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marigo ruben intervista almendrasIl Dr. Rubén Marigo, dell’APDH parla del caso di Rafael Nahuel
di Jean Georges Almendras e José Guzmán* - Intervista
"Due cose: in primo luogo, nel caso Maldonado, quel 1° agosto, ci fu una procedura illegale, perché l'ordine del giudice era quello di liberare la strada, e invece andarono a cercare i compagni al loro posto di lavoro, dove si trovavano, contravvenendo all’ordine del giudice; in secondo luogo, che se non fosse accaduto quanto invece è accaduto, Maldonado non sarebbe morto, né affogato, né buttato… Quanto successo a Maldonado è una conseguenza diretta di quella procedura e hanno gestito la cosa allo stesso modo con Rafael Nahuel" ha dichiarato l’avvocato di APDH (Assemblea Permanente di Diritti umani di Bariloche) Rubén Marigo in occasione dell'intervista che ci ha concesso nella città di San Carlos di Bariloche, dove abbiamo approfondito il caso di Rafael Nahuel. Più in specifico i minuti successivi ai fatti e la creazione di un tavolo di dialogo, dove APDH ed il dottore Marigo, uno dei rappresentanti, è stato uno dei protagonisti più distaccati. 
Il professionista iniziò affrontando subito uno dei casi più scottanti per lo Stato argentino e più tragici per la società argentina e per il mondo. Perché non è da poco quanto accaduto quel 1° agosto nella Pu Lof Cushamen in Resistencia, nella provincia di Chubut, vicino alla rotta 40, dove perse la vita il giovane artigiano e tatuatore Santiago Maldonado, mentre partecipava ad un blocco stradale insieme ai mapuche della comunità che lì risiedono, per chiedere la liberazione del Lonko Facundo Jones Huala, una delle massime autorità mapuche della regione. Un blocco stradale che sbocciò in tragedia dovuto allo smisurato intervento degli agenti della Gendarmeria Nazionale: oltrepassarono la recinzione dei terreni recuperati e sottratti al magnate Luciano Benetton, ed entrarono (extragiudizialmente e senza un mandato), sparando pallottole di gomma contro i mapuche sulla strada, come se stessero affrontando decine e decine di persone armate, mentre il massimo che hanno potuto fare è stato scappare correndo disperati verso l’altra sponda del fiume Chubut, difendendosi con pietre lanciate a mano o con fionde. I gendarmi attuarono un metodo repressivo con furia, e con una violenza spropositata che, ovviamente, sarebbe finito male. E così fu: Santiago Maldonado pagò con la sua vita quell'eccessiva repressione. Non era mapuche. Era un giovane artigiano, biondo di occhi celesti che un buon giorno decise di aderire alla causa mapuche ispirato dalle sue idee politiche e dai suoi valori di solidarietà e di giustizia. 
Il caso Santiago Maldonado provocò nella società argentina un aspro scontro tra lo Stato di Diritto e l'illegalità promossa ed esercitata da funzionari del Governo. Un'illegalità che nasce in risposta ad una politica per niente mascherata di persecuzione contro i popoli originari da parte del governo. Ed il caso Maldonado, la cui forzata sparizione e successiva morte che il governo cerca di minimizzare ad ogni costo, è stato un altro episodio di sangue che ugualmente ha causato stupore in Argentina e nella regione. La vittima un giovane mapuche, Rafael Nahuel. Il 25 novembre del 2017 morì colpito da uno sparo alla schiena, quando agenti speciali del gruppo Albatros sgombrarono, a colpi d’arma da fuoco, con pallottole di piombo, un territorio di Villa Mascardi, a Bariloche, che i mapuche reclamano come proprio.   
Entrambi gli episodi sono stati, e lo sono ancora, la pietra di un enorme scandalo a livello nazionale seguito da vicino dai mezzi di comunicazione filogovernativi (certamente dando il loro tocco pro-Gendarmeria e pro-Albatro e pro-governo nella sua dottrina anti mapuche), e da mezzi alternativi, non solo della regione e del resto del territorio argentino, ma anche stranieri.  
