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Le ong presenti nella Striscia, da Medici Senza Frontiere a Save The Children, affidano alla rete le parole di medici, operatori e bambini: un vero e proprio diario quotidiano. L'appello di Emergency

“Ho vissuto le offensive israeliane del 2008 e del 2014, ma l’operazione militare che stiamo vivendo oggi è molto più dura e più terrificante di qualsiasi altra avvenuta in precedenza”. Inizia così il racconto di Aymen al-Djaroucha, coordinatore di Medici Senza Frontiere a Gaza. Un racconto affidato al sito di Msf e postato sui social che punta a spiegare cosa sta accadendo nell’inferno della Striscia. Nessuna analisi geopolitica, ma un semplice “diario” volto ad accendere i riflettori sulla situazione e a mostrare gli effetti del conflitto in corso. Di fatto, le ong stanno riuscendo dove i giornalisti non possono arrivare, sopperendo a un vuoto informativo dovuto all’assenza di cronisti internazionali nei luoghi del bombardamento.

“I bombardamenti sono costanti, notte e giorno, non si fermano mai. Tutto è preso di mira: strade, case, palazzi. Gaza è lunga solo 40 chilometri, e ovunque cadano le bombe, l’esplosione si sente sempre” racconta. “Il condominio di Gaza City in cui vivevo con mia moglie, mia madre e i miei figli è stato danneggiato da un attacco aereo venerdì scorso. Il custode dell’edificio ha ricevuto una chiamata dagli israeliani che gli dicevano che tutti i residenti dell’edificio dovevano evacuare il palazzo perché sarebbe stato colpito. Sappiamo che questa chiamata arriva a pochi minuti o a un’ora prima dell’arrivo delle bombe. Siamo scesi dall’ottavo piano lungo le scale in meno di un minuto. Ho cercato di portare tutti in un posto sicuro il più lontano possibile”.

Il racconto del bombardamento
“Ricordo che mia moglie mi ha detto di non voler vedere il posto dove era cresciuta, un posto pieno di suoi ricordi, andare distrutto. Subito dopo ho sentito l’esplosione e ho visto la polvere, era tutto in fiamme. L’edificio è danneggiato, molti appartamenti sono stati distrutti e non so cosa sia rimasto del nostro. Non so nemmeno se potremo tornare a vivere lì. Da quel giorno la mia famiglia vive con mia suocera e io dormo in ufficio. Lavoro quasi tutto il tempo. Sembra un incubo a occhi aperti”.

Molte famiglie che abitano nella parte est di Gaza sono scappate verso quella occidentale perché temono un’invasione di Israele via terra. Stanno cercando rifugio vicino ad Al-Shifa, l’ospedale più grande di Gaza, e nelle scuole gestite dall’UNRWA. Ma anche quella zona, come mostrato dalla foto qui sotto, non è stata risparmiata dai bombardamenti.

Danneggiata anche la clinica di Medici Senza Frontiere
Tra il 15 e il 16 maggio i bombardamenti hanno interessato la zona dove sorgono gli uffici e la clinica della ong: “Ricordo le urla degli uomini e delle donne nel cuore della notte, è stato terrificante” racconta Aymen al-Djaroucha. I feriti hanno fratture e lesioni causate da schegge di bombe e proiettili. “I bisogni sono molti, soprattutto in chirurgia e terapia intensiva. I pazienti sono donne, uomini, bambini: nessuno viene risparmiato. È il destino degli abitanti di Gaza. In pochi anni abbiamo vissuto diverse guerre e non sappiamo quando finirà, quando finalmente potremo vivere una vita normale”.


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“La situazione è orribile da una settimana, il numero di vittime civili aumenta ogni giorno. Quando ho visto i danni nell’area e alla nostra clinica la mattina dopo l’attacco, sono rimasto senza parole. Ogni cosa è stata colpita: case, strade, alberi. Nella clinica, dove vediamo oltre mille bambini all’anno con ustioni e ferite da trauma, mancava un muro e i detriti erano ovunque. La clinica ora è chiusa non solo per i danni subiti, ma anche perché la strada per accedervi è stata totalmente distrutta e la zona è ancora pericolosa” racconta Mohammed Abu Mughaiseeb, vicecoordinatore medico di Medici Senza Frontiere a Gaza.

