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di Paolo Mastrolilli
In Messico comanda ancora lui, El Chapo. Inutile farsi illusioni. Anche se sta chiuso nel penitenziario ADX di Florence, l'Alcatraz delle Montagne Rocciose, attraverso i figli gestisce l'ordine a Sinaloa, impone il coprifuoco per fermare il contagio del coronavirus, e distribuisce aiuti alle famiglie impoverite dall'epidemia. Una strategia che dovrebbe preoccupare anche l'Italia, perché il comportamento delle mafie per il controllo del territorio si assomiglia un po' dappertutto.
In teoria, Joaquín Archivaldo Guzmán Loera (in foto) era un uomo finito. Il 17 luglio dell'anno scorso, dopo essere stato riconosciuto colpevole nel processo tenuto a Manhattan, il sanguinario capo del Cartello di Sinaloa era stato condannato all'ergastolo, e costretto a restituire 12,6 miliardi di dollari incassati col narcotraffico. Dopo la lettura della sentenza aveva lanciato un bacio alla moglie Emma Coronel Aispuro, presente in aula, ed era stato trasferito nel carcere di massima sicurezza di Florence, Colorado, dove si trova ancora in compagnia dell'attentatore dell'11 settembre Zacarias Moussaoui, quello di Oklahoma City Terry Nichols, quello della maratona di Boston Dzhokar Tsarnaev, e l'Unabomber Ted Kaczynski. Il nuovo presidente Lopez Obrador aveva celebrato il fatto che «El Chapo non comanda più in Messico», anche se a marzo ha suscitato qualche polemica, quando è andato a Badiraguato per salutare María Consuelo Loera Pérez, la madre del boss.
Con El Chapo chiuso dentro l'Alcatraz delle Montagne Rocciose, la guida del cartello di Sinaloa era passata al luogotenente Ismael «El Mayo» García. Alle sue spalle però c'erano Iván Archivaldo Guzmán e Jesús Alfredo Guzmán, anche noti come «Los Chapitos», i figli del capo destinati a comandare. Naturalmente la caduta del boss aveva scatenato una guerra tra i cartelli, con Jalisco Nueva Generación che puntava a rimpiazzare Sinaloa.
Il coronavirus però ha cambiato tutto, come ha denunciato lo Yucatan Times. Il governo federale è stato prudente, promuovendo misure facoltative per contenere il contagio, e allora «Los Chapitos» hanno approfittato del vuoto. I loro uomini hanno ripreso a pattugliare armati le strade di Culiacán, capitale di Sinaloa, imponendo il coprifuoco: «Alle dieci di sera - avverte un video diffuso dal Cartello - tutti devono stare in casa per il coronavirus, altrimenti saranno puniti. Questi sono ordini che vengono dall'alto. Non stiamo giocando». No, non giocano. Chi viene beccato in strada sparisce per almeno due giorni e viene sottoposto a torture, per evitare che ripeta l'affronto e dare l'esempio. In genere si tratta di mazzate con bastoni e multe da pagare, ma per chi non si adegua può finire peggio.
Così i narcos si sostituiscono allo Stato, impongono il coprifuoco e controllano il territorio, per fare il proprio interesse e il bene della popolazione. Infatti il bastone si accompagna alla carota, sotto forma di aiuti alle famiglie impoverite dall'epidemia. A questo aspetto ci pensa Alejandrina Gisselle Guzman, la figlia del boss che ha fondato la marca di abbigliamento «El Chapo 701», ispirata a quando la rivista Forbes aveva inserito suo padre al 701° posto nella graduatoria delle persone più ricche al mondo. Alejandrina gira per Guadalajara e altre città distribuendo scatole di cartone con disegnata sopra la faccia del Chapo, che contengono cibo, mascherine e disinfettanti. Lo stesso fanno Jalisco Nueva Generación e altri cartelli, per conquistare la popolazione. Due anni fa ero stato a Tecalitlan, dove il 31 gennaio 2018 erano stati rapiti Raffaele e Antonio Russo e Vincenzo Cimmino, e il paese era sotto il controllo assoluto dei narcos. Adesso il virus è solo un'altra occasione, per dimostrare chi comanda davvero in Messico.

Tratto da: La Stampa

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