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La ricostruzione dimostra che ordigni prodotti in Sardegna sono utilizzati dai sauditi per colpire nello Yemen provocando anche vittime non militari. Il governo: “Non è in vigore alcuna forma di embargo o sanzione”

Le bombe che straziano le città yemenite, sganciate dai caccia sauditi, sono prodotte in Italia, dalla Rwm Italia, una fabbrica sarda di Domusnovas di proprietà della tedesca Rheinmetall. Tutto legale? Secondo il New York Times, no. Il quotidiano americano ha ricostruito la storia degli ordigni MK, raccogliendone i resti, identificando la provenienza e dimostrando che sono stati usati contro civili nei raid che l’Onu condanna come "indiscriminati". Nel 2017 queste esportazioni sono aumentate in modo massiccio: secondo il Nyt il governo italiano autorizza vendita di armi per quasi 500 milioni di euro, di cui oltre 400 milioni per le bombe.
Ora il giornale accusa: l’esportazione a paesi in guerra è vietata dagli accordi internazionali, e la legge italiana 185 del 1990 non solo conferma il divieto di vendita ai Paesi sottoposti a embargo internazionale, ma lo estende anche a quelli in conflitto armato.
Ma in Italia nessuno sembra deciso a chiarire o a smentire. La vicenda della Rwm è nota, le Camere sono sciolte, il palleggio della responsabilità è fin troppo facile, anche di fronte alla tragedia yemenita, con quasi novemila morti, 50 mila feriti e oltre cinque milioni di sfollati. Alla Difesa vige il silenzio assoluto: la ministra Roberta Pinotti ha incassato le sue critiche per un viaggio dell’ottobre 2016 in Arabia Saudita, che i pacifisti definivano "propagandistico", e non replica al Nyt perché la decisione sull’esportazione di armamenti spetta al ministero degli Esteri, in particolare all’Unità per le autorizzazioni di materiali d’armamento. Ma nella valutazione va tenuto conto, per legge, dei pareri tecnici dei vari ministeri, fra cui la Difesa. Diverso è stato il caso dell’invio di armi ai combattenti curdi contro l’Isis, per il quale la stessa Pinotti aveva chiesto il parere delle commissioni: si trattava di armi di proprietà della Difesa o provenienti da sequestri.
La Farnesina ricorda che "la valutazione per autorizzazioni a Paesi extra-Ue e Nato coinvolge diversi ministeri". Come dire: non abbiamo deciso da soli. Il ministero degli Esteri ricorda che "l’Italia si adegua sempre alle prescrizioni dell’Onu o dell’Unione europea", che l’export di armi verso Riad è inferiore a quello di altri Paesi Ue e che al momento "l’Arabia Saudita non è soggetta ad alcuna forma di embargo, sanzione o altra misura restrittiva internazionale o europea". In altri termini: le perplessità sono politiche, la decisione è stata anch’essa politica.
Con Riad il nostro Paese ha un accordo di cooperazione militare dal 2007, che può facilitare anche le forniture di armi. Ma soprattutto, ricorda un esperto, Italia e Arabia Saudita fanno parte della coalizione anti- Daesh, l’alleanza di 74 paesi nella lotta all’Isis: è ovvio che fra alleati le forniture militari sono previste e autorizzate. Resta da chiarire se l’adesione a questa alleanza permetta o no il superamento della legge 185 senza espressa volontà parlamentare.
Il dubbio era sorto anche quando, nel febbraio 2016, l’Europarlamento aveva chiesto un embargo totale all’export di armi verso Riad per le gravi violazioni del diritto internazionale. La Camera dei Deputati ha respinto l’invito, auspicando uno sforzo comune europeo ma di fatto evitando un impegno preciso italiano. A poco sono servite le denunce dei pacifisti, che oggi ribadiscono con Francesco Vignarca, portavoce di Rete Disarmo: "Da tempo denunciamo che le autorizzazioni della Farnesina sono illegittime. Vogliamo davvero continuare a essere complici dei bombardamenti su civili e della più grave crisi umanitaria oggi in corso?".

Tratto da: La Repubblica

Foto © Ansa

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