“La situazione è critica” denuncia Ely Sok, capomissione della ong nei Territori palestinesi: “I feriti aumentano e personale e forniture non possono entrare. In 24 ore si esaurirà la disponibilità di sacche di sangue e non si potranno più effettuare trasfusioni. Abbiamo urgente bisogno di predisporre un accesso sicuro per lo staff e per le forniture mediche”. Nel mirino, ovviamente, il blocco imposto da Israele con la chiusura dei confini della Striscia.

Le voci dei bambini di Gaza
Ed è proprio contro il blocco della Striscia che si scaglia un’altra ong, Save The Children, “a Gaza i servizi elettrici sono stati gravemente danneggiati dalle bombe e i servizi salvavita non ci sono più. I rifornimenti di carburante verso la striscia di Gaza sono bloccati perché Israele ha chiuso i confini che ne permetterebbero l’entrata. La situazione è drammatica perché molti dei servizi erano già sull’orlo del baratro a causa del COVID-19 e con scorte mediche limitate per via del blocco in vigore. Chiediamo quindi che il blocco su Gaza venga revocato urgentemente perché le vite dei bambini sono in serio pericolo. Il governo di Israele e tutte le parti devono consentire agli operatori umanitari di raggiungere i minori con aiuti salvavita e l’ingresso senza ostacoli di rifornimenti essenziali e carburante”.

Ma è ai bambini che Save The Children ha consegnato il racconto di Gaza sotto le bombe: “Ogni volta che c’è un attacco aereo ci spaventiamo, ogni volta che proviamo a scappare quando arriviamo alla porta c’è un altro attacco”.





“La situazione è terrificante. I bambini stanno morendo, siamo bombardati da ogni parte” denuncia Yasmine, una bambina di 11 anni.





L’appello di Emergency: “Cessate il fuoco”
“Cambiano i pretesti della guerra, ma non cambia mai la sostanza: i bombardamenti aerei sulla Striscia di Gaza, i razzi sparati su Israele si traducono in paura, vite perse, persone ferite” denuncia Emergency con una nota pubblicata sui social il 18 maggio. “Il conflitto israelo-palestinese è ormai la storia angosciante di un circolo vizioso di violenza e negazione di diritti: l’embargo e la segregazione in cui vivono da anni i palestinesi e la militarizzazione estrema di Israele si autoalimentano a vicenda senza fine. È un circolo che produce morti, sfollati, feriti, persone che non vedono futuro fuori dalla violenza. La popolazione civile è sempre la prima vittima: inerme, inascoltata, impotente, a volte strumentalizzata. Vediamo accadere lo stesso in altre parti del mondo: neanche questa crisi sanitaria mondiale è riuscita a fermare la violenza delle armi e invertire la rotta”. Per questo Emergency “si unisce agli appelli internazionali per il cessate il fuoco e l’avvio di un processo di pace per il rispetto dei diritti umani e della vita dei civili”.

Aggiornamento ore 15 del 20 maggio: negato ancora l’ingresso a un team MSF
È stato di nuovo impedito l’ingresso nella Striscia di Gaza ad un team di Medici Senza Frontiere, nonostante i crescenti bisogni umanitari causati dal conflitto. Intanto gli ospedali sono carenti di molti materiali per curare i feriti, a cominciare dalle sacche di sangue.

“Sono trascorsi ormai più di dieci giorni dall’inizio dei bombardamenti israeliani sulla Striscia e stanno aumentando i bisogni umanitari, con oltre 1.400 feriti e decine di migliaia di sfollati” denuncia Ely Sok, capomissione di MSF nei Territori palestinesi. “Il sistema sanitario, che già deve fronteggiare numerose carenze anche quando non ci sono bombardamenti, non dispone dei materiali fondamentali per curare i feriti, a cominciare dalle sacche di sangue. Non sappiamo ancora quando l’équipe di MSF sarà in grado di entrare a Gaza per unirsi ai nostri colleghi già sul posto. Chiediamo che siano riaperti immediatamente i valichi di frontiera e che sia garantita una circolazione sicura di personale e forniture umanitarie per scongiurare una catastrofe ancora più grave”.

Tratto da: micromega.net

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