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nahuel rafael 23di Jean Georges Almendras
Sei mesi. Sei mesi di impunità.
Un giovane mapuche di 22 anni di nome Rafael Nahuel, che si trovava a Villa Mascardi, a Bariloche, in quel 25 novembre 2017, fu ucciso da uno sparo. Il proiettile lo raggiunse alla spalla mentre cercava rifugio nella parte alta di un colle che affiancava la ruta 40.
Quel giorno agenti del gruppo speciale Albatros della Prefettura Navale Argentina erano impegnati a sgomberare a colpi di arma da fuoco i mapuche che si trovavano nella collina di Parques Nacionales. Con un ordine giudiziario le forze speciali si introdussero nella comunità intenzionati a sgomberare la zona, non importava come.
Fino ad oggi non è chiaro in che modo uno degli ufficiali del gruppo Albatros diede l’ordine di attaccare i mapuche aprendo il fuoco.
L’unica informazione trapelata, dagli agenti impegnati nell’operazione, è che non ebbero scelta nell’utilizzare le armi perché dalle colline i mapuche sparavano.
Bugie del sistema repressore per giustificare un crimine inaudito.
Tutte bugie, fino ad oggi.
Perché sono ormai sei mesi che il pesante manto dell’impunità protegge i responsabili del delitto: gli agenti dell’Albatros, nonostante sia più che evidente che furono loro a sparare e non i mapuche, che erano disarmati.
Dalle istituzioni si continua a dilungare le indagini e intorbidire le acque: recentemente la Cámara Federal de Casación ha disposto la revoca della scarcerazione di Fausto Jones Huala e di Lautaro González, i due giovani che portarono il corpo ferito di Rafael Nahuel. Questo gesto costò loro l’arresto, imputati di usurpazione. Qualche giorno dopo furono liberati per ordine del giudice Villanueva perché gli avvocati dei mapuche e dell’APDH (Ass. Diritti Umani) si misero in moto. Ma adesso, a questi due giovani è stata revocata la scarcerazione.
Due giovani detenuti e privati dalla loro libertà, sotto le grinfie delle autorità, perché “usurpatori di terre”, che in qualsiasi momento saranno nuovamente arrestati fino a quando sia fatta luce sui fatti accaduti? Non è giusto.
I due giovani attendono il corso degli eventi, con la coscienza pulita.
In una recente intervista concessa da Fausto Jones Huala al giornalista Santiago Rey di En Estos Días (un sito web regionale) il giovane mapuche (che è anche fratello del Lonko Facundo Jones Huala) è stato chiaro nelle sue parole.
“Il carcere rientra nelle possibilità. Io continuo la mia vita normale. La verità che non mi preoccupa. Rientra nelle possibilità. Se succede, me la prendo, ma la lotta mapuche continuerà. Non rimango nascosto sotto il letto”.

