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Il rapporto della famosa Ong israeliana sulla vita quotidiana dei palestinesi

La più importante ONG israeliana per i diritti umani, B’Tselem, ha di recente pubblicato un rapporto in cui descrive Israele come un “regime di apartheid”, fornendo minuziosamente le motivazioni che concernono ogni singolo aspetto della vita quotidiana dei palestinesi. In particolare, sottolinea B’Tselem, “l’intero territorio compreso tra il fiume Giordano e il mar Mediterraneo è governato da un unico regime che lavora per mantenere la supremazia ebraica.[…] Un regime che utilizza leggi, pratiche e violenza organizzata per stabilire e mantenere la supremazia di un gruppo su un altro è un regime di apartheid”. Il termine apartheid (dall’afrikaans, “separazione”) rievoca alla mente la discriminazione e segregazione razziale istituzionalizzata nel Sud Africa dal 1948 fino al 1994. La popolazione non bianca sudafricana viveva infatti in condizione di assoluta inferiorità e oppressione, privata dei diritti umani fondamentali e deportata e relegata in degli spazi appositi, i cosiddetti bantustan. Nel diritto internazionale l’apartheid - al pari della schiavitù e del genocidio - è considerato un crimine contro l’umanità.
Il rapporto è un unicum nel lavoro di B’Tselem in quanto l’Ong ha sempre limitato la sua attività alla Cisgiordania e alla Striscia di Gaza, mai al resto dei territorio della Palestina storica (dal 1948 sotto sovranità israeliana), in piena linea con la “soluzione dei due stati” a cui B’Tselem si è sempre dichiarata propensa. L’ong non può infatti evitare di notare che lo stesso sistema legislativo israeliano metta nero su bianco la discriminazione, in particolare nella cosiddetta “legge-nazione” (approvata dalla knesset nel 2018) in cui vengono riconosciute come unica autodeterminazione e nazionalità solo quelle dei cittadini ebrei.
L’importanza di questo rapporto sta nel fatto che proviene da un’organizzazione della stessa società israeliana, dunque la speranza è che possa incidere positivamente sui cittadini israeliani, facendoli uscire dalla bolla di mistificazione della realtà in cui vengono fatti crescere e portandoli dunque in piazza, non solo per protestare contro un primo ministro accusato di corruzione - da mesi proseguono le manifestazioni contro Netanyahu - ma per lottare contro l’intero regime, facendo da megafono alle urla disperate della popolazione autoctona palestinese a cui vengono negati i diritti più basilari. Lo storico Ilan Pappè e la filologa Nurit Peled-Elhanan, entrambi israeliani, spiegano molto bene nei loro libri la propaganda a livello scolastico-informativo (basata sulla distorsione della realtà e mistificazione dell’altro) in cui sono immersi fin da appena nati gli israeliani.
La notizia è subito stata ripresa da importanti giornali quali CNN, The Guardian, AP, Le Monde e El País ma, da noi, il silenzio. I giornali italiani, tanto solerti a riportare in ogni pagina gli aggiornamenti sulla campagna di vaccinazione israeliana (anche lì omettendo che i palestinesi ne sono esclusi, la cosiddetta “apartheid sanitaria”), non hanno battuto ciglio su questa notizia censurandola quasi più degli stessi giornali israeliani. Sono veramente poche le eccezioni (ad esempio un articolo pubblicato dall’Avvento).
E’ necessario tuttavia fare una parentesi conclusiva: tale apartheid ai danni del popolo palestinese non è una recente manifestazione o una scoperta di B’Tselem. I palestinesi da decenni ce lo stanno dicendo. Lo stesso progetto sionista, nato alla fine dell’Ottocento, nasce come un progetto coloniale, razzista e di pulizia etnica che non poteva non portare che, una volta ridotta la popolazione autoctona ad una “minoranza”, ad un regime di apartheid. Ora che B’Tselem ci ha ricordato questo fatto che era da tempo sotto gli occhi di tutti, sta a noi, società civile, agire: unirci alle campagne del BDS e boicottare il regime israeliano per porre fine, così come è stato possibile in Sud Africa, all’apartheid e al colonialismo che ammazzano ogni giorno il popolo palestinese.

Foto © Imagoeconomica

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