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op antidroga messicodi Francesco Peloso
Cartelli della droga, traffico d’armi, diritti umani, migrazioni. Sono questi alcuni dei temi oggetto dell’attenzione della Santa Sede in vista del prossimo viaggio di Francesco. Le parole dei vescovi Ramon Castro e Raul Vera, il ricordo del cardinale Posadas Ocampo. La denuncia del narcotraffico compiuta dal papa all’Onu.

Città del Vaticano. Si avvicina la data del prossimo viaggio del Papa in Messico, Francesco infatti si recherà nel paese della Virgen de Guadalupe dal 12 al 18 febbraio. E se da una parte fervono i preparativi per quella che sarà una visita attesa da milioni di fedeli in uno dei più grandi Paesi cattolici del mondo, per altro verso le vicende di un Paese attraversato e scosso da molteplici fattori di crisi, vengono analizzate in queste settimane dalla Santa Sede. Immigrazione, violenze endemiche, sparizioni, traffico di droga, corruzione, povertà, sono alcuni dei nodi di fronte ai quali si trova infatti il Messico negli ultimi decenni. E un dossier dettagliato su diversi di questi aspetti è stato consegnato al Papa nel dicembre scorso, dal vescovo di Saltillo (capitale dello stato di Coahuila, al confine con gli Usa) Raul Vera, da tempo impegnato nella tutela dei migranti e dei più poveri in Messico.

I 43 studenti scomparsi
Vera era accompagnato da Carlos Beristáin, uno degli investigatori della Commissione interamericana per i diritti umani (Cidh) incaricati di indagare sulla scomparsa di 43 studenti «normalisti» della scuola di formazione per insegnanti di Ayotzinapa, a 120 km dalla cittadina di Iguala, nello stato del Guerrero, avvenuta il 26 settembre del 2014. Il caso dei 43 normalisti è diventato nel corso dell’ultimo anno e mezzo, il simbolo di una battaglia per la legalità e contro il narcotraffico, la corruzione di apparati statali e il fenomeno dei desaparecidos, condotta da una parte significativa della società civile messicana. La vicenda, sulla quale hanno indagato diversi giudici in Messico, poi la squadra di antropologia forense argentina e appunto la Cidh (entrambe su richiesta dei familiari), non è mai stata chiarita fino in fondo; di fatto i ragazzi diretti su alcuni autobus a una manifestazione a Città del Messico per commemorare l’anniversario del massacro di studenti disarmati a Tlatelolco, del 2 ottobre 1968, si scontrarono con reparti della polizia municipale di Iguala. 

Le indagini hanno messo sul banco degli accusati sia le organizzazioni criminali che settori della polizia conniventi con questi ultimi, tuttavia dei 43 fino a oggi non si è saputo più nulla. Di certo, però, i familiari dei ragazzi, così come molti altri rappresentanti di organizzazioni coinvolte in questioni sociali delicate a partire dall’immigrazione, hanno chiesto di incontrare papa Francesco nel corso del suo prossimo viaggio in Messico. La vicenda è fra quelle contenute nel rapporto consegnato da monsignor Vera «nelle mani del Papa» come egli stesso ha detto al quotidiano «Reforma».  

Narcos, politica e corruzione. Messico, il giallo dei 43 studenti scomparsi

«Si tratta – ha detto Vera – di informazioni sulla realtà del Messico, relative ai migranti, ai desaparecidos, ai casi di tortura, alle carceri». I documenti contengono le testimonianze di migliaia di vittime e di tutto questo il Vescovo di Saltillo ha informato direttamente il Pontefice dato che diversi gruppi di associazioni sentivano l’urgenza di informare papa Francesco di quanto era avvenuto e continuava ad accadere nel Paese. D’altro canto, ha precisato ancora Vera, sono cose che «ho detto anche nel corso di una riunione della Conferenza episcopale del Messico». Quello consegnato da Vera, inoltre, non è l’unico rapporto proveniente dal Messico da tempo nelle mani del Papa. Nel 2014 infatti, monsignor Ramon Castro Castro, nominato vescovo di Cuernavaca da papa Francesco nel 2013 e attualmente presidente della commissione giustizia pace e riconciliazione della Conferenza episcopale del Messico, aveva parlato a Bergoglio delle gravi violenze nello Stato di Morelos. Il colloquio era stato accompagnato da un rapporto di ottanta pagine sui fatti di sangue accaduti nella regione. Altri documenti parlano delle violenze di cui sono rimasti vittime gli stessi sacerdoti.

Denunce senza effetto
Non va dimenticato che il Morelos è il medesimo stato del Messico in cui è stata assassinata il 2 gennaio scorso Gisela Mota (del Partito rivoluzionario democratico) appena eletta sindaco di Temixco, la notizia ha avuto risalto mondiale. Sotto accusa ancora una volta i cartelli del narcotraffico che dominano la regione e il Paese. Secondo monsignor Castro, l’omicidio di Gisela Mota è un esempio di ciò che succedere in alcune zone della sua diocesi, come Puente de Ixtla, Coatlan del Río e Amacuzac, realtà nelle quali i membri della criminalità organizzata hanno sistematicamente commesso i loro crimini senza che le autorità siano state in grado di intervenire.

Mons. Castro ha anche spiegato che molte delle persone colpite dalle violenze sono venute da lui per parlare del terrore nel quale vivono, proprio a causa di questo stato di cose poi, sono state presentate denunce sia a livello statale che federale, ha detto, senza però ottenere alcun risultato concreto; anzi molte volte le denunce che avrebbero potuto permettere l’arresto di responsabili - noti – dei maggiori gruppi criminali della regione (fra i quali narcotrafficanti dei «Guerreros Unidos» e dei «Rojos»), non sortiscono alcun effetto. Di fatto la produzione e il traffico di droghe continua a dilagare in Messico – il cartello più potente è oggi quello di Sinaloa – e porta con sé un corollario di violenze e corruzione ai più alti livelli delle istituzioni. Una vicenda che ha interessato da vicino anche la Chiesa se si pensa all’assassinio del cardinale Juan Jesùs Posadas Ocampo, arcivescovo di Guadalajara, risalente al 1993. Il suo omicidio, derubricato a lungo come un errore di persona (versione ufficiale sempre contestata dalla Chiesa messicana), è invece da attribuire - secondo testimonianze ormai sempre più concrete – agli interessi politici ed economici legati al narcotraffico che Posadas Ocampo aveva denunciato.


«Una guerra debolmente combattuta»
Infine il problema del narcotraffico e dei crimini a esso legato (dal traffico d’armi, al riciclaggio, alla tratta delle persone), è un tema sensibile per il Pontefice argentino che in più occasioni ha toccato la questione. Di certo particolarmente autorevoli sono le parole pronunciate davanti all’Assemblea delle Nazioni Unite, lo scorso settembre: «Vorrei citare un altro tipo di conflittualità - ha detto il Papa nell’occasione - non sempre così esplicitata ma che silenziosamente comporta la morte di milioni di persone. Un altro tipo di guerra che vivono molte delle nostre società con il fenomeno del narcotraffico. Una guerra “sopportata” e debolmente combattuta. Il narcotraffico per sua stessa natura si accompagna alla tratta delle persone, al riciclaggio di denaro, al traffico di armi, allo sfruttamento infantile e ad altre forme di corruzione. Corruzione che è penetrata nei diversi livelli della vita sociale, politica, militare, artistica e religiosa, generando, in molti casi, una struttura parallela che mette in pericolo la credibilità delle nostre istituzioni».

Tratto da: lastampa.it

In foto: operazione anti-droga in Messico

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