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esplosione auto aleppodi Jean Georges Almendras
Un quotidiano locale dell’Uruguay scrive: “Aleppo, l’inferno in terra”. Queste poche parole accompagnate da alcune immagini riassumono la dimensione di “quell’inferno in terra” che oggi è la città di Aleppo, o ciò che ne rimane. Immagini di distruzione, di morte, che stanno facendo il giro del mondo, oltre anche l’Atlantico, facendo inorridire i popoli sudamericani. Immagini che ci parlano dell’uomo di oggi. Che fanno rabbrividire.
Esistono organizzazioni come “Medici senza frontiere”, o “Reporters senza frontiere”. Ma esistono anche gli “Orrori senza frontiere”, che seppure non sono organizzazioni, sono così ben  organizzati per distruggere e fare paura.
Non importa più tanto dove siamo. Perché dovunque ci troviamo, quelle immagini degli orrori a testimonianza di ciò che l’uomo di oggi è capace di scatenare ci raggiungono ovunque con la sua dose di drammaticità. Ci entrano dentro. Potremmo dire che è la dose giornaliera della malvagità umana, che viene sbattuta in faccia alla nostra coscienza. Essere qui o lì, poco importa il luogo.
Immagini della malvagità umana che si espandono. Che ci coinvolgono dovunque siamo, in Sudamerica, in Europa, perché tali orrori, che non hanno frontiere, penetrano ci scuotono dentro e ci fanno piangere.
Ogni giorno vediamo sui maxi schermi al plasma, su cellulari e computer di ogni tipo e modello, come muoiono uomini, donne e bambini: ad Aleppo, nelle acque del Mediterraneo, dove i barconi affondano ed i cadaveri vengono allineati di fronte alle coste italiane; tappeti di morte, ornamento all’ipocrisia di un’umanità più impegnata nell’indifferenza che nella solidarietà, salvo qualche eccezione, è chiaro.
Sudamericani ed europei vedono queste immagini ogni giorno. Ogni giorno veniamo a conoscenza di queste storie attraverso dibattiti, tavole rotonde, programma in radio e tv, incontri tra governanti dove vengono approfondite queste realtà.

disegno bambini guerra

Ma le soluzioni per mettere fine a questi massacri? Ci sono, oppure sono lì a marcire nei cassetti delle scrivanie, in attesa di tempi migliori, avvolte nel gioco delle speculazioni e delle manipolazioni politiche? Né voi che leggete né io sappiamo con certezza cosa succederà da qui in avanti. Né voi né io conosciamo con certezza il destino delle persone che vediamo in quelle immagini di Aleppo o del mare Mediterraneo.
Oggi parliamo delle immagini che ci giungono da Aleppo come fossero una grande scoperta. Una scoperta che conta ormai centinaia di giorni di dolore e di morte. Che ha il volto delle bombe che cadono sulla città siriana mentre la comunità internazionale (sincera o ipocrita) lancia appelli per fermare il massacro perché, con tanto spargimento di sangue, si avvicina una crisi umanitaria di grandi proporzioni.
Le bombe che cadono indiscriminatamente ci parlano con grande frastuono dei crimini di lesa umanità e di guerra in atto; ci dicono che i numeri dei morti aumentano di secondo in secondo; che le file di persone che scappano da Aleppo sono senza fine.
Dall’anno 2011 ad oggi sono oltre 300.000 i morti nella guerra in Siria. Cifre ufficiali. Ed è orribile. Veramente orribile, per gli osservatori dell’ONU, per gli esperti militari che analizzano la zona di operazioni… per voi che leggete e per me.
Sono le immagini di Aleppo quelle che oggi ci invitano a riflettere. Domani sicuramente ce ne saranno altre, di diverse realtà che vivono la stessa violenza e distruzione, in altri punti del pianeta, che susciteranno in noi le stesse sensazioni.
Ma quando avrà fine tutto questo orrore e le tante lacrime che non hanno frontiere? Fino a quando questa guerra e altre ancora saranno un inferno sulla terra?

Foto di Copertina: www.rsi.ch

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