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Dalle testimonianze non solo droga e armi ma anche stupri di minorenni

E’ arrivato alle battute finali il processo contro il Signore della droga del cartello messicano di Sinaloa, Joaquín Guzmán detto “El Chapo”. Dopo tre mesi di udienze, oltre 200 ore di deposizioni, 56 testimoni, i membri della Corte federale di Brooklyn - composta dal giudice Brian Cogan e sette uomini e cinque donne - hanno l’arduo compito di giudicare El Chapo che è accusato di dieci reati fra cui impresa criminale continuata, riciclaggio di denaro, distribuzione internazionale di cocaina, marijuana, eroina e altre droghe e uso di armi da fuoco. I procuratori hanno documentato violenze e corruzione dei cartelli messicani, con particolare riferimento al gruppo di Sinaloa. El Chapo, che si è dichiarato non colpevole, rischia l'ergastolo. Si è difeso dichiarandosi un esponente del cartello di basso rilievo. Il re della cocaina ha indicato Ismael Zambada García, 71 anni, suo partner, come vero boss del cartello di Sinaloa. Secondo fonti dell'Intelligence, il cartello sarebbe già passato di mano al fratello e al cognato che ne hanno assunto il comando nel segno della continuità. Dalla parte di El Chapo c'è la giovane moglie, Emma Coronel Aispi, 29 anni. "Lo ammiro come essere umano che ho incontrato e sposato", ha dichiarato la donna durante un'intervista al The New York Times descrivendolo come un padre "presente" e dedito alle loro figlie.
I giurati, anonimi e sottoposti a forti misure di sicurezza, hanno assistito e ascoltato le testimonianze di torture e omicidi sanguinari, episodi di corruzione a tutti i livelli del governo messicano, avventure con "narco-amanti", fughe rocambolesche in tunnel sotterranei, fucili mitragliatori Ak-47 placcati d'oro e pistole con le iniziali tempestate di diamanti. "Il processo ha aperto al pubblico americano uno spiraglio sul funzionamento dei cartelli della droga", ha detto alla Cnn Mike Vigil, ex capo delle operazioni internazionali della Dea, l'agenzia americana anti-stupefacenti.
Dai racconti sono emerse anche le violenze sessuali nei confronti di minorenni. Dopo aver stuprato una delle sue amanti, Guzmán violentava di routine ragazze giovanissime, anche di 13 anni, e talvolta le drogava prima con "sostanze in polvere". Una donna conosciuta come 'Comadre Maria' sottoponeva periodicamente al boss foto di ragazze selezionate appositamente per lui: per un costo di 5 mila dollari, le giovanissime prescelte erano trasferite sulle montagne della Sierra Madre, dove Guzmán viveva, e stuprate dal narcotrafficante e dai suoi uomini. Nel processo il nome di 'Comadre Maria' è emerso anche come possibile intermediaria del presunto pagamento da 100 milioni di dollari all'ex presidente del Messico, Enrique Peña Nieto.

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