di Karim El Sadi
Colto da un malore durante il processo che lo vede accusato di spionaggio
“Prometto di rispettare lo Stato repubblicano, la Costituzione e la legge. Prometto di prendermi cura totalmente degli interessi del popolo e di preservare l’indipendenza della Nazione e la sicurezza sul suo territorio. L’Egitto oggi è un paese civile, moderno, costituzionale. Così è come il Paese nasce quest’oggi. Un Paese forte grazie al suo popolo e alla sua storia”. Furono queste le parole pronunciate con cura in diretta mondiale dall’ex presidente delll’Egitto Mohammad Morsi il giorno del suo insediamento al governo, il 30 giugno del 2012. A Piazza Tahrir migliaia di sostenitori ballavano e cantavano scandendo il suo nome dopo ore di tensione trascorse a scrutare i ballottaggi. Era un Egitto completamente diverso quello di quasi 7 anni fa. Reduce della caduta del presidente Hosni Mubarak dopo la Primavera Araba, tra le strade delle città si respirava aria di cambiamento e le elezioni democratiche (vinte da Morsi col 51,7% contro il 48,3% del rivale Ahmad Shafiq), le prime dopo quegli anni di sussulti, rappresentavano una speranza tangibile per gli egiziani. Oggi però, da ormai qualche anno, l’Egitto sembra essere sprofondato nuovamente nel buio e la morte di Mohammad Morsi, avvenuta ieri per infarto durante un’udienza del processo che lo vede imputato per spionaggio non lascia ben sperare per il futuro del paese. Nel corso del suo breve mandato il leader dei Fratelli Musulmani ha vissuto momenti di approvazione e disapprovazione popolare. Quest’ultima dovuta alle condizioni prossochè irreversibili di corruzione e povertà nelle quali riversava (e tutt’ora riversa) il Paese nel periodo post rivoluzione e che Morsi nonostante i suoi sforzi non è riuscito a risanare. Aldilà dei successi e dei fallimenti una cosa comunque è certa, Mohammad Morsi è stato il primo presidente egiziano voluto dal popolo che lo ha scelto tramite elezioni democratiche e trasparenti. Una circostanza non così scontata per un paese africano. Tutto però è finito in un lago di sangue appena un anno più tardi, quando il suo ministro della Difesa, il comandante Abdel Fattah Al Sisi, attuale presidente egiziano, lo spodestò con un colpo di stato militare incarcerandolo e prendendo in mano le redini del potere. Un golpe dietro al quale si celerebbe lo stato d’Israele, a detta del Generale di brigata dell’esercito israeliano Aryeh Eldad. ”Se il prezzo per salvaguardare la legittimità è il mio sangue, allora sono pronto a sacrificare il mio sangue per la causa della sicurezza e della legittimità di questa patria" disse durante il suo ultimo intervento pubblico del 3 luglio 2013, qualche ora prima della sua cattura. Una volta in carcere Morsi ha dovuto affrontare diversi processi delicati. Dall’accusa di aver incitato all’uccisione di manifestanti anti-islamici fuori dal palazzo presidenziale del Cairo (per la quale è stato condannato a 20 anni), per passare a quelle di cospirazione con i gruppi islamici di Hamas ed Hezbollah e di aver organizzato un’evasione di massa di islamisti dal carcere, nel 2011, accusa che gli costò la condanna a morte nel 2015, poi revocata, fino a quella di spionaggio in favore del Qatar. Ed è proprio durante l’udienza di quest’ultimo processo, al quale si è presentato ieri, che l’ex presidente è deceduto dopo un malore. Secondo una fonte giudiziaria Morsi “stava parlando di fronte al giudice da 20 minuti quando si è agitato ed è svenuto. E’ stato velocemente portato in ospedale dove in seguito è morto”. La salma è stata sepolta fuori dalla Capitale Il Cairo questa mattina. Vane le richieste del figlio Abdullah di seppellirlo nella sua città natale El Adwah con una cerimonia pubblica. Solo i famigliari e i legali infatti hanno potuto assistere ai funerali super sorvegliati dalle forze di sicurezza. Nessuno dei suoi amici, sostenitori politici o membri dei Fratelli Musulmani ha potuto presenziare. Intanto tv al-Alam ha annunciato che l'Egitto ha decretato lo stato d'emergenza temendo manifestazioni dei sostenitori dell'ex presidente.
