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Nel generale silenzio dei grandi media, un nuovo omicidio mirato è stato compiuto ai danni dell’Iran, con ogni probabilità da agenti israeliani: ieri, Mohsen Fakhrizadeh, definito addirittura il “padre della bomba iraniana”, è stato ucciso in un attentato che gli ha lasciato poche possibilità di salvarsi, probabilmente causando altre due o tre vittime.

L’uccisione dello scienziato iraniano
Mohesen Fakhrizadeh, oltre che alto ufficiale delle Guardie della Rivoluzione, era professore di fisica alla Università Imam Husseini di Tehran ed era stato a capo del Centro di Ricerca di Fisica dell’Iran: secondo gli israeliani, aveva guidato il progetto segreto Amad, sviluppato dall’Iran tra il 1999 ed il 2003, allo scopo, sempre secondo gli occidentali, di sviluppare armi nucleari.
Un progetto terminato a seguito dell’accordo con l’Occidente, realizzato dopo lunghe trattative nel 2015, poi rinnegato nel maggio del 2018 dall’amministrazione Usa di Donald Trump, molto legata ai settori più oltranzisti dell’establishment israeliano: tanto che il governo Usa ha anzi reso più dure le sanzioni contro Tehran.
Il nome di Fakhrizadeh era stato del resto espressamente citato da Benjamin Netanyahu nel 2018, quando il primo ministro israeliano aveva annunciato che il Mossad era venuto in possesso di oltre 100mila file degli archivi segreti iraniani relativi al suo programma atomico. In quell’occasione, il premier israliano aveva specificamente aggiunto, a proposito dello scienziato, una frase che poco lasciava all’immaginazione degli ascoltatori: «Ricordate questo nome». Possiamo definirla oggi una promessa che sembra Israele abbia mantenuto.

Gli assassini mirati israeliani
La strategia dello Stato ebraico di sviluppare esecuzioni di alti esponenti dei propri avversari politici non è certo nuova, e Fakhrizadeh non è che l’ultimo nome che si aggiunge ad una lunga lista, senza che mai si sia levata una voce di condanna di questo modo di procedere israeliano, in evidente spregio di tutte le norme del diritto delle genti.
A gennaio di quest’anno, ricorderete forse l’assassinio del generale iraniano Qassem Soleimani in un attacco aereo condotto in Iraq dalle forze aree statunitensi, certamente con il supporto dell’intelligence di Tel Aviv, oltreché di quella statunitense.
Lo scorso agosto, sempre in Iran, un commando israeliano, secondo notizie che l’autorevole New York Times ha pubblicato su ispirazione di fonti dell’intelligence Usa, è stato l’autore dell’uccisione di Abdullah Ahmed Abdullah, noto come Abu Muhammad al-Masri, un esponente di Al Qaeda accreditato degli attacchi del 1998 contro le ambasciate americane in Kenia e Tanzania, che avevano causato 224 vittime, oltre a centinaia di feriti.
A Tehran, dunque, il 7 agosto scorso, due uomini su di una motocicletta avrebbero colpito a morte l’estremista, di origine egiziana, considerato il numero due di quel che resta dell’organizzazione terroristica, insieme a sua figlia, che, sempre secondo il NYT, sarebbe anche la vedova di Hamza bin Laden, figlio di Osama Bin Laden, come si sa eliminato in un raid delle forze speciali Usa in Pakistan nel 2011.
Queste notizie non sono state finora né confermate né smentite dalle massime autorità della sicurezza Usa, il che lascia presumere che abbiano un solido fondamento: a dimostrazione del fatto che l’amministrazione Trump ha delegato alcune delle più complesse operazioni speciali a Israele, che sembra abbia costruito nel tempo una proprio solida rete operativa anche all’interno dell’Iran stesso.