soldati manifestanti argentina

Da diversi ambiti la lotta dei mapuche per recuperare le loro terre e liberarsi dall’oppressore si fa sentire, e trascende anche le frontiere dell’Argentina.
Le argomentazioni giuridiche non mancano. L’avvocato Sonia Ivanoff è la portavoce dei diritti dei mapuche perché li rappresenta in ogni circostanza.
E le organizzazioni di Diritti Umani e a difesa della causa mapuche con i loro avvocati seguono la stessa strada, affrontando le ostilità e le provocazioni. Lo stesso fanno i giornalisti dei mezzi alternativi e non, perché non tutti i colleghi si stringono attorno al terrorismo mediatico. Per questo motivo si appoggia una causa dando la giusta informazione, senza tergiversare. E Antimafia Dos Mil si è mantenuta e si mantiene su questa linea.
Recentemente ci siamo incontrati con il redattore e amico José Guzmán ed i giovani di Our Voice Romina e Renzo, in una Bariloche scossa dal processo contro il capo mapuche Facundo Jones Huala. E siamo stati testimoni diretti di una repressione smisurata contro i mapuche proprio alle porte del Tribunale. I mapuche (donne e bambini) insieme a liberi giornalisti e dell’establishment sono dovuti scappare dai gas e dai proiettili delle forze di sicurezza. Una costante nella lotta di questo popolo perseguitato e schiacciato, dall’uomo bianco, dal giurista bianco e dal politico bianco.
Il giornalismo libero insiste nell’informare che la persecuzione di cui è oggetto il popolo mapuche nell’Argentina di oggi è una persecuzione accanita da qualsiasi lato la si guardi, negli ultimi tre anni, coincidente con l’ascesa al potere degli sbirri di Mauricio Macri.
Un macrismo che sfacciatamente ha ostentato i suoi strumenti di potere per decimare queste comunità, infatti è più che dimostrato che la rivendicazione dei loro territori e diritti non fa altro che pregiudicare progetti imprenditoriali ed economici.
Un macrismo che ostenta, senza nasconderlo, una politica genocida e razzista. Una politica criminale che si riflette nella persecuzione ai mapuche, nella repressione nei settori più poveri, nell’applicazione della dottrina ‘Chocobar’ (giustificare l’eccesso di legittima difesa da parte delle autorità, ndr), nell’intolleranza verso le proteste sociali a Buenos Aires e nelle città dell’interno dell’Argentina.
Infatti, per capire bene, oggi in Argentina essere mapuche è sinonimo di “pericolosità”. È sinonimo di “terrorismo”. Il macrismo ha inculcato in Argentina l’idea che il mapuche è “il nemico interno”. Un’idea che si è estesa in tutto il territorio a forza di dogmi e dottrina. Una premessa che è alla base delle repressioni contro le comunità mapuche della provincia di Chubut, della criminalizzazione dei mapuche della Patagonia e Bariloche. Premessa che è stata alla base della cattura e successiva condanna all’estradizione in Cile di Facundo Jones Huala. E premessa che aprì le porte alla morte di Santiago Maldonado e di Rafael Nahuel a soli quattro mesi di differenza l’uno dall’altro; e la porta di una serie di arbitrarietà di uomini e donne appartenenti al sistema giudiziario e del governo che tendono palesemente a tenere a dovuta distanza dalla prigione dove dovrebbero essere relegati gli assassini materiali, e i mandanti, di Santiago Maldonado e Rafael Nahuel.
Un cumulo di bugie dalla Casa Rosada all’opinione pubblica, diffuse su tutto il territorio argentino e oltre frontiera da giornalisti (con nome e cognome) legati e sposati alle diffamazioni del macrismo e del governo, che lavorano per mezzi di comunicazioni asserviti al potere.
Si è costruito e si continua a costruire un vero muro di infamie attorno alla famiglia Maldonado, spiata con il beneplacito dei codardi della Casa Rosada e dei giudici e pubblici ministeri corrotti, coinvolti nella causa.
Un vero muro di infamie è stato costruito e si continua a costruire sui mapuche e su tutti coloro che in un modo o nell’altro si sentono coinvolti nella loro causa. Una causa che per certi personaggi e interessi della vita nazionale (e del sistema politico) è un nemico interno che bisogna sradicare, marginare, criminalizzare, rinchiudere e infine uccidere. Uccidere, perché solo così la società sana dell’Argentina potrà crescere, svilupparsi e arricchirsi.
I popoli originari dell’Argentina di oggi soffrono una persecuzione che assomiglia e si identifica nella sanguinaria colonizzazione degli imperi in terre africane, in epoche che ritenevamo ormai lontane nel tempo.
Ma non è così. Quelle menti criminali che tagliavano mani, che valorizzavano l’animale più che l’essere umano, che violavano i diritti e flagellavano e dissanguavano quotidianamente le tribù africane, che uccidevano impunemente, sono presenti nell’Argentina di oggi.
Presenti con indumenti, lingua, cultura, facciata e sottigliezze democratiche, e una dialettica dei tempi moderni. Parlano la lingua dell’impero con il manganello del tormento nelle loro mani, quando non è il piombo delle armi in mano alle forze di sicurezza. In realtà forze dell’insicurezza e fomentatori di morte e di terrore.
Ci sono molti che non si rendono conto, o non vogliono rendersi conto di questa realtà.
Ma, ci sono anche molti che sanno perfettamente le dimensioni e la profondità di questa situazione, e per questa ragione denunciano, lottano e chiedono giustizia. Rendono la loro solida testimonianza ai mezzi di comunicazione, dopo sei mesi di impunità sul caso di Rafael Nahuel.
“A sei mesi dell’omicidio di Rafael Nahuel chiediamo ancora giustizia. Questo messaggio è per la sua famiglia, di non abbassare le braccia e di continuare a lottare, la giustizia è lenta e a volte ingiusta, ma è l’unico strumento che abbiamo, e prima o poi i responsabili pagheranno. Verità e Giustizia per Rafael Nahuel e Santiago Maldonado, ha detto Sergio Maldonado, fratello maggiore di Santiago.
“Ogni giorno ripudio il codardo assassinio di Rafael alle spalle, un combattente mapuche che difendeva la ricchezza della sua terra. Che sia fatta giustizia per lui come simbolo per tutta la comunità”, ha detto Nora Cortiñas, nonna di Plaza de Mayo.
Rafael Nahuel è un essere caro che non c’è più ma rimarrà per sempre nella mente e nei cuori del popolo. Ripudiamo la repressione e la ricerca dei mapuche per un crimine che non hanno commesso, al contrario, è in atto una politica repressiva contro i popoli originari da parte di un governo che cerca di rivivere la politica attuata dai due demoni quando ci fu un genocidio”, ha detto il Premio Nobel per la Pace Adolfo Pérez Esquivel.
A cinque mesi dall'assassinio di Rafael Nahuel il deputato nazionale Horacio Pietragalla Corti ha presentato un progetto affinché la Commissione di Diritti umani si costituisca nella città di San Carlos di Bariloche, e ha detto che "la strategia del Governo nazionale è stata trasformare le vittime in sospettati: si è cercato di far passare la notizia che anche il giovane ucciso alla schiena aveva sparato, nel mezzo di uno scontro”.
E ha aggiunto: "La causa giudiziale in mano al giudice Gustavo Villanueva, avanza molto lentamente. Da poco, a distanza di 4 mesi dai fatti, i membri del gruppo Albatros sono stati chiamati a comparire e delle 15 persone citate come testimoni, si presentarono solo due. I due albatros affermarono di non aver udito spari il 25 novembre in Villa Mascardi, dove trovò la morte Rafael e dove si trovarono decine di bossoli di proiettili 9 mm durante un'ispezione effettuata lo scorso 7 dicembre. Dinnanzi alla gravità dei fatti ed alla continua diffusione di informazione falsa da parte del governo e dei mezzi di comunicazione, comprendiamo che è di somma importanza costituire la commissione di Diritti umani a Bariloche per raccogliere informazione attinente a questa causa".