Antimafia Dos Mil, testata specializzata nella denuncia al crimine organizzato ed alla violazione dei diritti umani ed ambientali, ha seguito in situ il caso Maldonado, il processo di estradizione al Lonko Facundo Jones Huala, accusato di terrorismo dal governo cileno, e la morte del giovane Rafael Nahuel. Nello svolgere un lavoro giornalistico a favore della vita e della giustizia, costantemente ci troviamo a dialogare con membri di APDH (Assemblea permanente per i diritti umani) e con rappresentanti delle comunità mapuche delle province di Chubut e di Rio Negro. Ed è in questo contesto che abbiamo incontrato l'avvocato Marigo a Bariloche le cui valutazioni e riflessioni sui casi Maldonado e Rafael Nahuel ci hanno permesso di avere un'idea precisa e definita, ognuno nel proprio contesto, dei fatti, degli effetti e del futuro, dalla visuale di chi vuole chiarezza e contro l'impunità. Perché, a giudicare dai passi compiuti dal Potere Giudiziario e dal Potere Esecutivo, tutelare l'impunità dei responsabili di quelle morti sarebbe una delle maggiori priorità per le sfere statali. 
"Con Rafael abbiamo una questione molto speciale - dice il dottore Marigo. C'è un giudice che interviene, ordina lo sgombero, è un vice  procuratore - Villanueva – e parte da Bariloche, arriva a Piedras de Áquila a 200 chilometri. Lì lo informano che hanno ammazzato a Rafael, quindi immagino lui fa le sue valutazioni. Io ho parlato con lui di questo tema, com’è che è successo. Loro dovevano sorvegliare il posto. Quando ammazzano questo ragazzo la gente inizia a concentrarsi nell'ospedale di Bariloche, chiamano anche noi come APDH. L'ospedale è circondato da poliziotti, ci è voluto parecchio per arrivare; la gente era molto nervosa. Voleva che uscisse il direttore dell'ospedale per una conferenza stampa, c'è un morto… pensavamo fosse nell'obitorio. Invece no, non era nell'obitorio, era ancora sul posto. A quel punto la situazione si mise male, e decidemmo di andare fino lì, superando tutti i posti di blocco della Gendarmeria fino a che siamo riusciti a trovarlo, dopo tanti giri. Ci siamo presentati, ci ha ricevuti Villanueva… ci disse che quella sera non ci sarebbe stato altro. Abbiamo avuto una riunione alle quattro del mattino del giorno 26.  
Una riunione molto dura, eravamo insieme a Natalia, María Nahuel, una delle rappresentanti della comunità - la zia - ed i genitori di Rafael, dove  dicono loro che è morto; una situazione abbastanza violenta. Quello che siamo riusciti a fare lì -perché per avere le perizie da Buenos Aires, ci sarebbero voluti tre o quattro giorni - abbiamo potuto influenzare la decisione di  prendere due periti di qui, uno era Pruguer, molto importante, che si era già occupato con noi di  altri casi di grilletto facile, e un altro medico forense della Giustizia Provinciale. E così siamo riusciti a fare eseguire l’autopsia quel giorno stesso e anche consegnare il corpo, fatto sì che riuscì a far allentare un po' la tensione.
Il giorno dopo, lasciando da parte le nostre differenze con questo uomo, avrebbero continuato lo sgombero, e abbiamo detto loro che volevamo essere presenti, e dopo vari andarivieni, sono riuscito a formare una commissione dove c’era il vescovo e  alcune forze sociali. A partire da lì, il giorno dopo, siamo riusciti ripeto, dopo diversi andirivieni, perché lui ci faceva vedere un rapporto della Prefettura che il RAM (gruppo mapuche) fosse coinvolto in questo, dopo diceva che era un regolamento, o quello che fosse.  Noi gli mostravamo le pubblicazioni che avevamo nel Face (…) Abbiamo formato una commissione abbastanza importante, c’era un consigliere comunale, come medico, il vescovo, che è anche importante per noi che fosse presente questo settore, c’eravamo noi, gente della comunità, ed anche uno psicologo. Siamo andati sul posto, non fu facile arrivarci. Siamo arrivati a circa 500 metri dal posto, e abbiamo parlato con la gente, che non voleva scendere. L’idea nostra era che se scendevano non finissero come Rafael, e ci siamo riusciti, dopo una chiacchierata e che facesse uscire alcuni compagni, abbiamo parlato con il giudice, e siamo riusciti a creare un tavolo di dialogo. 
 