Una lunga serie di incursioni armate
Israele ha del resto una lunga storia di interventi militari che hanno violato in tempo di pace i confini di Stati sovrani del Medio Oriente.
Basti pensare a quando il 7 giugno 1981 i cacciabombardieri israeliani, dopo aver percorso 1600 chilometri, bombardarono il reattore nucleare iracheno di Osirak, presso Bagdad, attacco nel quale perse la vita anche uno scienziato francese, oltre ad una decina di soldati iracheni.
Ancora, quella volta, vi fu una certa reazione nell’opinione pubblica internazionale, anche da parte statunitense: più che altro per il fatto che si temeva ancora che iniziative unilaterali israeliane provocassero reazioni negative in Medio Oriente anche fra i maggiori alleati nordamericani, basti pensare all’Arabia Saudita ed alla Turchia.
Nel 2007 Israele ha confermato la paternità del raid, noto come Operazione Babilonia, quando la televisione dello Stato ebraico ha trasmesso il filmato dell’attacco, così come era stato registrato dagli aerei con la stella di David.
Il 6 settembre 2007 le forze aeree israeliane, su ordine del premier Ehud Omer, attaccarono e distrussero, con un carico di 17 tonnellate di bombe, un reattore a grafite raffreddato a gas a Kibar, tra le città siriane di Raqqa e Deir Ezzor: l’attacco, condotto da otto velivoli da combattimento, venne motivato con la possibilità che questo impianto siriano potesse produrre il plutonio necessario per una bomba atomica.
Anche in questo caso, l’operazione venne ufficialmente confermata dalle autorità israeliane molto tempo, nel marzo 2018.
Ma oggi sappiamo che da allora le forze aeree ed i commando israeliani hanno compiuto centinaia di operazioni, più o meno confermate, in territorio siriano, come spesso ricordato da clarissa.it.

Obiettivo Iran
Nel 2010 un virus informatico denominato Stuxnet veniva introdotto con successo nei sistemi informativi degli impianti nucleari iraniani, infettando migliaia di computer e bloccando le centrifughe utilizzate per l’arricchimento dell’uranio.
Nel gennaio dello stesso anno, intanto, Massoud Ali Mohammadi, altro professore di fisica all’Università di Teheran, veniva ucciso dall’esplosione di una motocicletta fuori dalla sua casa nella capitale iraniana.
Nel novembre, poi, era la volta di Majid Shahriari, scienziato coinvolto nel programma nucleare iraniano, vittima di un attentato dinamitardo, insieme ad un suo collega, che è invece fortunatamente sopravvissuto.
Un anno dopo, il 12 novembre 2011, l’esplosione di un deposito di munizioni dei pasdaran alla periferia di Tehran ha provocato la morte di 36 persone, tra cui il generale Hassan Moghadam, responsabile dei programmi di armamento per l’Unità d’élite.

Uccisioni “mirate”
Israele si è intanto da decenni concentrata sull’uccisione “mirata” di esponenti della resistenza e dell’opposizione palestinese. In questo caso, le stime variano da più 200 a ben oltre 450 Palestinesi, secondo le diverse fonti ed i diversi tipi di fattori presi in considerazione nelle analisi pubblicate.
La cosiddetta “prevenzione mirata” (focused foiling) ha infatti spesso coinvolto Palestinesi del tutto innocenti, colpevoli solo di trovarsi fisicamente vicini all’obiettivo dell’attacco israeliano.
Anche in questo tipo di operazioni, Israele non si è preoccupata di violare la sovranità di Paesi dell’area, come quando, nel gennaio 2010, un leader di Hamas, Mahmoud al-Mabhouh, fu assassinato in un hotel di Dubai da un commando di 18 agenti del Mossad, entrati nel paese del Golfo persico con falsi passaporti di Paesi occidentali e poi dileguatisi a cose fatte.
Dopo iniziali prese di posizione critiche su questo tipo di attacchi, ovviamente giustificati dal governo israeliano come misure anti-terrorismo – è sceso un singolare silenzio, nonostante l’evidente incompatibilità con i più basilari principi su cui dovrebbe fondarsi uno Stato di diritto.
Dopo questo nuovo episodio, le domande di fondo oggi sono due: la prima, fino a che punto l’Iran potrà tollerare, senza fornire risposta, che sul suo territorio avvengano operazioni di questo tipo, che, oltre a violare norme internazionali, dimostrano la notevole fragilità dei propri sistemi di sicurezza.
Il secondo interrogativo riguarda l’ipotesi che chi compie queste azioni intenda proprio spingere l’Iran ad una reazione che giustifichi interventi ben più massicci contro il Paese shiita.
I muscoli esibiti dagli Usa poco prima di questo attentato, con una missione a lungo raggio dei propri bombardieri strategici, di cui clarissa.it ha dato tempestivamente notizia, contengono un chiaro messaggio al riguardo.
In questo caso, le conseguenze di operazioni del genere potrebbero essere ben più gravi ed imprevedibili nei loro possibili ulteriori sviluppi. In entrambi i casi, il silenzio assordante dei media occidentali comporta una grave responsabilità.
(28 Novembre 2020)

Tratto da: clarissa.it

Foto © Jørn Eriksson/Flickr

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