltre, un cacciatorpediniere lanciamissili classe Arleigh Burke, lo Uss Curtis Wilbur della settima flotta statunitense, ha attraversato le isole Paracel (rivendicate da Pechino), nel Mar Cinese Meridionale, dopo aver navigato lungo lo stretto di Taiwan. 
Inoltre, come se la pressione militare non fosse sufficiente, anche il teatro mediatico si sta direzionando verso una delegittimazione ed un isolamento sempre più forte della Cina: in effetti, è iniziata la caccia all’untore responsabile della diffusione del Covid-19. Lo stesso Joe Biden, a seguito di indiscrezioni dei servizi segreti statunitensi in merito a tre ricercatori dell'istituto di virologia di Wuhan ammalati già nel novembre 2019, ha dichiarato mercoledì di aver ordinato alla comunità di intelligence statunitense di raddoppiare i propri sforzi nell'investigare le origini della pandemia di COVID-19 e di ottenere risposte entro 90 giorni. Lo stesso direttore dell'Istituto nazionale di malattie infettive e consigliere della Casa Bianca sul Covid, Anthony Fauci, ha dichiarato di non essere convinto sull’origine naturale del virus e che “dovremmo indagare su ciò che è successo in Cina”. Riflettendo sulla questione dell’eventuale origine non naturale del virus, è interessante sottolineare come siano stati proprio gli Stati Uniti, a commissionare lo studio di nuovi coronavirus a un gruppo chiamato EcoHealth Alliance, per poi trasferirli all’Istituto di Wuhan. Un finanziamento approvato con il sostegno dell’Istituto nazionale per le allergie e le malattie infettive, un’agenzia diretta dallo stesso Fauci, secondo quanto riportato da Newsweek.
In conclusione, le “nuove minacce” da combattere, alimentate dall’attuale propaganda mediatica, stanno giustificando una delle più preoccupanti e gravi corse agli armamenti della storia, coinvolgendo sempre più nazioni negli investimenti militari e spingendo i bilanci della difesa verso un ipertrofico incremento. Quindi, mentre l’umanità aspetta la fine dell’emergenza pandemica, il pianeta sta vivendo una delle sue emergenze più pericolose, la quale non viene né compresa né tantomeno percepita. Si tratta del rischio prossimo ed incombente di una Terza guerra mondiale.

Foto © Imagoeconomica

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