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Continuano le pericolose traversate nel Mediterraneo dove, la scorsa settimana, due imbarcazioni sono state rimpatriate in Libia. “Nell’ultima chiamata ci dicevano che avrebbero preferito morire in mare che tornare nell’inferno libico” ha dichiarato Alarm Phone su twitter. Anche l’Ong tedesca Sea Watch ha riportato la testimonianza di un “salvataggio” da parte della guardia costiera libica, che ha usato violenza sui migranti in difficoltà per riportarli nel luogo dal quale stavano scappando. Secondo Unhcr (Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati) solo quest’anno sono state rimpatriate in Libia 5.500 persone. Una dichiarazione di Unicef ha invece fatto luce sulle condizioni dei quasi 1.100 bambini migranti che sono stati “salvati” e portati in centri di detenzione dove non hanno accesso ad acqua potabile, né a condizioni igieniche adeguate e ad assistenza sanitaria. Più di 66 mila bambini in effetti, fra migranti e rifugiati, si trovano in questo momento in Libia in condizioni che li espongono ad abusi e sfruttamenti. Anche l’Onu e la commissione europea hanno riconosciuto che la nazione africana non può essere considerata un posto sicuro per i migranti, eppure alcuni elementi emersi recentemente fanno pensare che il nostro Paese abbia un ruolo nel sostegno della guardia costiera libica.

Le testimonianze dei rimpatri
Uno dei due rimpatri è avvenuto sotto gli occhi della Sea Watch 4 che, in questi giorni, ha effettuato sei salvataggi in sole settantadue ore, salvando 455 persone, fra cui 194 minori, che attualmente si trovano a Trapani in attesa dello sbarco. Proprio durante queste operazioni di soccorso, la nave è stata testimone delle violenze subite dai migranti. "Ecco come si svolge un'intercettazione della cosiddetta guardia costiera libica” ha commentato l’Ong su twitter “persone in pericolo picchiate e costrette con la forza a tornare nell'inferno da cui fuggivano”.
Pochi giorni dopo è arrivata la notizia che anche un’imbarcazione che ospitava 95 migranti è stata riportata in Libia. Un comunicato congiunto redatto da Mediterranea Saving Humans e Alarm Phone racconta nel dettaglio la dinamica di questo rimpatrio illegale. I migranti in pericolo avevano contattato Alarm Phone per comunicare che il motore era in avaria, che stavano imbarcando acqua e che vedevano due navi che avrebbero potuto prestare loro soccorso, ma che invece non stavano facendo nulla per aiutarli. Le navi mercantili in questione erano la VOS Aphrodite e l’Olympisky Prospect che, trovandosi nelle vicinanze, erano state allertate dalla guardia costiera italiana, sotto precisa richiesta della cosiddetta guardia costiera libica. Alarm Phone ha riportato come i migranti fossero stati presi dal panico, arrivando persino a buttarsi in mare, dal momento in cui si erano resi conto che i mercantili non avevano intenzione di aiutarli, ma di attendere che la guardia costiera libica li rimpatriasse.


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“Preferiamo morire, che essere riportati nell’inferno libico”, sono state le parole che le persone in pericolo hanno riferito durante un contatto telefonico, “abbiamo rischiato la vita per scappare, siamo in mare da giorni, ora dobbiamo andare in Italia”. Nel comunicato pubblicato da Mediterranea Saving Humans è stata sottolineata l’illegalità di queste azioni che vanno dal non prestare aiuto fino ad assegnare una zona di competenza alle autorità libiche. “L’attribuzione della zona SAR alla Libia è in aperta violazione della Convenzione di Amburgo del 1979 e delle linee guida dell’IOM sulle zone SAR”, hanno scritto le ong sul comunicato. Una delle condizioni fondamentali per il salvataggio generalmente è infatti quella di portare le persone in un luogo sicuro detto PoS, cosa che spesso non viene fatta e i migranti riportati in Libia finiscono per subire maltrattamenti e abusi. Il comunicato in effetti afferma che “impedire loro di chiedere asilo e rimandarli nel luogo da cui fuggono è un crimine contro l’umanità. Coordinare chi li sta inseguendo, fornendo i loro spostamenti mentre cercano di fuggire dai loro rapitori, come l’agenzia europea Frontex anche in questo caso ha dimostrato di fare, è in aperta violazione della Convenzione di Ginevra, firmata dagli stati europei”.
Se le informazioni riportate dalle due associazioni umanitarie sono vere, si sta aprendo un vergognoso scenario di collaborazione fra esponenti italiani, europei e libici che invece di prestare soccorso alle persone in difficoltà ritardano volontariamente i soccorsi per evitare che i migranti arrivino sulle coste europee.

Guardia costiera libica e Ong
Negli anni seguenti, con la cessazione dell’operazione “Mare Nostrum”, le navi delle Ong hanno avuto un ruolo sempre maggiore e rilevante nel salvataggio dei migranti. Questo avrebbe però costituito un problema per la Dna, che per far eseguire gli arresti aveva bisogno di informazioni e prove che molte Ong si rifiutavano di fornire.
Partirono diverse indagini sulle attività delle navi delle associazioni umanitarie, accompagnate, secondo quanto riportato da “l’Internazionale” da una forte diffamazione perpetuata dall’allora ministro degli interni Marco Minnitti. Sempre la testata giornalistica ha scritto che secondo Emma Bonino ci sarebbe stato una sorta di piano “per cambiare la politica europea nel Mediterraneo centrale”. Secondo questa visione le azioni fondamentali da compiere erano spostare l’attenzione dai salvataggi alla lotta contro la tratta di essere umani e la protezione dei confini, attaccare le Ong e creare una guardia costiera libica presumibilmente addestrata da Frontex per intercettare i migranti e riportali in Libia, cosa che le navi italiane ed europee non potevano fare. Quest’ultimo punto, in particolare, ha suscitato non poche polemiche con lo stesso Stato italiano accusato di essere stato complice di una serie di operazioni che riportavano i migranti in fuga nelle coste libiche, dove spesso e volentieri i diritti umani più elementari vengono violati. Dagli elementi emersi di recente in effetti, all’interno della stessa guardia costiera libica si sarebbero infiltrati diversi trafficanti di esseri umani. Uno di questi sembrerebbe essere proprio l’ufficiale libico Bija che, anche se scarcerato dalla procura di Trapani per mancanza di prove, secondo gli ispettori dell’Onu sarebbe da considerare come una delle teste di tali traffici.

Foto d'archivio © Imagoeconomica

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