Attualmente, quali passi avanti si sono fatti con il tavolo di dialogo? Al di là della perizia del famoso proiettile. Al di là che si smentisce che questo ragazzo non aveva tracce di polvere da sparo, come si colloca il tavolo di dialogo nel contesto giuridico?   
Il tavolo di dialogo è un fatto politico, questo dialogo è un dato di fatto per fermare un’evidente repressione e cercare un futuro. Nell'Accordo Internazionale dell'OIT, sul trattato degli indigeni, c’è scritto che queste questioni non vanno criminalizzate, ma si discutono. È stata un’idea politica, non so se buona o cattiva, che si evolverà nel tempo. L'altro giorno abbiamo avuto una riunione abbastanza dura.  

Valutativa?  
No… perché ci sono qui posizioni irriducibili. Noi perché ci sia un processo e loro al contrario. È una situazione molto difficile che si sta cercando di vedere, quindi, ancora peggio!. Nella seconda riunione si presentano loro come querelanti nella causa, che è ancora più complicato, quindi nella seconda riunione si è proposto di sospendere il procedimento, che si ritirino come querelanti e se non è possibile risolverlo sul tavolo di dialogo - che invece supponiamo di sì - nominare una terza istanza che faccia di mediazione. Ovviamente noi pensiamo che debba essere un organismo di diritti umani. Conviene anche a noi, distendere l’atmosfera, che i compagni che sono lì non siano processati per usurpazione. Ci sono due cause: una è quella dell'usurpazione, ed un'altra quella di Rafael; quella dell'omicidio è chiara, noi siamo stati lì, non c’era il RAM, non c'erano armi, siamo stati i primi ad arrivare. Al contrario, abbiamo visto le cartucce e abbiamo chiesto le foto dei nove millimetri, abbiamo assistito una ragazza ferita, era una soldatessa  volontaria, l’assistette Ramón, e mi sembra che quella sia la cosa importante, aver fermato quel momento con un intervento politico. E segnare una differenza.  Mentre il ministro diceva che era presente RAM, e che erano armati, noi dicevamo contemporaneamente di no, perché eravamo lì. E mi sembra che quella decisione, di firmare tutti quelli che eravamo lì, perché poi non sarebbe stato possibile ignorarlo, fu importante, il giudice, il pubblico ministero, il vescovo e tutti quelli che eravamo lì, di risolvere pacificamente. Quella era un po' l'idea, dal punto di vista politico. 
 
Spostandoci in un'altra regione. Se in quel momento nella Pu lof Cushamen, ci fosse stato un tavolo di dialogo forse si sarebbe evitata la morte di Santiago?  
Esatto. Io credo che lì la repressione sia stata più evidente. Noi siamo arrivati la notte stessa, perché sarebbe potuto succedere la stessa cosa che con Santiago, se il giorno seguente avessero continuato andavano a cercare al resto della gente e non fermavano la procedura quella notte. Quando noi siamo arriviati c’erano che ne so, trecento, quattrocento, contro quindici persone. Io penso di sì; mi sembra che questa sia una politica di Stato. O uno sposa la politica genocida del generale Roca (Campagna del Deserto, 1870, ndr) o avvia un dialogo, e mette in pratica la legge 26660 sulla regolarizzazione delle terre, perché non c’è il modo né la decisione politica di farlo, anche se adesso per fortuna è stata prorogata.. Mi sembra che tutto questo contribuisca un po'  in modo che la gente prenda coscienza di questa lotta ancestrale del popolo mapuche, no? Al di là che la società sia divisa su questo tema. Ma è divisa perché c'è una politica che cerca di identificare la RAM come un nemico interno per giustificare l’apparato repressivo. Noi sappiamo che questa gente vive nel chilometro 7 e ½, che c'è gente che vive una situazione emarginata; doppiamente emarginata, non solamente perché è emarginata ma perché è mapuche; non c'erano armi! Se ci fossero state le avrebbero trovate; in questi tipi di scontri, dove i feriti sono sempre da una parte sola, ti fa capire che non c’è un vero scontro, ma soltanto un’azione repressiva, non c’è il minimo dubbio su questo. Abbiamo molta speranza. Speriamo riuscire a portare il tema dell'usurpazione verso un dialogo con dei toni diversi, perché ormai è difficile che li facciano uscire. Che scelta rimane? Un altro sgombero? Mi sembra sia una scelta non realizzabile politicamente, anche loro propongono che si spostino in un altro luogo, ma ci sono ragioni culturali sul perché la gente ha scelto quel posto, anche terapeutici. In un certo modo, benché non ci sia una relazione diretta, il processo contro Jones Huala, Maldonado e questo hanno un filo storico, da sempre nel nostro paese.

*Inviati speciali di Antimafia Dos Mil a Bariloche, Argentina

Foto di copertina
: Intervista al Dr. Rubén Marigo en Bariloche, Antimafia Dos Mil e Our Voice

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