huala franco e lautaro gonzalez

Sei mesi. Sei mesi di impunità.
Quando ai giovani mapuche Fausto Jones Huala e Lautaro González è stata revocata la scarcerazione l'avvocato Ivanoff ha presentato due ricorsi chiedendo l’annullamento della sentenza e ricusando i giudici che l’hanno emessa, sostenendo che i magistrati della Camera, Eduardo Rafael Riggi e Liliana Elena Catucci, avevano mostrato "parzialità manifesta" e che la sentenza ha "un chiaro pregiudizio di discriminazione per appartenenza etnica" considerando un aggravante la relazione degli accusati con il Movimento Mapuche Autonomo e nel supporre che si trovano in "stato di belligeranza".
Fonti informative locali hanno riferito che l'avvocato Ivanoff ritiene che la sentenza della Camera si è basata su ipotesi tendenti a diffondere la dottrina di un nemico interno nei confronti del quale "la stigmatizzazione al momento di dare sentenza è lampante" e “non c'è relazione tra la sentenza ed i fatti incriminati nella causa".
María Isabel Huala, lo scorso 21 maggio, si è presentata al tribunale Federale di Bariloche e lì nella via pubblica ha letto ai giornalisti presenti il documento dell'Assemblea Permanente di Diritti umani (APDH) dove si ripudiava energicamente la decisione della Camera Federale, riguardo Fausto Jones Huala e Lautaro González.
La madre di Fausto Jones Huala ha detto ancora: "Utilizzare come argomento, per annullare la libertà di questi fratelli mapuche, un confronto armato, che non è dimostrato, contraddice il principio di innocenza”.
Dalla prigione della città di Esquel, il Lonko Facondo Jones Huala è stato ancora più diretto.
"Il peñi (fratello) Rafa rimarrà nella storia per sempre. Non bisogna dimenticare il peñi Rafael. Rimarrà nella storia come una persona che ha aiutato nella lotta, e ne era cosciente. Rafael Nahuel è più che un martire. È entrato nella categoria di quegli eroi del passato. Di quegli eroi che lottavano contro gli spagnoli, gli argentini ed i cileni. Dobbiamo innalzare la sua figura. Deve essere un giorno di lotta nelle comunità, di memoria. Stiamo vivendo un processo storico importante e da questo dipende cosa faremo e quello che erediteranno i nostri figli. Quelli che dobbiamo cambiare la storia siamo noi. Sperare che loro la cambino è piuttosto vigliacco ed egoista. Noi dobbiamo cambiare la storia, seguire il cammino del peñi Rafael e dare dignità ai nostri figli. Insegnare loro la lotta, e la cultura che è molto saggia e ricca. Non dimentichiamo il peñi Rafael. Continuiamo questa lotta che è anti capitalista, anti imperialista, rivoluzionaria e, nel nostro caso, ancestrale. Forza alla società non mapuche che soffre quello che stiamo soffrendo noi da anni con tutti i governi. (...) Noi possiamo portare ad altri popoli la dignità verso questa lotta”.
Sei mesi. Sei mesi di impunità sul caso Rafael Nahuel.
Dieci mesi di impunità sul caso di Santiago Maldonado.
Perché?
Perché la gran maggioranza degli uomini “bianchi” seduti nelle poltrone del potere, hanno ancora l'anima nera e perché altri uomini, anche loro dall’anima nera, li proteggono impunemente, oggi come ieri.

Foto di copertina: www.kasandrxs.org
Foto 2: www.taringa.net.com
Foto 3: www.anb.com

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