"Che Dio conceda al nostro martire, il nostro fratello Morsi, la sua misericordia", ha commentato la notizia del decesso di Morsi il presidente turco, Recep Tayyip Erdogan, in un discorso trasmesso in tv a Istanbul accusando i "tiranni" del Cairo di essere responsabili della morte dell'ex presidente egiziano. "La storia non dimenticherà mai i tiranni che lo hanno spinto a morte mettendolo in prigione e minacciando di ucciderlo", ha concluso Erdogan. Condoglianze anche dall’emiro del Qatar, lo sceicco Tamim bin Hamad Al Thani, il quale si è stretto attorno alla famiglia dell'ex presidente egiziano Mohamed Morsi "e al popolo egiziano fraterno" in un tweet. Quello stesso popolo che Morsi ha comunque difeso fino all'istante prima di accasciarsi al suolo in aula ed esalare il suo ultimo respiro. “Paese mio, anche se hai lottato contro di me, mi sei caro. - aveva detto recitando un poema ai giudici prima che si ritirassero per aggiornare la seduta. - Paese mio, anche se non mi hai sopportato, sei onorevole”.
Una donna egiziana tiene un ritratto del deposto presidente egiziano Mohammed Morsi durante una protesta a Nasr City © ManuBrabo/AP
Condizioni carcerarie precarie
La morte dell’ex leader egiziano però non deve lasciare a bocca aperta. Numerosi ed evidenti erano i segnali che lasciavano pensare ad una cattiva condizione, volontaria o meno, della detenzione di Morsi, più volte descritta come al di sotto degli standard internazionali. Già lo scorso anno uno studio compiuto dal Detention Report Panel, un gruppo formato da alcuni parlamentari britannici e avvocati, chiese di visitare il leader islamista in carcere così da poter indagare sul suo stato di salute in cella, più volte denunciato dalla famiglia come in continuo peggioramento. Il Panel ha dichiarato di non aver mai avuto una risposta. Nel suo documento pubblicato lo scorso marzo, l’associazione scriveva nero su bianco: “Morsi sta ricevendo cure mediche inadeguate, in particolar modo per quel che riguarda il diabete e per la malattia al fegato. Crediamo che le conseguenze di queste cure inadeguate potrebbero causare rapidamente un peggioramento delle sue condizioni di salute portandolo ad una morte prematura”. L’anno passato Morsi, rinchiuso dal 2015 nella tristemente nota sezione Scorpion del carcere di Tora riservata ai prigionieri politici dove ha vissuto in isolamento per 23 ore al giorno, privato del tutto dalla visita dei familiari (solo tre volte in sei anni lo hanno potuto visitare), aveva parlato delle sue condizioni di detenzione durante l’ultima delle sporadiche visite della moglie e dei figli in prigione, accompagnati da tre membri delle agenzie di sicurezza. Uno di questi si era appuntato la conversazione della famiglia durante la quale Morsi aveva confessato di non avere un letto nella sua cella nella prigione al-Molhaq del Cairo, parte del complesso carcerario di Tora, e che aveva dolori alla schiena e al collo per aver dormito nudo sul pavimento. In quell’occasione l’ex presidente aveva anche detto loro di aver sviluppato una condizione nell'occhio sinistro per la quale il medico del carcere gli aveva annunciato che avrebbe potuto necessitare di un intervento, ma le sue richieste di essere esaminato da professionisti sanitari indipendenti erano state ripetutamente ignorate. Sarah Leah Whitson, direttrice di Human Rights Watch per il Medio Oriente, ha descritto la sua morte come “terribile, ma del tutto prevedibile” e ha puntato il dito contro “i fallimenti del governo per non avergli permesso adeguate cure mediche, così come visite da parte dei familiari”. Whitson ha poi annunciato che la sua organizzazione pubblicherà un report sulle condizioni in cui era detenuto. Lo stesso farà Amnesty International che ha chiesto l’apertura di un’inchiesta imparziale e trasparente sulle circostanze che hanno causato la sua morte così come sulle condizioni di detenzione e sul suo accesso o meno alle cure mediche. “La notizia della morte di Mohammad Morsi in tribunale oggi (ieri, ndr) è davvero scioccante e solleva diverse domande sul suo trattamento come detenuto” ha detto Magdalena Mughrabi, la vice direttrice di Amnesty. “Morsi è stato soggetto a sparizione forzata per mesi dopo il suo arresto prima che riapparisse per la prima volta di fronte ai giudici il 4 novembre 2013. In questi sei, sette anni è stato del tutto isolato dal mondo esterno”. Dello stesso parere è La Fratellanza Musulmana che ha addirittura descritto la morte del loro leader come “omicidio a tutti gli effetti” invitando i fedeli a radunarsi fuori dalle ambasciate egiziane di tutto il mondo.
In foto di copertina Mohammad Morsi © Apaimages